ll Gruppo Anti Mafia Pio La Torre nasce dall’incontro delle esperienze dei giovani volontari riminesi nel progetto LiberArci dalle Spine sui terreni confiscati alle mafie, nei campi di Corleone e Canicattì. Partiti in tre nel 2008 e nel 2009, l’estate 2010 vede ben 10 tra ragazzi e ragazze riminesi scendere in Sicilia per lavorare due settimane
assieme ad altri volontari da tutta Italia e alla Cooperativa “Lavoro e non solo”. Da quest’anno il G.A.P. può contare su una quindicina di volontari, tutti ragazzi e ragazze, impegnati nella diffusione di una cultura di legalità ed anti-mafia sociale su un territorio che soffre sempre più con maggiore intensità le infiltrazioni della criminalità organizzata nelle amministrazioni locali e nell’economia. Il contatto con la cittadinanza, la sensibilizzazione nelle scuole e nei confronti dei ragazzi, un Tour della Legalità, la promozione di iniziative, incontri su legalità ed antimafia, presentazione dei campi di lavoro sui terreni confiscati sono i nostri obiettivi prossimi e futuri, per non tenere mai abbassata la guardia.
Tornati a casa, maturati dall’esperienza significativa, durante l’autunno e l’inverno 2009 i ragazzi si mobilitano per impedire di ridurre le due settimane in Sicilia a mero volontariato ed esperienza a sè stante, cercando di coinvolgere la cittadinanza riminese organizzando la prima Cena della Legalità al centro sociale Grottarossa di Rimini, serata grazie alla quale vengono raccolti 2000 euro, utili a sostenere i progetti della Cooperativa Lavoro e non solo e l’acquisto di uno scaffale per i prodotti, proprio in Casa Caponnetto, bene sequestrato ai nipoti di Totò Riina nel centro di Corleone. In Dicembre le attività continuano con la vendita dei cesti natalizi contenenti i prodotti dei terreni confiscati.
Davide Vittori, uno dei fondatori del GAP Rimini, ha scritto per noi di Labouratorio questa distopia mafiosa.
Correva l’anno 2012, ma contrariamente alle previsioni Maya il mondo prosperava più vivo che vegeto, dopo le alluvioni che avevano devastato l’Europa Meridionale, e in particolare l’Italia.
Il Bel Paese, all’avvento della vera Seconda Repubblica che inizierà domani, 1 gennaio 2020, navigava in acque melmose e l’allora presidente del consiglio Silvio Berlusconi stava esalando gli ultimi respiri. La condanna in cassazione del suo braccio destro Marcello Dell’Utri e il suo successivo pentimento con la conseguente ammissione di essere stato il referente in Sicilia per Cosa Nostra, avevano creato un vero e proprio terremoto non solo nel panorama politico, ma anche in quello mafioso. Saltata la copertura dell’allora Forza Italia (e ai tempi Popolo delle Libertà) in Sicilia, gli equilibri del crimine organizzato dovevano essere rimodellati, specie in Campania, dove anche Nicola Cosentino, ex sottosegretario all’Economia, non poteva più essere considerato partner affidabile dal Clan dei Casalesi.
Il premier Pierferdinando Casini, leader della coalizioni dei volenterosi, che comprendeva quello che conosciamo come PDCLAC (partito democratico-centrista-liberale-anti comunista), ex Partito Democratico, Futuro e Libertà del defunto Gianfranco Fini, più un gruppo di responsabili che dopo aver militato in tutti partiti dell’arco costituzionale si erano messi al servizio della causa dell’Unione di Centro “per fare le riforme che servono agli italiani”.
Riforme concrete invece arrivarono dalle Mafie Italiane: con PIL del 7% annuo già nel 2012 le Mafie controllavano parte delle economia, in particolare il traffico di droga proveniente dall’America del Sud e dall’Afirca, gli appalti pubblici e tutto il ciclo dei rifiuti, dallo stoccaggio al riciclo (di rifiuti, ma anche di denaro); tuttavia, veniva a mancare il referente politico capace di garantire commesse e silenzio. In un incontro tenuto nella reggia di Caserta, memori del summit dei ministri dell’Unione di Romano Prodi, Matteo Messina Denaro, quattro clan camorristici, cinque famiglie appartenenti alle ‘ndrine calabresi-lombarde e qualche reggente pugliese della Sacra Corona Unita (nomi, che non faremo ora, sconosciuti ai più allora e caduti nel dimenticatoio a otto anni di distanza), si riunirono per pianificare la cosiddetta “Grande Strategia”.
La Grande Strategia, votata all’unanimità, seppur con qualche mugugno degli ‘ndranghetisti lombardi consci della grande disponibilità dimostrata dai gerarchi della Lega Nord, ebbe una sola parola d’ordine: legittimazione; divenire cioè un asset portante dello Stato rinunciando agli spargimenti di sangue, ma, come volle fosse messo a verbale Marco Di Lauro, del clan omonimo, senza privarsi del fondamentale traffico d’armi.
Da dove partire? Matteo Messina Denaro, in un’intervista rilasciata alla rivista “Mafia, storia e resistenza” ricorda che all’epoca furono le parole del ministro Lunardi a fungere da punto di partenza. Se “con mafia e camorra bisogna convivere e i problemi di criminalità ognuno li risolva come vuole” la strada non era poi così in salita, serviva solo far passare l’idea che le mafie non erano di per sé criminali, ma incarnavano la reazione all’assenza dello Stato centrale.
Alla vigilia della Seconda Repubblica, che istituisce, è bene ricordarlo, doppie elezioni, una per l’elezione del parlamento nazionale e una per l’assise Benemerita (così sarà chiamato il parlamento mafioso), in cui però il diritto di voto è riservato solo agli affiliati , non possiamo che dare smentire le parole del magistrato Falcone che vedeva nella mafia un fenomeno umano con un suo principio, una sua evoluzione e quindi anche una fine”. Dopo otto anni (coincidenze della vita, otto sono gli anni di indagine che sono serviti alla Catturandi di Palermo per prendere Provengano) la Mafia nel 2020 riesce nella sua titanica impresa,quella di divenire il primo partner economico dello Stato semi sovrano italiano.
Davide Vittori, 24 anni_Laureato in Lingue e Letterature Straniere all’Università di Bologna, hoconseguito un master in Gestione delle Risorse Umane presso Alma Graduate School. Accanto agli di studi di Politica Estera seguo da alcuni anni la tematica della mafia e del suo xontrasto attraverso due associazioni Gruppo Antimafia Pio La Torre a Rimini e Rete NoName – Antimafia in Movimento a Bologna con le quali ho completato alcuni studi su beni confiscati, racket, usura e infiltrazioni di ‘ndrine in Emilia Romagna.
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