pubblicato su Notizie Radicali il 9-2-2011
Il corpo, liberato dalla disciplina dei poteri e risvegliato dai movimenti femministi, fu elemento dinamico, di rottura di pregiudizi e sistemi immobili da tempo immemore. Quel corpo che era stato finalmente smascherato, negli anni successivi, lentamente, viene di nuovo espropriato, e la minigonna da simbolo di rivolta diventa un travestimento: quei centimetri di pelle imposti non hanno alcuna accezione o parvenza di liberalismo ed emancipazione. Solo la più cruda manifestazione di un potere che può tutto quello che vuole e di uno scambio per l’utile e non per il piacere.
Di fronte a questo furto e stravolgimento di significati, la reazione del popolo delle “indignate” scivola verso il moralismo, e non coglie che dietro la svendita dei corpi (così come quella dei voti, la corruzione) c’è “l’affare”, il “regime delle clientele” tutto italiano, che alleva le disparità più profonde.
In principio furono le femministe. Le ragazze della mia generazione forse non partecipano fino in fondo del senso di quelle loro battaglie. Per noi figlie degli anni ’80, nate in un’epoca in cui non credevamo di dover rivendicare un posto già nostro, l’aborto, il divorzio, la pillola, il sesso libero, ma anche andare all’università erano già cose date per scontato, acquisite. Solo di recente ho cominciato a riflettere sul senso della liberazione del corpo. Corpi che si scoprivano appunto per scoprirsi. La minigonna per dire questo corpo è mio, questo corpo che mi è stato espropriato, che per tutto questo tempo è appartenuto alla società, alla società dei maschi, della chiesa, del potere, eccolo qui, questo corpo io lo scopro solo ora e ne faccio quello che voglio, ne traggo il piacere e le conseguenze che voglio. “Nessuna libertà è possibile senza la libertà sessuale” diceva Adele Faccio in una intervista televisiva nel 1976. Fu così che, infatti, la sessualità, il corpo, il sesso irruppe con un’energia mai vista prima nella politica, fu così che questi movimenti riuscirono a strappare al potere una parte del controllo sulla loro nuda vita, sui loro corpi nudi.
Poi venne Cicciolina e il binomio sesso e potere. Fine anni Ottanta dagli Stati uniti all’Inghilterra al Giappone passando per la Grecia di Papandreu gli uomini di governo e i politici di primo piano venivano spazzati da scandali sessuali che li vedevano coinvolti. In Italia avviene uno scandalo all’inverso: Cicciolina, la diva del sesso per eccellenza, va in Parlamento. La pornostar Ungherese e il suo manager Riccardo Schicchi avevano intuito già da tempo le potenzialità di un mix esplosivo come quello tra il corpo nudo di una donna e la politica. Infatti la Staller già dal 1979 aveva cercato di intrufolarsi nella politica candidandosi nelle Liste del sole in Sicilia, inseguendo invano Craxi e i socialisti ai loro congressi, oppure improvvisando manifestazioni contro il nucleare. Nel 1986 incontrò i Radicali e si iscrisse al partito ottenendo il diritto, come ogni iscritto, ad essere candidata alla Camera dei Deputati. Il suo nome era, al posto 49, in fondo alla lista, dopo Domenico Modugno, Bruno Zevi, Adele Faccio, Emma Bonino, e il generale Ambrogio Viviani. Nella raccolta delle preferenze si piazza seconda, alle spalle di Pannella. “Uno shock”, “sberleffo delle istituzioni”, “una vergogna”, i commenti più diffusi alla sua elezione. E il bersaglio polemico, i responsabili materiali di questo oltraggio vennero identificati nei Radicali. Ma bene ha fatto Pannella a ricordare sempre che la “responsabilità” dell’elezione della porno diva non era dei radicali bensì degli italiani che in 20mila scrissero Staller sulle schede elettorali e di quei giornali come la Repubblica di Scalfari che crearono un vero caso mediatico. Un trionfo del sistema proporzionale o un suo effetto collaterale, fatto sta che la sua elezione e la sua popolarità furono un fenomeno di massa e un presagio minaccioso di quello che sarebbe venuto dopo. “Cicciolina è un sogno della società italiana che affiora quasi involontariamente” disse Federico Fellini. Più realisticamente possiamo dire che l’elezione della pornostar era il simbolo più evidente di una società fortemente improntata ai valori maschili: la pornografia irrompeva nel cuore delle istituzioni prefigurando la politica- spettacolo degli anni a venire. Profetiche sembrano le parole di Roger Gerard Schwartzenberg in “Lo Stato spettacolo”, uno dei primi testi sull’argomento, che partendo dal triste destino del cittadino “che si crede libero, attivo, influente, quando invece non è che uno spettatore”, lo studioso francese approda all’idea per cui il “voyerismo rischiava di soppiantare la democrazia, la partecipazione e la realtà”.
