[Speciale Spagna] La crisi del PSOE e della democrazia in Spagna.
giovedì 9 giugno 2011 | Scritto da Demi Romeo - 796 letture |
Il nostro inviato a Madrid ha mandato un dispaccio urgente all’indomani delle elezioni spagnole. Purtroppo, il dispaccio è stato usato per livellare il tavolo per giocare a poker, che pendeva un pochino. L’abbiamo recuperato giusto in tempo. O forse no.
I. PREMESSA.
“Gli Spagnoli hanno mostrato il loro malessere in queste elezioni. È una punizione che comprendiamo. Il risultato ha una chiara relazione con la crisi economica, che ha avuto effetto sullo stato d’animo degli Spagnoli”.
Così il Presidente socialista spagnolo, Josè Luis Zapatero ha commentato la sonora sconfitta alle ultime elezioni amministrative, con il Partito Socialista Operaio Spagnolo (PSOE) che precipita al 27%, il minimo storico dai tempi della transizione democratica.
Inutile aspettarsi, d’altronde, diverse dichiarazioni. Le aspettative del PSOE si infrangono infatti davanti a innumerevoli difficoltà strutturali. Certamente esiste una situazione finanziaria internazionale in ragione della quale le politiche sociali degli Stati incontrano forti limiti pratici. Si tratta di ostacoli inediti, figli dell’integrazione europea e della globalizzazione dei mercati.
Basti osservare l’inadeguatezza del sistema economico e del mercato del lavoro; l’insolvenza del settore bancario nazionale nei confronti della finanza estera; la scarsa competitività dell’impianto industriale; o l’aumento della disoccupazione, problemi che mettono a dura prova i nervi degli elettori e che vanno a caratterizzare i limiti tangibili del “Socialismo dei cittadini” presupponendo un generale rinnovamento della linea politica del partito.
II. I LIMITI DEL SOCIALISMO DEI CITTADINI.
Risulterebbe semplicistico separare l’esito delle elezioni amministrative dal clima di grande tensione sociale, economica ed internazionale in cui esse si svolgono.
L’esplodere della mobilitazione giovanile di ‘Democracia Real Ya’; lo scandalo della corruzione nel caso Gurtel in cui sono coinvolti importanti esponenti del PP (fra i quali il rieletto Presidente della Comunità Valenziana, Francisco Camps); la crescita insostenibile della disoccupazione che tocca la vetta dei 5 milioni di “parados”, finiscono per segnare profondamente gli umori degli Spagnoli e la loro opinione nei confronti della politica e, in generale, della situazione economica e democratica in cui va a sprofondare l’intero Paese. È nella complessità di questo scenario che si osserva l’esaurirsi del collante ideale fra la società civile e la politica, collante a cui Zapatero ha sempre tenuto particolarmente.
Evidenziamo due punti essenziali in questa riflessione:
1. La politica non è stata in grado di riformarsi tramite la promozione della trasparenza e di forme di controllo della rappresentanza nelle istituzioni da parte dei cittadini.
Crescono senz’altro gli spazi di socialità e di denuncia civile, spesso accolti per collaborare presso gli organismi del PSOE. Nonostante ciò, il recepimento delle istanze sociali non trasforma il PSOE nella emanazione politica del “Socialismo dei cittadini”, ma piuttosto evidenzia tutti i suoi limiti nel complessivo scenario economico, sia nazionale che internazionale, che rimane governabile soltanto in parte e risulta soggetto alle dinamiche speculative della finanza mondiale, al di fuori da qualsiasi esame democratico.
2. Vi è stata un’incapacità di intervenire con politiche e risorse idonee entro quelle tempistiche che richiedano il governo in più legislature. In questa circostanza si denotano le forti limitazioni dell’ideale sulla realtà sociale ed economica. Bisognerebbe valutare la funzione del pragmatismo come essenziale per il Socialismo, specie laddove sia opportuno e conveniente delegare , invece, l’orientamento dei processi economici – specie quelli governabili dagli esecutivi – ai negoziati fra le parti sociali, ai territori e alla cittadinanza attiva, inaugurando un modello di coesione sociale e democratica maggiormente decentrata e condivisa nella distribuzione delle responsabilità di governo. Peraltro una impostazione culturale già ideata dagli studi di Maurice Glasman e in fase di valutazione negli ambienti del ‘Blue Labour’ di Ed Miliband.
