[Futuro e Lab] Sopra la panca Scilipoti campa, sotto la panca l’Italia crepa
venerdì 31 dicembre 2010 | Scritto da Manfredi Mangano - 1.173 letture |
Mentre gli Scilipoti zompavano, il governo si preparava ad approvare la versione definitiva della famosa, o famigerata, riforma dell’Università.
Il primo fattore da tenere presente è che alla fine possiamo parlare di un vero tentativo di cambiare qualcosa secondo uno schema, e non con un taglio qui e uno lì. Chiariamoci, nonostante la toppa finale imposta da FLI il taglio rimane, e resta pesante: Bruxelles chiama, Tremonti risponde, Gelmini prende nota. Ma, rispetto al guazzabuglio del dl 133, ora c’è un progetto e ci sono persino note condivisibili, come l’ANVUR.
L’Università immaginata dal Governo ha una platea più ristretta di quella del dopo-’68: figlia di un Paese in declino, che non può permettersi di pagare le rette a tutti, risponde dando il Fondo Nazionale per il Merito soltanto a chi “ce la può fare”. Alla stessa logica risponde la decisione di inserire nei consigli di amministrazione rappresentanti esterni, scelti dalle imprese: a un tradizionale orientamento verso le scienze umanistiche, si vorrebbero sostituire centri di eccellenza, individuati dalla selezione naturale post-tagli, che si orientino verso il mercato.
La ratio l’ha spiegata bene Sacconi un mesetto fa: i giovani devono tornare ad essere di “bocca buona” nella ricerca del lavoro. Ora, dire queste cose in un Paese col 27% di disoccupazione giovanile può sembrare tragico: tuttavia il nostro Paese ha finora trascurato pesantemente la ricerca e l’innovazione, mentre il settore cultura si è nel tempo ridotto a un circolo vizioso di dipendenza totale da fondi pubblici sempre più ridotti.
E’ quindi ovvio come, per un laureato in Lettere o se per questo anche in Matematica, collocarsi secondo il suo titolo di studio sia oramai un compito improbo. In questo scenario, l’ascesa di PDL+Lega ha sancito la nascita di un blocco sociale che potremmo definire di “reazione populista”. Ne fanno parte piccole imprese in difficoltà, alcuni operai settentrionali in concorrenza con gli immigrati, aziende di stato sopravvissute alle privatizzazioni, importanti settori vaticani e di quel Sud che vive di intermediazione statale.
La loro risposta alla crisi è stata quella di arroccarsi ancora più: è naturale che questi settori non siano interessati a rilanciare la formazione di massa, semplicemente non saprebbero che farsene. Si accorcia l’obbligo scolastico e si segue Marchionne, perchè, che Silvio ne sia cosciente o meno, uno schema di uscita dalla crisi c’è: agganciare il nostro manifatturiero alla locomotiva tedesca, seppure in posizione periferica, sfornando lavoratori inquadrati in sindacati collaborativi. La concorrenza degli immigrati nei settori a basso valore aggiunto si può combattere chiudendo le frontiere e spostandola nei settori più marginali e specializzati, poco importa che così aumenti la pressione sui cervelli in uscita proprio dall’università.
E’ la strategia di un Paese rassegnato al suo conservatorismo, e che dietro la retorica giovanilista vede i due partiti principali, PD e PDL, votati da pensionati, con le giovani generazioni largamente depoliticizzate (si potrebbe persino dire per fortuna, dato che le sue prime scelte sono Di Pietro e Lega Nord).
Ma niente dà l’idea della drammaticità di questo scontro di interessi come gli eventi che abbiamo citato in partenza: Roma messa a ferro e fuoco mentre la classe politica si occupava di transumanze. Gli studenti erano già scesi in piazza e l’Onda, pur spentasi, era riuscita a modificare le proposte del governo. Ora i ragazzi tornano a manifestare, terrorizzati da vaghe parole e inviti al merito, che preannunciano lavori precari e a bassa qualificazione, e la fine di quel poco di diritto allo studio che abbiamo conosciuto finora. E lo fanno spinti da una disperazione sempre più palpabile, che li accomuna ad altre categorie professionali in pieno declassamento.
Non credo sia un caso se, in un panorama politico tutto proteso a celebrare l’accordo di Mirafiori come nuova pagina di collaborazione (meglio sarebbe dire di collusione) tra sindacati e imprenditori, nessuno sia riuscito a interpretare gli scontri di piazza al di là della trita dicotomia infiltrati delle forze dell’ordine deviate / teppisti fannulloni figli di papà.
C’erano ragazzi e lavoratori che vedevano gli scontri e, anche se non si spingevano fino a partecipare, col cuore avrebbero volentieri preso una spranga per unirsi alla battaglia.
C’è una parte di Italia che ha fatto, con questa riforma, una scelta chiara sul futuro. Ma c’è anche un’altra parte d’Italia che, dall’oggi al domani, ha capito di non essere considerata indispensabile nel Paese che verrà. Per il bene di tutti, è bene che la prima Italia ascolti la seconda, oramai priva di propri rappresentanti istituzionali. O, presto, anzichè gli slogan irriverenti dei manifestanti, potrebbe ascoltare l’unica voce di quel nichilismo pesante: quella della violenza.
P.S.: E in tutto ciò, l’opposizione? Non pervenuta. Ma, di sicuro, se ce ne fosse una capace di delineare un progetto di sviluppo del Paese anzichè attendere spasmodicamente l’abbraccio liberatorio e legittimante di Marchionne, Emma Marcegaglia e della famiglia Caltagirone, qualcosa da fare per impedire questo tragico epilogo lo potrebbe fare. Quanto vogliamo scommettere sulla sua lungimiranza?
Manfredi Mangano _ 23 anni, studente in Scienze Internazionali e Diplomatiche presso l’Università di Bologna. Tra i suoi 6 “interessi e attività” su Facebook, uno è Fernand Braudel. Nel resto del tempo, fa talmente tante cose che Labouratorio ha perso il conto.
Commenti recenti