[Donne che parlano di Rivoluzioni] Alza il volume c’è la rivoluzione
mercoledì 16 febbraio 2011 | Scritto da Prinze - 1.241 letture |
L’altro giorno stavo guardando alcuni accendini in una tabaccheria. Quelli decorati con i pupazzetti, o con la faccia del Che Guevara che guarda all’orizzonte, o con i segni zodiacali o ancora con le donnine nude anni 50. Quelli simpatici, che regali ai tuoi amici o al tuo fidanzato.
Poi ne vedo altri. Accendini con le facce dei protagonisti di Romanzo criminale. Tutta la banda al completo. Tutti belli, fighissimi, come li abbiamo visti nella serie Tv e nel film. Ci manca solo Vallanzasca, ma tra un po’ arriva pure lui, c’è già uno scaffale libero.
Allora, per una ragione che non saprei dire, collego tutto ciò all’Egitto. Che c’entrano gli accendini della banda della Magliana con le proteste in Egitto di questi giorni, per cui tutti si stanno infervorando?
C’entra. A parte riflessioni scontate (ma che in Italia tanto scontate non sembrano essere) sul cattivo gusto di proporre, non dico già le serie televisive e i film, ma il merchandising dedicato a mafiosi assassini, protagonisti di una delle fasi più buie della storia del nostro Paese, elevandoli ad icone pop e ad idoli degli under 20 di tutto il Paese.
Il fatto è che ci infervoriamo per la banda della Magliana e per le proteste in Egitto, per le manifestazioni in Myanmar e per la rivolta di Rosarno allo stesso identico modo, da spettatori. Ci mancano solo i pop corn. A me sinceramente fa sorridere questo supporting che vedo da giorni su internet e facebook. Io vorrei sapere quante persone si filavano la situazione in Egitto fino all’altro ieri. Ovviamente quando un popolo reclama con così forte convinzione il proprio diritto ad esprimere il suo dissenso non possiamo che esserne felici e dare il nostro supporto morale. D’altra parte la nostra civiltà si basa sul concetto di libertà d’espressione, individuale e collettiva. Ma quello che mi domando è: perchè andiamo a guardare l’Egitto? Perchè non guardiamo quello che succede qui, da noi. Forse perchè ci rendiamo conto che qui non possiamo essere spettatori, non possiamo sederci, mangiare i pop corn e vedere come va a finire. Qui siamo noi gli attori. Siamo attori che però hanno paura di entrare in scena, di dare vita alla nostra storia. Siamo talmente abituati a macinare reality e serials, alle condivisioni e ai “likes” facebookiani come massima forma di “impegno” partecipativo ad una causa, che ormai una ipotetica rivoluzione la riusciamo a concepire solo a livello mediatico. Lo stesso vale anche per chi vi partecipa “fisicamente”. Il Dicembre scorso hanno dato fuoco a un paio di cassonnetti e qualche camionetta, robetta paragonata a quello che viene fatto altrove nel mondo, ma quanto basta a fomentare il rivoluzionario quindicenne medio. Anche quel breve impatto “fisico”, strascico delle sessantottinate di altri tempi, non è stato altro che impasto mediatico; scene fotografate, rifotografate, filmate, rifilmate da tutte le angolazioni, commentate e ricommentate; tutti gli slogan, le immagini, i filmati e i volti delle persone passati nello stesso enorme tritacarne dell’informazione con cui poi ci siamo ingozzati fino alla nausea. Senza che nulla cambiasse. Ma la lotta non si ferma, per la gioia di giornalisti, conduttori di talk-show, studenti affetti da narcisismo politico e rivoluzionari da social network.
Guardare che a poche ore da noi, dall’altra parte della costa, c’è una rivoluzione contro un dittatore (l’ultimo di una lunga serie, per chi conosce un po’ la storia del medio oriente, non è che stia accadendo nulla di particolarmente nuovo), una rivoluzione che in un modo o nell’altro sta dando i suoi frutti, ci fa sentire un po’ nel vivo dell’azione, un po’ come mettersi gli occhialini 3D e dire: “Uao! c’è la rivoluzione! Mi sembra di essere lì anch’io!”
Ma non siamo lì, siamo qui e le cose non le stiamo cambiando neanche un pò. Non parlo solo della politica, parlo delle persone. Vedo persone sempre più arrabbiate, sempre più oltranziste, sempre più sul chi vive, sempre più sul me ne vado e al diavolo tutti. Cosa aspettiamo? L’eroe finale? Quello che arriva al momento clou e con una battuta figa sconfigge il cattivo? Lo so che è una conclusione stantìa, ma bisogna cambiare. Cambiare modelli, punti di riferimento. Mi rendo conto che da un paese che iconizza la banda della Magliana e Vallanzasca la cosa potrebbe risultare difficile.
Ma forse si tratta solo di spegnere la tv, alzarsi dal divano e riappropriarsi della propria realtà, con responsabilità personale, non di un ipotetico “regista” (buono o cattivo che sia).
Perchè i titoli di coda, alla fine, ce li mettiamo noi.
Prinze. Donna, romana, classe 1985. Reclutata dalla redazione di Labouratorio in seguito ad un ormai mitologico commento lasciato su facebook, ama scrivere di cose di attualità smontando spietatamente le convinzioni collettive. Cane sciolto, priva di orientamenti ideologici particolari, è fermamente convinta che la realtà sia troppo complessa per scegliere in maniera definitiva una religione, una parte politica o un paio di scarpe.
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