[Labouratorio n.37] Ora che la crisi non è più virtuale
lunedì 10 novembre 2008 | Scritto da Redazione - 962 letture |
E alla fine la crisi da virtuale diventa reale.
Sono cinquantanove le aziende nella provincia di Bologna che hanno mandato in cassa integrazione i propri lavoratori. Tante, purtroppo. Le aziende cominciano a fermarsi, le banche restringono il credito, produzioni e vendite sono quasi dimezzate.
Nell’ultimo articolo parlavo di mito del denaro che da solo crea altro denaro e di centralità del lavoro. Coloro che hanno creato il mito abbiamo già visto che se la caveranno. Mi interessa invece, dal mio punto di vista, come si presentano i lavoratori davanti a questa crisi.
Ho provato a stilare un elenco, completo ma non esaustivo, poiché si presta ad una marea di possibili combinazioni.
1) Disoccupato. Paradossalmente per lui la situazione non cambia: semplicemente trovare lavoro sarà ancora più difficile.
2) Precario. Lo dice la parola stessa: se prima era piegato adesso, se possibile, si piegherà ancora di più, nella speranza, prima o poi, di diventare flessibile.
3) Lavoratore con mutuo. Ovviamente a tempo indeterminato, ha già passato un anno difficile. Con la crescita dell’Euribor, la sua rata mutuo è passata da 820 euro base a 1.084. Sono 264 euro di differenza al mese, che moltiplicati per 12 fanno 3.168 euro annui. In sostanza si è mangiato non solo la tredicesima ma anche la quattordicesima del suo stipendio discreto. Lui, la proposta di Draghi di agganciare i mutui non all’Euribor, non la lascerebbe cadere nel vuoto.
4) Lavoratore con figli. Al nido paga una retta di circa 600 euro mensili. A scuola, con le 24 ore settimanali, oltre al caro libri dovrà pagare anche l’estensione del servizio realizzato da una cooperativa, o meglio ancora da una qualche istituzione cattolica. All’università il numero chiuso si può definire per censo.
5) Lavoratore in cassa integrazione. A rischio perdita del posto di lavoro, percepisce uno stipendio (il primo probabilmente dopo tre mesi) che man mano diminuisce, e che è pagato dall’INPS, Istituto notoriamente non gravato da debiti.
6) Lavoratore con contratto non ancora rinnovato. Alcuni attendono ancora il rinnovo di un contratto già scaduto e comunque si preparano allo sciopero generale.
7) Lavoratore single. È quello che sembra stare meglio di tutti, e infatti se non lascia la casa paterna la crisi la può affrontare. Se decidesse, per puro caso, di sposarsi, comprare casa e magari avere pure dei figli, sarebbe la sua fine.
E qui, secondo la definizione classica di lavoratore, dovrei fermarmi. Però, di lavoratori ce ne sono altri, e quindi inserisco un’altra categoria.
OTTO) Piccolo e medio imprenditore. È gente che lavora sodo, che spesso non conosce ferie. Sono anni che quando mette la chiave nella toppa alla mattina sa che deve dare il cinquanta per cento dei suoi ricavi al suo socio di maggioranza che non si presenta mai a lavorare.
Questo elenco ha un unico elemento comune: tutte queste persone non hanno avuto ancora nessun aiuto, tanto meno per affrontare la crisi che sentiamo arrivare sulla nostra pelle.
Sono socialista, e più in generale di sinistra, perché queste persone sono la mia prima preoccupazione, non l’ultima. Ma queste sono pulsioni, che un foglio elettronico non potrà mai trasmettere, quindi meglio tornare al nostro ragionamento.
Da anni sentiamo ripetere da tutte le forze politiche che bisogna aiutare le famiglie, specie le più numerose. Ultimamente, a queste si sono aggiunte anche le piccole e medie imprese.
La proposta principe che viene avanzata è quella di detassare la tredicesima. Ma cosa vuol dire detassare la tredicesima? In alcuni casi serve solo a pagare i debiti. In altri, ad avere un paio di mesi di respiro, più o meno.
È la classica misura tampone, l’ennesima. Eh sì, perché noi siamo abituati bene, a noi piace correre e tappare le falle quando diventano crepe.
Occorre invece, per avere un impatto significativo, una diminuzione strutturale delle tasse sul lavoro, che permetta di rilanciare i consumi e di conseguenza la produzione.
Per fare questo, a detta degli economisti che hanno sottovalutato la crisi, occorrono risorse che in Italia sono risicate. E se non bastasse, ci sono anche dei rischi: la spirale inflazionistica, l’aumento del debito pubblico e lo sfondamento del tetto del 3%.
C’è una litania che sento ripetere da anni e che recita più o meno così: “occorre ribadire il primato della politica”. Bene, dico io, vediamo. Siamo capaci? Allora non c’è momento migliore.
Scenderei in piazza per questi motivi, e lo farei, insieme agli studenti.
Nell’ultimo numero di Labouratorio ho letto con molto piacere l’articolo di Antonello sul movimento studentesco, specie quando parlava di “saldatura”.
La saldatura tra il movimento studentesco e quello dei lavoratori può avvenire perché sono dalla stessa parte della barricata. Se anche l’operaio vuole il figlio dottore, credo che il figlio dottore voglia che il padre operaio non resti davanti alla pressa per quattordici ore, e in tali difficoltà economiche.
L’unica cosa che non vedo ancora, per rafforzare movimenti e saldatura, sono i partiti, in special modo quelli di sinistra.
Se infatti la contestazione post decreto va bene per la società civile e per i sindacati, non va bene invece per i partiti, o anche solo per coloro che vogliono provare ad essere classe dirigente.
I partiti di sinistra, quelli che io vorrei vedere, hanno un’idea di insieme che salda le ragioni degli uni e degli altri e le fa diventare aspirazioni.
I partiti di sinistra che vorrei vedere, anticipano le questioni, non inseguono i media per ribadire la loro posizione, che sarà pure corretta e avanzata, ma rimane solo sulla carta, e sinceramente non so che farmene.
Ma questa è, come sempre, un’altra storia, e io ho finito le parole che avevo a disposizione.
In compenso sono tornato a fare 16 litri di benzina con 20 €, e l’Euribor finalmente scende, anche se molto lentamente.
SOMMARIO DEL N.37
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