[Italia inabissata] C’era una volta un’espressione geografica
martedì 1 marzo 2011 | Scritto da Plex - 4.669 letture |
Vaglielo a spiegare a Metternich! Il grande burattinaio del Congresso di Vienna che fotografò lo stivale in una delle più famose espressioni della geopolitica moderna (“l’Italia è un’espressione geografica”) aveva grande stima delle capacità strategiche del nostro paese al punto da ritenere il conte di Cavour come il solo vero uomo politico del tempo in Europa.
Altri tempi. L’Italia ancora non esisteva come Stato unitario, ma era capace di farsi sentire nel consesso internazionale grazie alle astute manovre dello statista piemontese.
All’alba del nuovo millennio, nel bel mezzo della più grande crisi geopolitica degli ultimi 20 anni, con in ballo l’interesse nazionale delle prossime due tre generazioni, il bel paese sprofonda nel mezzo del Mediterraneo, totalmente privo di una qualsivoglia politica estera così come della capacità e del peso internazionale per potere difendere i propri interessi strategici.
Prendiamo la drammatica crisi libica. Per tacere della dipendenza energetica, nella “scatola di sabbia” sono ancora custoditi numerosi preziosissimi contratti che le maggiori industrie nazionali (Eni, Enel, ma anche Impregilo, Ansaldo, Finmeccanica) hanno via via stipulato all’ombra del Trattato di Amicizia italo libico promosso da Berlusconi con la benedizione di D’Alema. Libia che è stata anche fin qui una fondamentale barriera per frenare l’orda migratoria sempre in procinto di invadere le nostre coste. La tutela di un rapporto privilegiato con il vicino libico è dunque cruciale per gli interessi strategici di medio periodo del nostro paese.
Nonostante cotanti contatti, una conoscenza della realtà locale frutto di una dominazione coloniale durata decenni e la vicinanza geografica, il subitaneo crollo del regime del Colonnello pare avere colto tutti completamente di sorpresa tanto alla Farnesina quanto a Palazzo Chigi. Nè la Rivoluzione tunisina nè quella egiziana hanno mai generato il benchè minimo dubbio che qualcosa di grosso potesse accadere in Libia. Eh si che basta guardare qualunque cartina per capire che non ci voleva tanto perchè l’onda rivoluzionaria travalicasse i confini da est e da ovest!
E invece tra un “non disturbate Gheddafi” (Berlusconi 20/2/2011) e un richiamo alla “non ingerenza” (Frattini 21/2/2011), l’appuntamento con la Storia sembra averci colto completamente privi di una qualsivoglia strategia. E non è questione di interpretazioni.
Se si pensa, come Labouratorio, che l’incendio libico sia solo l’ovvia conseguenza della miccia accesa a inizio anno nell’entroterra tunisino dall’aumento dei prezzi deciso a Pechino, con l’aggiunta magari di un pò di benzina americana e di combustibile artigianale di scontri tribali autoctoni mai del tutto sopiti, la strategia italiana doveva improntarsi a un protagonismo fatto di tempismo e perizia tattica. Adottare il Labourapiano in 6 passi, sarebbe stato un ottimo modo di assecondare uno sbocco democratico della crisi mantenendo per l’Italia un ruolo preminente che permettesse di tutelare l’unità della Libia e la conseguente tutela dei rilevanti interessi economici in ballo. L’ignavia della nostra politica estera ha invece fatto si che praticamente tutte le grandi potenze occidentali ci scavalcassero nel dettare l’agenda della crisi, ponendo di fatto l’Italia nella scomoda situazione dell’alleato rimasto a difesa del regime amico, senza capacità operative per il dopo.
Ma anche nella più discutibile tesi che la rivolta libica sia sospettabile per tempistica e modalità di ingerenze americane per mano egiziana, volte a sovvertire e normalizzare un regime scomodo in un’occasione propizia, a discapito degli interessi italiani ed europei in generale; ancorpiù incomprensibile risulta essere il lassismo del nostro paese nell’esercizio di una qualsivoglia iniziativa diplomatica, di denuncia, protesta o smascheramento di una manovra palesemente volta a sfilarci un partner politico economico cruciale. Il silenzio prono agli interessi altrui, è stata di fatto l’unica opzione in campo.
Ma la crisi libica non è che l’ultimo esempio di un’incapacità cronica di esercitare un qualsivoglia ruolo che non sia millantato o ancillare. Le rivelazioni di wikileaks sono impietose nel registrare la scarsissima opinione dei nostri alleati sulle nostre reali capacità di mediazione in contesti di crisi, stante la quasi totale irrilevanza sul campo delle nostre truppe. Con la sola eccezione della presenza in Libano, le missioni militari italiane all’estero si sono caratterizzate inoltre per la totale estraneità alla tutela dei nostri interessi geopolitici diretti, e i nostri rapporti privilegiati si confondono con quelli privati del nostro Premier che sembra avere orientato la propria politica estera al recupero alla scena pubblica di personaggi imbarazzanti.
Tacciamo, per carità di patria, del nostro ministro degli esteri.
C’era una volta un’espressione geografica, inabissatasi nel Mediterraneo insieme alla sua pochezza politica e strategica.
Andrea Pisauro_26 anni, appassionato di calcio, scacchi e politica estera italiana.
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