Perchè le riforme del governo socialista facciano il loro effetto, dovrà passare del tempo, un tempo insostenibile per la stessa logica democratica, che rimette agli umori dei cittadini – ormai spesso scontenti, impoveriti e demotivati – la sovranità di decidere e di scegliere i propri referenti politici. Non è detto che tale scelta si dimostri efficace alla fine, ma anche in questo caso la politica e la cittadinanza finiscono per far i conti con il condizionamento morale e la nuova povertà, di conseguenza lasciando spazio libero al Populismo.
Da qui deve ripartire, insomma, una più generale e innovativa idea di “Socialismo dei cittadini”, che metta in primo piano l’impegno per contrastare la crisi della democrazia e la liquidazione della sovranità popolare, le quali oggi favoriscono la concentrazione del potere finanziario e animano i nazionalismi europei. Zapatero ci lascia questa difficile eredità. Una eredità tutta europea e generazionale, attraverso la quale apprendere a considerare la società civile e informata come una forza dinamica propulsiva e l’Europa sociale come una obbligatoria tappa per il Socialismo di domani.
III. L’INDIGNATO, L’IMMIGRATO E IL SOCIALISTA. NUOVI SEGNALI DI APERTURA?
Il segnale di scontento e il desiderio di rinnovamento che provengono dagli accampamenti degli Indignati, a dire il vero, non sono ignorati dal vertice del Governo ma anzi vengono giustificati nel contesto degli sforzi collettivi e della necessità di un cambiamento strutturale dell’economia spagnola in cui i cittadini siano tenuti a prendere parte attiva con consapevolezza, ottimismo e spirito di sacrificio.
Iniziando proprio dal diritto al voto, la cui rivendicazione ha contraddistinto le recenti rivoluzioni del Nord Africa, più o meno della stessa età dei manifestanti “indignados” situati presso la Puerta del Sol.
È proprio dal diritto al voto che bisogna iniziare la lettura dei risultati elettorali.
Nessuna agenzia ha preso in considerazione un dato fondamentale: per la prima volta, dopo due anni di trattative internazionali, è stato riconosciuto il diritto di voto agli extracomunitari residenti, nella situazione in cui i loro Paesi nativi (in gran parte latinoamericani) abbiano ratificato un trattato con la Spagna. Si tratta di un provvedimento che consente l’esercizio di questo fondamentale diritto democratico e favorisce il progressivo allargamento del suffragio verso nuove forme di universalità attraverso una semplice iscrizione nell’apposita anagrafe.
Un grande esempio di partecipazione e di convivenza civile che ha introdotto nelle liste dei partiti – e specialmente del PSOE – più di 500 candidati extracomunitari, i quali si raccolgono intorno a piattaforme politiche, dove si sviluppano iniziative a favore dell’uguaglianza e della tutela delle minoranze.
E i risultati di questo investimento in democrazia e partecipazione politica non sono mancati, come dimostra l’elezione, in quota PSOE, al Consiglio regionale di Madrid, di una storica attivista per i diritti umani. Si tratta di Julia Martinez-Torales, cittadina paraguaiana di 63 anni, già Presidente dell’Associazione Donne Progressiste per la Parità.
La condizione, la denuncia sociale e le scelte dei lavoratori stranieri rappresentano un ulteriore osservatorio dei processi sociali in tempo della crisi. Un modello, a diffuso modo di vedere, che andrebbe imitato in tutti i Paesi europei, a partire dalle iniziative dei Partiti aderenti al PSE.
IV. LE ELEZIONI. GLI INDIGNATI E I SOCIALISTI FANNO I CONTI CON LA CRISI POLITICA.
L’esito evidente delle ultime elezioni amministrative manifesta due segnali in particolare.
In primis, la fine del ciclo Zapatero. La corsa alle urne evidenzia nettamente quello che è stato un voto chiaro e contrario nei confronti della politica del governo. In secondo luogo, si registra la conservazione del tradizionale modello elettorale e rappresentativo spagnolo.
A differenza delle pretese manifestate in queste settimane dalla piattaforma Democracia Real Ya – nata dall’incontro di diversi movimenti civili che denunciano la partitocrazia, la corruzione e il precariato, le conseguenze della crisi, l’esclusione sociale dei giovani – , i cittadini non hanno punito affatto il bipartitismo, né tanto meno si sono astenuti o hanno mantenuto un atteggiamento neutrale, né ancora preferendo votare i partiti minori diffusi su scala nazionale.
In barba alla pretesa di cambiare sistema elettorale, di fatto i partiti che escono fortemente avvantaggiati in questo tipo di elezione sono le forze regionaliste. I partiti minori nazionali, in particolare Izquierda Unida (IU) e Union Progreso y Democracia (UPyD), non raccolgono un consenso entusiasmante, sebbene condividano lo stesso bacino elettorale del PSOE, il quale esce dissanguato dal confronto elettorale.