L’eccezione diventa la regola. Politica sesso e televisione. Lo scandalo del modello-Cicciolina oggi è stato privato della sua carica di provocazione. Se intorno alla Staller si creava una bolla d’aria quando entrava alla Camera, oggi i nostri deputati sono avvezzi ad avere come colleghe soubrette e ballerine di Colorado cafè, certo mimetizzate con tailleurs e collane di perle. Non voglio mettere Ilona e le “arcorine” sullo stesso piano, infatti questa si era mostrata per quello che era, accentuando e battendo proprio sul suo bagaglio erotico e sulla sua qualifica di pornostar, evocando tutto questo, mostrandosi senza maschera addirittura senza veli: mostrava le tette per chiedere voti (fu la prima donna a mostrare le tette nella tv italiana). La televisione. Questo è l’elemento che dagli anni Ottanta in poi catalizza i linguaggi e i contenuti della politica. Su TeleMilano di Berlusconi vanno in onda le trasmissioni che ispireranno tutti “Drive in” d’Italia, e che saranno la matrice dell’immaginario comune sulle donne, il corpo e i desideri degli italiani. Matrice che, checchè se ne dica, ha influenzato e veicolato valori e disvalori nella società italiana molto più di quello che si creda. Dalla televisione Berlusconi ha portato in politica: se stesso, i linguaggi e anche le vallette. Studi televisivi e stanze del potere diventano pian piano ambienti dai confini porosi, che sconfinano gli uni negli altri, con travasi continui.
Il fronte delle indignate. “Sono certa che la prostituzione consapevole sia la scelta, se scelta a queste condizioni si può chiamare, di una minima minoranza. È dunque alle altre, a tutte le altre donne che mi rivolgo”. Concita de Gregorio nell’appello “Ora basta” divide con l’accetta tra le puttane e il resto delle donne, rivolgendosi esclusivamente a queste ultime. Spulciando in rete alla ricerca di qualche contenuto sulla manifestazione indetta per il 13 febbraio ci si imbatte continuamente in affermazioni che rimandano alla “morale”, alla “decenza”, all’ “inquinamento della coscienza civile”. Il dibattito femminista pare proprio abbia preso uno scivolone moralista che confonde sul nodo della questione. Le “donne trattate come merce dal Sultano” si presuppone abbiano una loro soggettività che va pur considerata. Le notti di Arcore sono la metafora della notte italiana, ha detto Zagrebelsky. Nella Villa e nel paese ci sono gli stessi ingredienti: da una parte un’enorme disponibilità di mezzi (soldi e posti) per cambiare l’esistenza degli altri attraverso l’elargizione di favori (gioielli, buste paga in nero, ruoli politici distribuiti come proprietà privata); dall’altra parte disponibilità ad offrire se stessi (sesso, corpo, voti, corruzione). Il meccanismo è sempre lo stesso: benefici e potere in cambio di prove di sottomissione e fedeltà.
E’ curioso, quindi, come ci si scontri nelle piazze su questioni di decenza, con le mutande in testa, e non ci si opponga a questo “regime delle clientele” di cui sicuramente Berlusconi è la punta più in vista ma non l’unico responsabile. A questo le donne indignate non si oppongono. E ho buone ragioni per credere che finchè ci sarà indign-azione, finchè l’azione sarà giudicata indegna, finchè la dignità verrà giudicata solo su comportamenti sessuali, questo regime rimarrà ben saldo. Agli uomini che stanno accorrendo in piazza a difendere la dignità delle donne, ai politici del Pd dell’Idv in particolare, vorrei chiedere che spazio hanno dato alle donne all’interno dei loro direttivi, quali nomine, quali responsabilità, con che coraggio hanno affrontato fuori e dentro il Parlamento le questioni del lavoro femminile, della procreazione, del welfare, dell’assistenza sanitaria che grava sulle donne.
Una nuova espropriazione del corpo. Per concludere possiamo usare la minigonna come metafora per leggere questa parabola del rapporto sesso- potere. Inizialmente simbolo di rivolta, di liberazione sessuale, di scoperta del corpo, è oggi aggredito dalla rabbia e dall’indignazione come simbolo di sconcezza, di corpi in vendita, di desiderio dell’imperatore. Ma la minigonna è anche una maschera, invece di scoprire il corpo (nel senso di conoscerlo), lo appiattisce, lo conforma, lo rende caricatura di se stesso. Forse siamo di fronte ad una nuova espropriazione del corpo , visto ancora come un mezzo per il raggiungimento di qualche fine utile e non come fine a se stesso, non come padrone di se stesso, e mai come piacere. E’ questa la liberazione sessuale che vogliamo? Questi corpi televisivi, di bellezze standardizzate secondo presunte preferenze maschili, questi corpi rifatti e per questo di nuovo nascosti sono nuovamente espropriati dai poteri forti, gettoni d’ingresso per il mondo del lavoro, dello spettacolo, della politica. Non vedo qui nessun tipo di liberalismo nella gestione del proprio corpo. Solo la più cruda manifestazione di un potere che può tutto quello che vuole, di un potere che si serve in un Paese dove niente è lecito ma tutto è consentito.
Antonella Soldo, 24 anni, è una terrona trapiantata a Roma per fare cose inutili come studiare filosofia. Svezzata al giornalismo nei seriosi ambienti di Radio Radicale non è in grado di fare di sè una presentazione auto ironica.
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