Ernesto Rossi è un labourante di antica data. Labouratorio gli ha chiesto un pezzo sulla vicenda Fiat Mirafiori e lui l’ha scritto con 57 anni di anticipo. Sicomme all’epoca Marchionne era ancora un neonato, e Cisl e Uil si erano appena scisse, ha cambiato alcuni nomi.
Ma quando parla di industria parassitaria parla della Fiat, e i sindacati professionali sono la Cisl e la Uil, e un pochino pure la Cgil. <<I partiti di “sinistra”>> è invece un riferimento chiarissimo al PD.
Insomma Ernesto Rossi non la manda proprio a dire, e mette la sua firma su Labouratorio 2.0. Non sarà ceramente l’ultimo dei Labouranti di antica data a fare capolino da queste parti.
Uno dei luoghi comuni più frequentemente ripetuti nella stampa e dai rappresentanti dei partiti democratici, è che la politica “progressiva” è quella che meglio soddisfa le rivendicazioni dei lavoratori.
Una tale affermazione poteva avere, nel nostro paese, una certa rispondenza con la realtà alla fine del secolo scorso, quando i primi apostoli del socialismo (quasi tutti appartenenti alla borghesia) cercavano di risvegliare una coscienza politica nelle classi popolari per combattere il nazionalismo, l’oscurantismo clericale, i privilegi economici e per conquistare il diritto di sciopero e il suffragio universale.
Oggi è molto più vera l’affermazione contraria: con l’appoggio dei sindacati operai è possibile fare solo una politica reazionaria.
I lavoratori che hanno maggior peso nei partiti “di sinistra” sono i lavoratori delle industrie parassitarie, più saldamente organizzati nei sindacati professionali. E, come tutte le organizzazioni basate sugli interessi economici, anche questi sindacati si reggono sul principio del “sacro egoismo”; non sono in alcun modo influenzabili dagli ideali illuministici e umanitari che animavano il socialismo delle origini.
Chiedere ad un operaio siderurgico italiano di appoggiare la Ceca è assurdo quanto chiedere l’appoggio alla Ceca dell’ing. Falck. E’ perfettamente inutile spiegargli che la riduzione del prezzo del ferro fino al livello internazionale – prevedibile conseguenza della unificazione dei mercati nei sei paesi aderenti alla Ceca – creerà le condizioni più favorevoli per lo sviluppo dell’industria meccanica della edilizia, dei trasporti, sicché la minore occupazione nel settore siderurgico sarà, a lungo andare, più che compensata da un aumento dell’occupazione negli altri settori. E’ perfettamente inutile spiegargli che il contadino potrà ottenere la zappa, la vanga, l’aratro con un numero minore di ore di lavoro; che gli alloggi e i trasporti costeranno di meno; che l’aumento della produttività aumenterà il benessere di tutta la popolazione. L’operaio siderurgico ha da pensare ai casi suoi: il padrone di casa non attende il nuovo equilibrio per pretendere l’affitto; il fornaio, il macellaio, il calzolaio non gli fanno credito; la disoccupazione significherebbe immediatamente, per lui e per i suoi, fame, freddo, abbrutimento, con scarsissime speranze di tornare a galla trovando un altro lavoro.
Se avessimo le sue prospettive, nessuno di noi, credo, si preoccuperebbe delle conseguenze indirette e lontane della politica economica governativa. Considereremmo anche noi buona soltanto quella politica che assicurasse a noi, individualmente, la maggiore paga e la maggiore stabilità di impiego, a qualsiasi costo per la collettività nazionale.
Per riconoscere il carattere reazionario dei partiti “di sinistra” che hanno, come si suol dire, la loro “base” nelle organizzazioni sindacali, basta considerare quale atteggiamento tengono di fronte ad alcuni problemi, dalla cui soluzione dipende il miglioramento del tenore di vita di tutti gli italiani, e, in particolare, di quelli che appartengono alle classi più povere della popolazione:
1) La unificazione del mercato europeo, consentendo una maggiore specializzazione della produzione, l’ampliamento delle imprese fino alle dimensioni suggerite dalla tecnica moderna, la produzione su scala continentale dei pubblici servizi, che non possono essere più razionalmente pianificati nell’ambito degli Stati nazionali, accrescerebbe la produttività del lavoro in misura maggiore di quanto l’abbiano mai aumentata in passato la scoperta di nuove fonti di energia e le invenzioni di macchinari. Ma danneggerebbe i lavoratori occupati nelle aziende che oggi sfruttano il mercato interno dietro le trincee dei dazi doganali, dei divieti d’importazione, dei contingenti e dei controlli sui cambi. In conseguenza, i partiti “di sinistra” hanno rispolverato tutti i sofismi mercantilisti per venire in aiuto dei gruppi che vogliono conservare la economia autarchica.
