[Si Muore] Una rosa per i compagni
giovedì 28 luglio 2011 | Scritto da Matteo Pugliese - 2.417 letture |
I tragici fatti norvegesi meritavano di essere ricordati anche qui su Labouratorio, la cui spina dorsale, vale la pena ricordarlo, sono tanti giovani socialisti europei. Uno di loro è il nostro Matteo Pugliese, a cui abbiamo chiesto di scrivere i suoi pensieri sull’accaduto.
L’AUF, la Lega dei Giovani Labouristi, ha cresciuto generazioni di socialdemocratici norvegesi. Come la Norvegia, anche la giovanile del Partito Labourista si tiene in disparte dagli organismi internazionali, ma questo non rende il legame coi compagni meno forte. Una giovanile fatta di giornate sui prati bagnati dal debole sole scandinavo, in stile ‘scout’, ma anche di educazione alla politica fondata su credibilità, responsabilità, rigore, concretezza, solidarietà. Prati come quello di Utoya, definito dallo stesso premier labourista Stoltenberg ‘paradiso della sua giovinezza’, trasformato in un mostruoso incubo di morte. E’ difficile superare il profondo dolore, snebbiare la mente dalla disperazione e il viso dalle lacrime, ma provo a farlo per dare qualche risposta, qualche rassicurazione, qualche motivo per sperare.
Sbaglia chi classifica la strage di Utoya come il gesto di un folle isolato, come un fatto tragico, inevitabile ed imprevedibile. Le vite di quasi cento giovani animati dalla passione politica, da uno spirito civico, o semplicemente dal sentirsi parte di una grande Idea, non sono state falciate per caso, annichilite da un fatto di cronaca nera ascrivibile alla psicologia criminale. Questi cento giovani spazzati via da una furia fredda e calcolatrice sono le vittime innocenti di un fenomeno antico che serpeggia come un fiume carsico.
La ‘società aperta’ vessillo del primo ministro Stoltenberg è figlia di una lunga tradizione scandinava di politiche progressiste, dallo svedese Olof Palme alla stessa ex premier norvegese Gro Harlem Brundtland (anche lei poche ore prima sull’isola e nel mirino di Breivik), esempi di coraggiosa intransigenza verso le ingiustizie interne ed esterne, verso le forme di intolleranza e disparità di genere.
L’isola di Utoya, di proprietà del Partito Labourista, ha visto crescere lo stesso Stoltenberg in quella cultura generosa e contestatrice… La Norvegia durante i suoi mandati ha consolidato lo stato sociale, la solidarietà e la tolleranza per il diverso, elementi insopportabili per un cancro sotterraneo di cui Anders Breivik si è fatto portatore. L’odio per il multiculturalismo e l’intolleranza si sono insinuati nella pacifica società norvegese ed hanno scosso con violenza le abitudini quotidiane dei suoi abitanti.
Perché i labouristi? Perché sono stati alfieri di questa politica progressista e difensori degli emarginati. Perché i giovani? Perché recidere il germoglio è il modo più sicuro per negare un futuro a quell’Idea.
Eskil Pedersen, leader dei giovani labouristi, ancora traumatizzato dall’esperienza vissuta in prima persona sull’isola, racconta con la voce rotta di “giovani che si battono perché un essere umano non venga discriminato per il colore della propria pelle o per la sua fede religiosa. Giovani che credono negli ideali di tolleranza e antirazzismo. Il nostro impegno si moltiplicherà, è questo il modo per onorare i nostri compagni uccisi. Noi non ci faremo zittire. Mai.”
Quanto alle vergognose tesi di Vittorio Feltri per cui i giovani sono stati degli “incapaci, egoisti e rammolliti” in quanto nessuno abbia avuto il coraggio di immolarsi lanciandosi sull’attentatore, ci auguriamo solo che venga espulso dall’Ordine dei giornalisti con disonore. E’ un insulto infame addossare la colpa su innocenti ragazzi terrorizzati e presi di sorpresa. (Nonostante non siano mancati disperati tentativi di fermare l’attentatore da parte di un poliziotto fuori servizio, vicino alla famiglia reale, abbattuto all’istante).
Già iniziano a circolare commenti giornalistici e pareri di esperti sul profilo psicologico del massacratore Breivik. Si fa a gara tra i radical-chic nel brillare per falso garantismo, definendo l’ergastolo inadeguato ed inumano alla situazione. Io penso che la funzione rieducativa della pena in certi casi debba essere esclusa, in quanto non c’è giustificazione per uno dei peggiori atti che l’uomo possa compiere, preparato per anni con cura e freddezza, calcolato nei particolari e compiuto con tranquillità. Chi si fingeva morto veniva freddato alla testa per sicurezza. Beivik ha affermato tramite il suo avvocato che l’azione è stata “crudele ma necessaria”, quindi consapevole della gravità e capace di intendere e di volere. La storia ha conosciuto in altre epoche simili situazioni, a cui la società civile e democratica ci ha disabituato, tanto dal tendere a concepire una strage come un gesto folle. La lucidità di Breivik dimostra il contrario, è un fenomeno sociale e politico sottovalutato e pericoloso, una condanna esemplare servirà non solo a lenire l’immenso dolore delle famiglie e degli amici, ma anche a prevenire in parte future intolleranze.
La crisi profonda che attraversa l’Europa è culturale prima che politica. Fatti economici e xenofobia sono figli dello stesso fallimento della classe dirigente europea, votata all’autoconservazione e manchevole di una politica comunitaria di sviluppo democratico. O si fa l’Europa o si muore. Il Vecchio Continente è chiamato all’ennesima prova, superare il terrore, ritrovare lo spirito di Ventotene. Possa l’Europa imparare una lezione indelebile, uno di quegli eventi che non vorremmo mai ricordare negli annali. La risposta, come ha affermato Stoltenberg, è più forza e più democrazia, non dimenticando che per Goethe “la tolleranza dovrebbe essere una fase di passaggio. Dovrebbe portare al rispetto.”
Matteo Pugliese, 20 anni, giovane compagno socialista europeo. Proprio come loro.
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