[Mondoperaio in Labouratorio] La chiacchiera giovanilista
domenica 13 marzo 2011 | Scritto da Manfredi Mangano - 1.163 letture |
Il coincidere del 2010 con le più forti proteste studentesche degli ultimi anni sembra aver portato nuovamente alla ribalta la questione giovanile.
Quello che qui definiremo ”giovanilismo” è una delle più fortunate narrazioni adottate dalla sinistra italiana, seguendo la riflessione portata da Boeri, Giavazzi e Alesina, per i quali le giovani generazioni sono state tradite dai genitori, che hanno rovesciato su noi lavoratori super-laureati un enorme debito pubblico e spesa pensionistica fuori controllo, costringendoci spesso a emigrare. Complici di questo furto sindacati e microimprese sfruttatrici.
Si tratta di una serie di concetti mutuati in parte dalla Terza Via, e su cui Veltroni scelse di investire pesantemente, facendone il caposaldo della sua campagna elettorale.
Poco prima del voto Ilvio Diamanti aveva curato una ricerca che mostrava come dagli anni ‘90, con un picco nel 2006, i giovani si fossero notevolmente ripoliticizzati; Berlusconi staccava Veltroni nelle intenzioni di voto dei giovani lavoratori, ma il PD prevaleva seppur di poco tra gli studenti. La prevalenza del PDL tra giovani perlopiù precari veniva attribuita alla scarsa sindacalizzazione e alla prevalenza delle PMI nel tessuto produttivo, incentivi a una dimensione individualista della politica. Ma Diamanti notava anche come nella società italiana dominassero antipolitica e pessimismo. Le urne confermarono il disastro: il pareggio tra gli studenti arrivava solo grazie al voto utile, con un 30% di astenuti e numeri impietosi tra i giovani lavoratori.
La terziarizzazione dell’economia aveva portato alla prevalenza di una figura di “operaio dei servizi”, collocato nel terziario per svolgere prestazioni malpagate e dequalificate; i servizi alle imprese, punta di diamante del precariato “positivo”, impiegavano l’8% degli occupati, e solo il 16% dei precari si presentava sul mercato con una laurea. Nell’industria il 60% dei lavoratori si collocava nelle PMI, tra cui il 71,5% degli under-30, una percentuale che saliva al 76,7% nei servizi. Le PMI, paradossalmente, durante la crisi mostravano una tendenza più spiccata a difendere i propri dipendenti, per mantenere il proprio patrimonio di risorse ad alta qualificazione, e ad assumerli con contratti migliori. Tra l’uscita dal sistema scolastico/universitario e il traguardo del lavoro stabile, 5 e 10 anni di “tritacarne”.
Oggi, con la disoccupazione giovanile al 27% e un 20% di giovani che non lavora e nemmeno studia, circa il 45% dei giovani italiani si reputa xenofobo, e il primo punto di riferimento dei giovani è il lavoro, meglio se pubblico o dipendente. In tutto questo, gli stessi convinti sostenitori del rinnovamento hanno appoggiato Marchionne, scomunicando come fannulloni proprio quei giovani lavoratori di Pomigliano che, ben qualificati e assunti negli anni ‘90, avevano abbattuto il tasso di assenteismo cronico dei propri genitori. Molte delle criticità raccolte da Boeri, Alesina e Giavazzi sono incontestabili: forse ad essere sbagliati sono proprio gli interlocutori, dato che i nostri giovani non sono affatto ansiosi di mettersi in competizione. Sono preoccupati dalla concorrenza straniera, e anche se vedono poche prospettive nel nostro paese quando emigrano, al Nord per studiare o all’estero per lavorare, non ne sono affatto entusiasti.
In questi anni il centrodestra si è affrancato dalle sue radici liberiste e ha sposato una linea che potremmo definire “conservatricepopulista”: i suoi interlocutori sono gli stessi del ‘94, le piccole e medie imprese, ma la spietata concorrenza globale ha prodotto una nuova linea politica che affianca radici di destra e temi popolari. I giovani che vogliono competere sono in larga parte quegli studenti universitari di cui Alesina e Giavazzi hanno scarsa stima. Però lo considerano un piano B: se possono, meglio il posto pubblico.
Il giovanilismo si rivolge dunque a un mondo che, persino quando ha l’opportunità di studiare, trova molto più concreto poter andare a lavorare a 16 anni che accumulare master: nelle grandi imprese vengono assunti solo da precari, nelle piccole imprese questo genere di qualifiche non serve, e sarebbe molto più utile un buon diploma di istituto tecnico.
L’analisi che i “giovanilisti” hanno fatto della nostra società non va però scartata per tornare alle vecchie ricette della socialdemocrazia anni ‘70: se è emersa, è stato sulla base di dati reali e di vere criticità. Ma la sinistra deve saper adeguare le sue proposte e l’analisi: è necessaria un’agenda che sappia tenere assieme contratto unico, reddito di cittadinanza o Negative Income Tax, accoglienza dei migranti, un sistema educativo più meritocratico, e una grande stagione di riconversione industriale. Un nuovo modello che sappia cogliere la sfida giovanile, senza per questo diventare subalterno alla Thatcher. Sembra, in effetti, il programma di una futuribile forza socialista: chi lo realizzerà?
Manfredi Mangano_23 anni, studente in Scienze Internazionali e Diplomatiche presso l’Università di Bologna. Tra i suoi 6 “interessi e attività” su Facebook, uno è Fernand Braudel. Nel resto del tempo, fa talmente tante cose che Labouratorio ha perso il conto
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