Izquierda Unida, la tradizionale federazione fra il partito comunista spagnolo, gli ecologisti catalani e diversi movimenti repubblicani registra il 6% nazionale (+1% rispetto alle amministrative del 2007), che è quasi il doppio a confronto del risultato ottenuto alle politiche del 2008 (3,8%). UPyD, nata da una micro-scissione a destra del PSOE, inizia a radicarsi sempre più negli enti territoriali, come conferma l’ottimo risultato riscontrato a Madrid. Tuttavia si attesta al 2% su scala nazionale – benché raddoppiando il suo risultato rispetto alle scorse politiche – mentre ancora è carente di un radicamento territoriale omogeneo, soprattutto nelle aree industrializzate, il che pregiudica la sua influenza attiva nella vita politica spagnola.
Tutt’altra storia per le formazioni locali regionaliste, che sono determinanti e – in alcune realtà – persino maggioritarie. Infatti riescono a spaccare il bipartitismo fino a giungere nei “governi autonomici”, evidentemente creando una distribuzione dell’offerta politica più articolata a livello locale rispetto a quella nazionale.
A parte la vittoria elettorale e il record storico del Partito Popolare a livello nazionale (37% alle amministrative), sono principalmente i nazionalisti catalani di centro-destra CiU, la nuova formazione della sinistra basca Bildu e il Foro Asturiano (nato da una scissione locale del PP) a godere di maggiore successo.
CiU conquista Barcellona dopo tre decenni in mano alla sinistra e conferma i risultati di ottobre (in cui arrivò al governo della Catalogna). Bildu, le cui liste sono state da poco tempo legalizzate, diventa la seconda forza politica nei Paesi Baschi (dopo il Partito Nazionale Basco, PNV) e consolida il peso del nazionalismo basco nelle istituzioni di Euskadi. Il Foro Asturiano sottrae al PSOE la guida della relativa Comunità autonoma.
I Popolari rimangono ancorati in tutte loro Regioni, o con maggioranza assoluta o tramite patti di governo con formazioni regionaliste. (patto PP-CC alle Canarie o prossimo accordo PP-FAC nelle Asturie). Pertanto, il PP si impone come primo partito, con un distacco ormai di dieci punti percentuali. Un abisso che, a molti commentatori spagnoli, appare pericoloso rispetto ad un regime bipartitico prima maggiormente equilibrato e meglio distribuito su scala territoriale.
Negli ultimi quindici anni, infatti, il modello bipartitico non aveva registrato tale sovrapposizione tra il radicamento territoriale e la possibilità di conquistare la maggioranza assoluta alle prossime elezioni politiche. Pertanto, la perdita del governo da parte dei Socialisti risulterebbe aggravata dalla pressoché totale perdita delle amministrazioni regionali e dei maggiori comuni. È un ceffone dato alla storica tradizione municipalista del PSOE, che eppure ha investito molto nell’autonomia dei territori e nella loro promozione socio-culturale e linguistica. Una crisi politica senza precedenti, che mette in discussione la forza del municipalismo socialista di fronte all’avanzata dei nazionalismi locali (di diverso colore) e che segna il punto di decadenza del bipartitismo spagnolo verso forme di maggiore protagonismo popolare, con le relative conseguenze sulle prestazioni sociali.
A parità di astensione, rispetto al 2007, l’elettorato scontento e demotivato ha punito il PSOE, preferendogli il PP o le forze regionaliste.Le mobilitazioni degli Indignati sono state, quindi, irrilevanti negli esiti elettorali, sancendone l’irrilevanza “politica”, almeno per il momento.
Va molto male il PSOE nella Comunità di Madrid Tomas Gomez, 43 anni e Segretario del Partito Socialista madrileno. Il giovane candidato, eletto grazie alle primarie e inviso ai vertici del PSOE non riesce a strappare la Regione a Esperanza Aguirre, numero due del PP, anima neoliberista del partito ed eletta per la terza volta con la maggioranza assoluta. Gomez attirò le simpatie dei sindacati e di alcune anime socialiste già critiche nei confronti della gestione Zapatero della crisi, specie nel momento in cui venne apprezzata la sua partecipazione allo sciopero generale indetto dalle maggiori organizzazioni sindacali del Paese. Svanisce così pure il sogno di riscatto del ‘barone’ rosso e disobbediente del PSOE.
Pertanto, il risultato finale è nettamente mortificante per l’attuale partito che presiede il Governo spagnolo, il quale rimane aggrappato o viene tirato dalla giacchetta da IU o dalle forze regionaliste. In totale, nelle elezioni autonomiche, il PSOE perde quasi tutto: nel complesso sono rimaste 2 (ma forse saliranno a 3-4) Comunità autonome su 17.
