[Labouratorio intervista Bruno Tabacci] “Bene Marchionne, sindacati guardino al modello tedesco”
giovedì 13 gennaio 2011 | Scritto da Redazione - 1.388 letture |
Labouratorio si fa serio per trattare questioni serissime. Ci troviamo quasi in imbarazzo ad ospitare sul nostro sito tre interviste di tre esponenti politici di primo livello.
Ed e’ davvero un grande onore per noi pubblicare l’intervista esclusiva di questo personaggio di primo piano della scena politica. Si tratta veramente di un ospite d’eccezione, noto e apprezzato un po’ in tutto lo spettro politico per le sue competenze ed esperienza in materia di politica economica. Ha ricoperto ruoli prestigiosissimi, tra cui la presidenza della regione Lombardia. E’ la degna ciliegina di un numero esplosivo. Labouratorio intervista Bruno Tabacci!
1) Come giudica il valore dell’accordo di Mirafiori, e più in generale la gestione Marchionne, per la strategia di rilancio della Fiat e il suo futuro in un mercato difficile come quello dell’auto?
Considero positivamente il tenore dell’accordo di Mirafiori così come più in generale la gestione che l’amministratore delegato della Fiat Marchionne ha impostato in questi anni. D’altro canto già in occasione della indagine conoscitiva sul settore dell’auto svolta dalla Commissione Attività della Camera dei Deputati da me presieduta nel 2003 è emerso con evidenza che al termine di un profondo processo di ristrutturazione del settore auto nel mondo non sarebbero rimasti più di sei sette produttori a livello complessivo. E la Fiat avrebbe potuto essere uno di questi solo sottoponendosi ad una strategia di rilancio che coinvolgeva l’azionariato, il management e anche i lavoratori italiani. Marchionne ha operato con efficacia, tra l’altro saldando la vicenda italiana alle opportunità che si sono aperte sul mercato internazionale con la crisi dei produttori americani.
2) Il Governo ha dato appoggio incondizionato alla dirigenza della Fiat, sostenendo l’accordo di Mirafiori cosi come aveva fatto con Pomigliano. L’azione del governo ha perseguito l’interesse del paese
nel difendere esclusivamente le ragioni del Lingotto?
Penso che il governo abbia avuto ragione nel sostenere la dirigenza Fiat sia in occasione dell’accordo di Pomigliano che in quello di Mirafiori. Sono parsi un po’ forzati taluni passaggi del ministro del Lavoro, più preoccupato di dividere il sindacato che di tenere insieme le ragioni di uno sviluppo fondato su nuove relazioni industriali.
3)Molti commentatori anche a sinistra sottolineano come l’accordo sia di fatto inevitabile per restare competitivi nel mondo globalizzato. Tuttavia questa visione sembra implicitamente assumere un progetto di sviluppo del paese ancora incentrato sulla grande industria. Qual è la sua opinione in merito? E’ sensato puntare ancora sulla FIAT o e’ possibile pensare a un piano di sviluppo credibile che prescinda dall’azienda torinese, anche in considerazione del valore produttivo della PMI nell’economia italiana?
Non c’è dubbio che la globalizzazione è una condizione oggettiva, si produce per il mercato mondiale e le rendite di posizione tendono a ridursi. In questo contesto la tradizione dell’auto in Italia deve essere confermata da una capacità di stare sul mercato dei modelli quanto a qualità e a quantità prodotte. Una grande impresa come Fiat non è in contrasto con il sistema delle Pmi, tanto è vero che gran parte dell’indotto dell’auto italiano serve anche diverse altre case produttrici straniere. Ma è bene che il sistema industriale italiano poggi su un assetto che oltre alle piccole imprese abbia anche una robusta struttura centrale di imprese medie e alcuni gruppi industriali di dimensione e peso mondiale. La Fiat è uno di questi ed è bene continui ad esserlo
4)L’accordo di Mirafiori, così come in precedenza quello di Pomigliano, hanno rappresentato una cesura netta nell’ambito delle relazioni sindacali. Finito il tempo della concertazione, Marchionne ha imposto il suo diktat a sindacati in una posizione di estrema debolezza. Cosa implicano questi accordi per il futuro ruolo dei sindacati nella tutela dei lavoratori?
Sono convinto che l’evoluzione delle relazioni sindacali sia inevitabile, qualche lezione ci viene dall’esperienza tedesca dove la tradizione della compartecipazione dei lavoratori alla gestione del sistema industriale ne ha rafforzato la struttura. Credo che anche in Italia il concetto delle controparti debba essere rivisto senza che questo comporti una riduzione dei diritti acquisiti dai lavoratori. Ma il rafforzamento della struttura industriale del Paese è in qualche modo pregiudiziale alle definizioni dei rapporti contrattuali perché se scompare la fabbrica scompare anche il contratto.
5)Di fronte alla difficoltà di coniugare la difesa di diritti e tutele per i lavoratori con il futuro degli stabilimenti di Pomigliano e Mirafiori e dei posti di lavoro, il PD non è stato in grado di esprimersi con una voce chiara. Come giudica le mosse dei partiti della sinistra rispetto alla questione Fiat?
Il Pd su questo come su altri argomenti è parso incerto e costretto a tenere insieme esigenze opposte. E’ una condizione che si può capire anche se una incertezza eccessiva finisce per minarne la credibilità dell’azione.
6) Ampliando un pò la prospettiva, la vicenda della Fiat inquadrata nel contesto generale della crisi economica e della globalizzazione economica sembra indicatrice di un cambio di paradigma anche nei rapporti tra Capitale e Lavoro. Il XX secolo sembra essersi portato via tanto il compromesso socialdemocratico quanto l’ultimo trentennio di entusiasmo neoliberista. In quali forme pensi che possa evolversi il conflitto tra capitale e lavoro nel nuovo scenario globale?
Sicuramente si va verso uno scenario che prevede una revisione dei rapporti di forza tra capitale e lavoro. In realtà il secolo appena iniziato dovrà ridefinire il rapporto complessivo tra l’uomo e l’ambiente in cui vive. Non è in discussione solo il rapporto tra capitale e lavoro ma il peso crescente di elementi decisivi: demografia, ambiente ed energia; in definitiva il modello di sviluppo che non può essere fondato unicamente sulla radicalizzazione del consumo.
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