[Eurotecnocratismi] La politica monetaria UE fatta a spese dei membri più deboli
venerdì 25 marzo 2011 | Scritto da Nicolò Cavalli - 1.038 letture |
Jean Claude Trichet, presidente della Banca Centrale Europea, ha annunciato per questo mese, Aprile, un aumento dei tassi di interesse di circa un quarto di punto, modificando dunque la politica monetaria espansiva attuata a partire dal 2009 quando, con l’Europa incalzata della peggiore recessione dal dopoguerra, Francoforte prese la decisione di tagliare i tassi nominali sino al record storico dell’1 per cento. La scelta di invertire tale tendenza scaturisce dal timore che lo shock petrolifero conduca ad un prolungato aumento del prezzo del petrolio oltre a quello delle materie prime, circostanze che indurrebbero l’inflazione nell’eurozona a salire oltre la soglia di guardia.
Aumentare i tassi di interesse significa allora diminuire la liquidità in circolazione, perché gli individui preferiranno detenere meno moneta e più titoli in grado di fornire un maggiore rendimento, così che anche la temuta inflazione dovrebbe essere destinata a restare sotto controllo. Svariati economisti sottolineano che il calo dei consumi e delle attività produttive, che necessariamente segue una restrizione della base monetaria, non potrà mettere in pericolo la ripresa economica ormai consolidata: la Germania ha il tasso di disoccupazione più basso mai ottenuto da venti anni a questa parte, mentre la Francia ha ormai recuperato il terreno perduto durante la recessione ed è entrata in un periodo di robusta crescita.
Perché, dunque, si chiede Trichet, indulgere in una politica monetaria di emergenza dalle pericolose potenzialità inflattive? Perché non tutta l’Europa è Francia e Germania, bisognerebbe rispondere agli eurotecnocrati, che troppo spesso se ne dimenticano.
Non solo la crescita non è iniziata uniformemente in tutti i paesi del continente, ma aumentare i tassi d’interesse significa oggi rendere ulteriormente complessa la situazione delle economie periferiche, come Grecia, Portogallo e Irlanda, colpite in maniera più forte dalla crisi del debito. Questi Paesi sono (o dovrebbero essere) attualmente nel pieno di una serie di riforme volte all’austerità fiscale, ossia ad un forte ridimensionamento della spesa pubblica, che conduce ad un rallentamento dell’economia. Aggiungere a questo un ulteriore effetto di depressione, come quello derivante dalle manovre della BCE, rischia di fare piombare questi paesi in una double-dip recession, ossia di farli tornare nuovamente in recessione dopo una breve e timida ripresa (quando questa è avvenuta). Senza contare che un aumento dei tassi di interesse significa un aumento degli interessi pagati sui mutui e in generale sui prestiti, ossia una redistribuzione di reddito dai debitori verso i creditori.
Da ciò, a sua volta, discende che le imprese e le famiglie, che con la ripresa stavano cercando di diminuire i propri debiti e quindi tornare a maggiori tassi di investimento e consumo, vedranno peggiorare la propria condizione. Anche gli Stati figurano tra i debitori, così che il pagamento degli interessi sul debito pubblico tenderanno ad aumentare, creando ulteriori difficoltà nel risanamento dei conti che i paesi europei stanno tentando. Altro effetto bifronte dell’aumento dei tassi di interesse sarà l’apprezzamento dell’euro, che si risolverà in un aumento dei prezzi dei beni esportati dall’Europa verso il resto del mondo.
Tuttavia, mentre paesi come la Germania, che godono di fatto di una moneta sottovalutata in termini reali, non subiranno eccessivamente l’effetto di tale apprezzamento, poiché si basano su esportazioni dall’alto valore aggiunto, altre nazioni, come la nostra, rischiano di cedere ulteriori quote di mercato alle economie emergenti, i cui prodotti diverranno relativamente più convenienti, mettendo a repentaglio i livelli di produzione delle nostre aziende, quindi l’occupazione, quindi i consumi e il benessere generale.
Insomma, la misura decisa dal presidente francese della Banca Centrale Europea è un segnale politico forte che l’asse franco-tedesco dà al resto dell’Unione, cui viene chiesto di adattarsi a ben precise condizioni, come quelle incluse nel Patto di Competitività proposto da Merkel e Sarkozy. Bisogna essere tutti più tedeschi, e forse i banchieri di Francoforte non hanno tutti i torti.
Rimane il fatto che una politica punitiva nei confronti dei membri più deboli dell’unione monetaria li spronerà, forse, a riformarsi in senso continentale o, molto più probabilmente, li condurrà ad una situazione difficilmente sostenibile, per sé stessi e per l’intera l’Unione.
Nicolò Cavalli_23 anni biologici.
Commenti recenti