Nelle elezioni municipali lo scenario è analogo. Dopo una trentina d’anni di amministrazione socialista, Barcellona passa alla destra catalana di CiU. Nella stessa città entrano per la prima volta in Consiglio gli ultraconservatori e il Partito Pirata. Quest’ultimo forte della sua battaglia contro la Legge Sinde, che impone gravi sanzioni nell’uso del file sharing e di qualsiasi abuso della proprietà intellettuale su internet.
Perfino nella rossa Andalusia, si colorano di azzurro Siviglia (per la prima volta al PP), Granada e Jaén, mentre Cordova perde la “alcaldia” presieduta da IU (in coalizione con il PSOE) per passare al PP. Solo nei comuni di provincia, il PSOE conserva maggiore consenso. Nel totale di tutti i capoluoghi di provincia soggetti al voto, solo cinque città vanno al PSOE.
V DOPO IL 22 MAGGIO? LA NECESSARIA RIFORMA DEL PROGETTO SOCIALISTA.
Il necessario rinnovamento interno del PSOE – ormai in agenda fino al prossimo autunno – dovrà giocoforza tener conto di alcune richieste di Democracia Real Ya.
Nonostante il Movimento degli Indignados non abbia influenzato gli esiti elettorali, ciò non toglie la necessità avvertita dai cittadini di dare una svolta profonda al modo di controllare le risorse dei partiti e di gestire la cosa pubblica. Il PSOE, allora, dovrà essere in grado di interpretare il significato della mobilitazione giovanile in modo costruttivo e secondo gli schemi innovativi della partecipazione politica al tempo dei social-network.
Dovrà decidere, inoltre, di accogliere alcune proposte che consentano maggiore trasparenza e partecipazione dal basso. Ad esempio: l’eliminazione delle liste chiuse; il frequente ricorso alle primarie e allo strumento referendario; la riduzione dei privilegi politici; l’abrogazione della Legge Sinde.
Nel caso spagnolo, infatti, abbiamo di fronte un “cortocircuito democratico”, perché se da una parte sono stati ampliati gli spazi della cittadinanza e della socialità, dall’altra l’agenda sociale del governo è rimasta ostaggio del modello economico. In questo scenario è proprio il PSOE che può fare da mediatore fra i parametri del patto di stabilità e la grande domanda di bisogni sociali che emerge in questi giorni.
VII. RUBALCABA SFIDA RAJOY!
Carme Chacon, 40 anni e ministra della Difesa, si ritira dalla corsa alle primarie. L’altra pre-candidatura è quella del ‘felipista’ storico Alfredo Rubalcaba, sessantenne ministro dell’Interno e Vicepresidente del Governo, così incaricato in seguito al rimpasto dello scorso ottobre.
Il partito riunito intorno ai baroni – ossia i massimi rappresentanti socialisti delle Comunità autonome – su proposta del Presidente basco Patxi Lopez, ha scelto di celebrare fin da subito il 38° Congresso federale, in modo da evitare l’avvio di scontri interni per la corsa alla successione, preferendo in alternativa indicare all’unanimità un candidato unico alla guida del partito e alla candidatura per la Presidenza del Governo. I baroni confermano – così come da diversi mesi – il loro sostegno a Rubalcaba, personalità politica piuttosto popolare e apprezzata nei sondaggi, la quale gode di maggiore simpatia rispetto alla figura di Mariano Rajoy, trascorso leader aznarista del PP.
Molto probabilmente si sta solo cercando di portare sull’altare l’agnello sacrificale. Una mera candidatura di facciata che, benché goda di popolarità e sia garanzia di riconosciuta esperienza e competenza tecnica (fu lui a mediare la trattativa con l’ETA per raggiungere la tregua e, più di recente, a gestire lo sciopero selvaggio indetto dai controllori di volo), non apporta alcun rinnovamento reale, né tanto meno il ripensamento democratico della linea politica e del progetto socialista.
È una sorta di commissariamento stabilito dai baroni. Si prende tempo, quindi, per portar a termine la legislatura e pensionare definitivamente Zapatero. L’iter parlamentare ci suggerisce l’approvazione della Legge sulla Parità di trattamento e Non discriminazione, e la Legge sul Fine-vita, che legalizzerà l’eutanasia passiva, curiosi delle reazioni da parte dell’Opus Dei.
Mentre a Rubalcaba verrà riservata fra dieci mesi “l’eutanasia di partito”, per costituire una nuova classe dirigente durante la prossima legislatura.
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