[Nord-Africa in fiamme] La contraddizione delle rivolte.
martedì 1 marzo 2011 | Scritto da Nicolò Cavalli - 1.146 letture |
E’ la natura degli uomini e la fonte del rimpianto, di comprendere a pieno le cose solo dopo averle vissute. E pure esistono momenti in cui la sensazione di vivere qualcosa di straordinario e irripetibile ci afferra i polsi, stringendoli fino a destarci dal nostro sonno routinario, dalla nostra anestesia quotidiana.
A volte, questi momenti non si esauriscono in piccole epifanie personali, ma valgono per tutti e per sempre e si chiamano Storia. Questa cosa veneranda e terribile, che scriviamo con la S maiuscola perché ad essa ognuno è sottomesso, prende oggi il nome di Tunisia, Egitto, Libia, assume i volti dei manifestanti che protestano nelle piazze, si colora del sangue dei morti, si gonfia il petto con l’orgoglio dei vincitori.
Nuovi attori sono entrati nella scena globale, vecchi equilibri si sono rotti e nuovi sistemi di potere stanno definendosi. Tutto il Nord-Africa e parte del Medio Oriente si sono, nelle ultime settimane, sollevati contro pluri-decennali dittatori, alcuni dei quali avvinghiati al potere anche grazie al decisivo sostegno delle potenze occidentali, interessate, da una parte, ad arginare il pericolo islamico a due passi dall’Europa e Israele e, dall’altra, a mantenere l’equilibrio tra le superpotenze nel mondo ormai remoto dei due blocchi.
I regimi di Mubarak, Ben Ali, Gheddafi, non cadono ora per la senescenza degli uomini che li incarnano, ma perché sono decadute le ragioni storiche sulle quali gli stessi si sono fino ad oggi basati. La disgregazione di tali ragioni equivale alla definitiva cessazione dell’equilibrio di potere come, fino ad oggi, lo abbiamo conosciuto, un equilibrio di cui questi regimi rappresentavano gli anacronistici vestigi.
I tempi storici sono sempre lunghi, e i vecchi sistemi di potere crollano solo quando un nuovo equilibrio è pronto a sostituirli. In questo caso, il nuovo equilibrio è costretto a fare i conti con il peso della potenza cinese, che è penetrata nel continente africano con forza e oramai da qualche lustro.
Grazie alla sua enorme accumulazione di riserve in valuta estera e alla sua agilità istituzionale i cinesi forniscono ampissimi prestiti agli stati africani, in cambio dell’accesso prioritario allo sfruttamento delle risorse naturali che in Africa abbondano, e delle quali la Cina ha assoluto bisogno per mantenere l’ordine interno garantendo crescita economica. In cambio, i dollari provenienti dalla Cina permettono all’Africa di costruire infrastrutture, ponti, scuole, tanto che interi villaggi del continente sono stati creati ex novo, per ospitare operai provenienti dalla Via della Seta. Il “Piano Marshall” per il Nord-Africa, che da qualche settimane viene proposto, è già stato messo in atto, ma da Oriente. Non è un caso che i paesi africani siano costantemente allineati al voto cinese nell’Assemblea Generale dell’Onu.
Tuttavia, esiste una contraddizione fatale in questo movimento storico. Le masse che oggi lottano in Egitto, Libia, Tunisia, stanno lottando per un ideale universale, quello democratico di libertà ed eguaglianza, che però ha le proprie radici in un ben determinato ambito storico e politico, in una precisa idealità e in un modello di sviluppo che è quello dell’Occidente. E’ tuttavia proprio il superamento del sistema di potere centrato sull’Occidente che permette a questi popoli, oggi, di rovesciare i regimi che li opprimono: non è un caso che gli Stati Uniti siano oggi, come non era mai successo dal 1939 in avanti, costretti a rincorrere gli avvenimenti.
La perdita di questo riferimento politico può creare uno smarrimento insuperabile: la superpotenza cinese, infatti, non pretende dai propri partner il rispetto dei diritti umani, dei principi di garanzia nei confronti dei cittadini, delle procedure democratiche, della sovranità del popolo e della certezza della legge. La sua sfida ideale all’Occidente è quella di un mercato governato dai principi liberali ma da una sistema politico profondamente autoritario ed oppressivo. Se l’Occidente non giocherà la partita del Nord-Africa fino in fondo, il rischio sarà quello di consegnare quei popoli alle braccia di nuovi tiranni.
E non è detto che questo non sia il “secondo mostro” di quello che Huntington definiva lo “scontro delle civiltà” anche se, per definizione, le civiltà non possono scontrarsi: sono sempre e solo gli individui, mangiati dalle ambizioni, persi nella cupidigia, richiusi nei più bassi istinti, ad essere continuamente pronti a scontrare le loro reciproche ignoranze.
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