[Mondoperaio in Labouratorio] Distrazioni bipartisan
domenica 13 marzo 2011 | Scritto da Redazione - 770 letture |
Una diagnosi accorata e seria sulla situazione attuale del paese, quella che Giorgio Napolitano ha esposto nel discorso di fine anno. Un monito dai toni lungimiranti, che ha saputo mettere in luce temi importanti quasi dimenticati dalla politica da mesi. Uno sguardo sulle tante sfide che il nostro paese dovrà fronteggiare per il prossimo decennio: precarietà giovanile, l’enorme distanza tra politica e cittadini, un debito pubblico in perenne crescita, la costruzione di un federalismo fiscale “solidale” che possa ridurre il divario tra nord e sud, e infine la rilevanza del Risorgimento. Sul piano internazionale, il Presidente ha esortato il rilancio di un’Europa che ad oggi è ancora ferma e incapace di agire davvero come Unione di Stati e di popoli, di aprire quella nuova prospettiva di sviluppo dell’economia e dell’occupazione. Non ultima, la preoccupazione per un Occidente in crisi di egemonia ed identità, in un mondo globale fatto di nuovi scenari e protagonisti, come India, Cina e Brasile. Non è mancata la “questione giovanile”: le proteste contro la riforma Gelmini e l’incontro prenatalizio con i rappresentanti del movimento studentesco hanno sicuramente offerto lo spunto a Napolitano per rimettere al centro del suo messaggio il rapporto tra i giovani e la “precarietà”, che oltre a divenire sempre più spettro materiale assurge ormai a paradigma esistenziale. Una disoccupazione giovanile dilagante deve diventare – raccomanda il Presidente – “l’assillo comune della nazione”. Sembra un copione già recitato se pensiamo che da maggio scorso lo stesso Mario Draghi menzionava, dati alla mano, le problematiche relative alla disoccupazione giovanile (dati poi rimasti lettera morta sul campo dell’azione politica).
Le problematiche del mondo giovanile si snodano su due aspetti fondamentali: il primo è la mancanza di possibilità reali di avanzamento, dato che il nuovo contesto economico globale macchiato dalla crisi – continua il Presidente – ha reso ormai “irrealistico e non più perseguibile, per noi occidentali, il sogno di un continuo progredire nel benessere ai ritmi e nei modi del passato”. Stando ai pericoli messi in evidenza dalla crisi della finanza globale, nel monologo del Presidente si avverte un invito alla riflessione sui limiti della cosiddetta “teologia del Pil” e dello sviluppo infinito. Dopo un 2010 dominato – avverte il Presidente – “dalle condizioni di persistente crisi ed incertezza dell’economia e del tessuto sociale” che ha diffuso l’ansia di “non poterci più aspettare un ulteriore avanzamento e progresso di generazione in generazione come nel passato”. Da qui l’esortazione a non lasciarci paralizzare da quest’ansia e a non rinunciare “al desiderio e alla speranza di nuovi e più degni traguardi da raggiungere, nel mondo segnato da un processo di globalizzazione”, che lo stesso Napolitano non esita a definire “ambiguo” per le gravi ricadute sul terreno dei diritti democratici e delle diversità culturali.
Non sarà forse un richiamo alla convivenza con i famosi “fantasmi della decrescita” a cui fa riferimento da tempo il sociologo Latouche, che stranamente faticano ad entrare nel dibattito pubblico del nostro paese? Sapendo bene – puntualizza il Presidente – “di non poter contare più su un futuro di certezze garantite dallo Stato, ma di aver piuttosto diritto ad un futuro di possibilità reali, di opportunità cui accedere nell’eguaglianza dei punti di partenza secondo lo spirito della Costituzione”. Napolitano ha chiesto a gran voce più risorse da stanziare per finanziare cultura, università, formazione a favore dei giovani.
Ma per liberare le risorse pubbliche e ampliare le opportunità – avverte il Presidente – occorre sacrificio da parte delle tante categorie di cittadini adulti e anziani che ancora godono di garanzie non più sostenibili, spesso immeritate, e che paradossalmente sono pagate dagli stessi giovani. Il secondo aspetto è il distacco allarmante dei giovani dalla politica: senza dialogo e senza nuove forme di coinvolgimento dei giovani nei processi decisionali, la stessa democrazia potrebbe risentirne, “andare in scacco”. Il monologo del presidente, che non è un diretto j’accuse contro il governo, non ha comunque esentato la classe politica dalle sue responsabilità, mettendola di fronte ai suoi fallimenti. Ma chi raccoglierà concretamente le parole del Presidente, al di là degli elogi solenni e bipartisan che sempre accompagnano i suoi moniti? Il genere “giovani” risulta avere ampia fortuna nella retorica del mondo politico, ma allo stesso tempo ancora scarsa risolutezza dal punto di vista dell’azione politica. Per evitare che gli impegni urgenti nei confronti dei giovani rimangano figli di un paternalismo stucchevole e controproducente, per non lasciare questo contributo d’impronta civile a mero rito da galateo istituzionale, sarebbe ora che la classe dirigente facesse tesoro delle parole del Presidente. Altrimenti Napolitano avrebbe “abbaiato alla luna”.
Rosario Russo
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