2) Le aziende parassitarie non possono essere mantenute in vita con soldi che piovano dalla luna. I soldi debbono essere tirati fuori dalle tasche dei consumatori, con l’aumento dei prezzi, o dalle tasche dei contribuenti, con l’aumento delle imposte. Nell’un caso e nell’altro peggiora il tenore di vita di tutta la popolazione, diminuisce il risparmio disponibile per gli investimenti, vengono puniti gli imprenditori capaci per premiare gli incapaci. La rinuncia alla procedura fallimentare, nei confronti delle grandi società industriali, priva la economia nazionale della possibilità di espellere, senza operazioni cruente, gli umori che la avvelenano. Ma se queste società impiegano operai iscritti nei sindacati, i partiti “di sinistra” non ammettono che siano poste in liquidazione, anche se producono torba a costo superiore all’antracite, anche se costruiscono navi a prezzi doppi di quelli a cui potrebbero essere acquistate all’estero. Per “salvare” queste industrie pretendono che il governo intervenga con aumenti della protezione doganale, con esenzioni di imposte, con crediti di favore, con commesse a prezzi maggiorati, con premi di esportazione. E quando neppure questi impiastri sono sufficienti, chiedono la nazionalizzazione.
3) La mobilità e la libertà del lavoro sono le condizioni necessarie perché tutta la mano d’opera disponibile possa essere impiegata a salari che eguaglino la sua produttività marginale. Se non vengono rispettate queste due condizioni si creano oasi di privilegio a spese di tutti coloro che ne vengono esclusi. Quanto più i privilegiati riescono ad elevare i loro salari e ad aumentare la sicurezza del loro impiego, e tanto più aggravano la miseria degli altri lavoratori, rendono precaria la loro occupazione ed aumentano il numero dei disoccupati. Ma dei sindacati gli operai delle grandi industrie si valgono per innalzare barriere sempre più alte in difesa di queste oasi di privilegio: riservano agli abitanti del luogo tutte le occasioni di lavoro disponibili nel territorio comunale; impongono salari molto più elevati di quelli ai quali i disoccupati sarebbero disposti a fare lo stesso lavoro; riducono al minimo le nuove leve immesse nelle fabbriche, mantenendo le paghe degli apprendisti quasi al medesimo livello delle paghe degli adulti; impediscono la introduzione delle macchine che consentirebbero di ridurre i costi risparmiando lavoro; accrescono i premi di liquidazione agli operai occupati e bloccano i licenziamenti, togliendo così la convenienza di tentare nuove strade e di iniziare nuovi lavori che potrebbero occupare saltuariamente la mano d’opera.
I partiti “di sinistra” fanno proprie queste esigenze dei sindacati operai. Non hanno mai neppure rilevata l’infamia delle leggi fasciste per la disciplina delle migrazioni interne (legge 9 Aprile 1931, n. 358) e contro l’urbanesimo (legge 6 Luglio 1939, n. 1092), che tengono i lavoratori più miserabili confinati nelle aree depresse, nonostante il diritto di tutti i cittadini a circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, solennemente affermato nell’art. 13 della Costituzione.
Politica progressiva non può essere la politica della carestia, del privilegio, della cristallizzazione delle posizioni acquisite. Politica progressiva è quella che favorisce la abbondanza, premiando gli imprenditori più capaci ed eliminando dal mercato le imprese che non riescono a ridurre al minimo i costi e a riadattare la loro produzione alla mutevole domanda dei consumatori. E’ la politica che combatte tutti i monopoli, capitalistici ed operai, per rendere più agevole la strada agli uomini nuovi e alle nuove iniziative. E’ la politica che continuamente sposta, innalza, abbassa, gli argini giuridici entro i quali devono essere contenute le forze economiche scaturenti dal tornaconto individuale, per indirizzarle verso gli obiettivi di interesse collettivo.
Il dinamismo economico ha un costo, rappresentato dalle sofferenze provocate dalla svalutazione degli impianti e delle capacità professionali, che non servono più o servono meno di prima, in conseguenza del passaggio dai vecchi ai nuovi equilibri. Ma rifiutarsi di pagare questo prezzo significa rinunciare al progresso. Quello che si può e si deve fare è lenire le sofferenze dei gruppi particolarmente colpiti dal dinamismo economico, ripartendone il costo su tutta la collettività che ricava vantaggio dall’aumento del reddito nazionale, ed estendendo il campo dei servizi pubblici per garantire un minimo di vita civile anche a coloro che non riescono a guadagnarsi un salario sufficiente per vivere.
Premessa indispensabile per attuare una tale politica è la ricostruzione dello Stato. Con una pubblica amministrazione completamente sfasciata, com’è attualmente la nostra pubblica amministrazione, qualsiasi nuova forma di intervento dello Stato nella vita economica non può significare altro che un aumento degli sperperi e delle camorre.
Ma neppure per questa opera di ricostruzione possiamo contare sui partiti “di sinistra”, i quali hanno sempre dato il loro incondizionato appoggio alle rivendicazioni degli avventizi di essere immessi nei ruoli stabili senza concorso, e perfino alle rivendicazioni dei funzionari ministeriali per riscuotere taglie e balzelli da amministrare per loro conto, fuori bilancio.
da “Il Mondo” del 22 Dicembre 1953
Ernesto Rossi_113 anni, politico, giornalista, attivista antifascista, azionista e poi radicale. Gli si deve sempiterna ammirazione perche’ coautore del Manifesto di Ventotene.
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