[Mondoperaio in Labouratorio] Nichilismo debole
domenica 13 marzo 2011 | Scritto da Gionny - 1.207 letture |
Ogni autunno in Italia, tra gli echi delle manifestazioni studentesche, inizia uno scontato quanto sterile dibattito sulle sorti delle future generazioni. Sorti che appaiono assai cupe stando a quanto intellettuali ed accademici ci dicono. Senza dubbio la generazione dei baby boomers è stata la più fortunata fra quelle cresciute nell’Europa contemporanea, poiché è stata la prima, e l’ultima, che in larghissima parte si è potuta permettere il lusso di scegliere un avvenire lavorativo consono alla propria indole e all’altezza delle proprie aspirazioni, ben difesa dietro rigidi ma rassicuranti steccati ideologici e in forti Stati nazionali che credevano in uno sviluppo continuo di democrazia e benessere. Invece le svolte del progresso hanno sparigliato le prospettive che la società occidentale credeva di aver davanti.
La globalizzazione ci ha offerto gli strumenti per ampliare infinitamente i nostri orizzonti di realizzazione personale, ma la circolazione di idee e persone che ha garantito il florido sviluppo dell’Occidente oggi si è estesa a tutto il globo e gli attori di questo nuovo scenario non siamo più solo noi europei. Nuovi attori significa anche nuovi concorrenti. Ciò non significa, tuttavia, che possiamo sentirci autorizzati a ritenerci una generazione destinata ad entrare in un lungo e cupo medioevo postmoderno. L’imperdonabile errore che i giovani stanno compiendo è quello di illudersi di potersi riparare dietro le barriere dei propri genitori. La colpa di questi ultimi (forse nel tentativo di proteggere loro stessi) è invece quella di voler legare i propri figli a strutture sociali sclerotizzate e a strutture mentali ottuse e refrattarie al cambiamento, contagiandoli della stessa paura e sconforto che da un ventennio aleggia nella società.
I ventenni di oggi hanno accettato che gli fosse imposto un atteggiamento autodifensivo e diffidente verso l’intraprendenza e la creatività, hanno in sostanza spento il cervello e senza accorgersene si sono scoperti debolmente nichilisti perché hanno temuto il relativismo di una società che non sta declinando ma mutando più radicalmente e rapidamente di qualunque altra società nella storia. Di fatto i giovani stanno delegando alla classe dirigente nostrana, provinciale e impreparata, che per anni ha vissuto dietro verità inconfutabili, la responsabilità di traghettarli moralmente e politicamente in una nuova fase del progresso.
Forse per pigrizia più o meno indotta i miei coetanei non si sono accorti che in realtà hanno deciso di non decidere delle loro sorti. Di fronte alla mercificazione di cultura e politica, a differenza di tutti i giovani dei movimenti che hanno infiammato il Novecento, quelli di oggi si comportano con un’indifferenza quasi interessata, troppo pigri per avere una concezione originale di ciò che gli sta intorno. Populisti e demagoghi di ogni sorta li hanno manipolati ed aizzati l’uno contro l’altro, affinché non germogliasse un barlume di autocoscienza collettiva generazionale. Qualunque moto di protesta rientra sempre e comunque nei quasi istituzionalizzati riti dei movimenti giovanili di protesta, tutto è già stato scritto, e i ragazzi continuano a recitare il copione. Mai si tenta un’evasione dalle trite e ritrite liturgie della politica giovanile: anzi vengono clonate in miniatura le dinamiche e le strutture della politica tradizionale. Non si cerca una rottura nei metodi, nei linguaggi e nei comportamenti, ma solo comprensione e accondiscendenza, che comunque vengono offerte in cambio della tacita sudditanza.
Ormai è chiaro che la generazione ultragarantita deve iniziare a concedere qualcosa alle generazioni successive che non possono continuare a sostenere lo status quo che favorisce solo la “classe anagrafica al potere”, ma iniziare a rivendicare la redistribuzione tra “classi anagrafiche” delle risorse e delle garanzie. Scardinare i tanti micro-privilegi che parte della sinistra considera tabù intoccabili, liberalizzando quelle corporazioni e caste su cui si regge parte del consenso di destra.
Ogni protesta tesa al mantenimento della condizione attuale è per forza di cosa conservatrice e nega quindi un ampliamento delle garanzie e dei diritti: dispiace constatarlo, ma da anni ormai le “lotte” degli studenti si fondano su principi profondamente conservatori non di privilegi propri, ma altrui.
Gionny D’Anna _ Provocatorio e provocante, napoletano di nascita e si trasferisce a sei anni nella provincia fiorentina. Cresciuto ascoltando Bordin in macchina col padre mentre lo accompagnava a scuola.Già alle elementari inizia a propagandare ideali anticlericali e libertini. Al liceo si distingue per un’incoerenza politica da far paura a Mastella ma, eletto rappresentante d’istituto, la svolta riformista gli consente di riaprire l’aula autogestita senza occupare la scuola. Laico,socialista&libertario sostiene con forza l’Italinità d’Istria e Dalmazia. A Fiume c’era pure lui. Non sopporta i carciofi e Achille Occhetto.
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