[Governi tecnici] Il Governo Monti e la costruzione di una legittimazione politica costituente
domenica 26 febbraio 2012 | Scritto da Tommaso Gazzolo - 3.630 letture |
“Perché la storia procede così? Affinché
l’umanità si separi serenamente dal suo passato” (K. Marx)
La linea di discrimine tra quello che usa definirsi un governo tecnico ed un governo politico può essere individuata nella differente legittimazione della loro autorità. Un governo è “tecnico” quando deriva la propria legittimità politica da un’autorità al di fuori di se stesso, del suo Capo (in Italia, al di fuori del Presidente del Consiglio). È “politico”, per contro, quel governo che fonda la propria legittimazione – ossia la giustificazione del proprio potere – sulla sua stessa autorità.
In tal senso, il governo tecnico viene nominato: la sua autorità è trasmessa, condizionata e dipende dall’esistenza di un’altra autorità che lo legittima. Il governo politico, invece, viene eletto: la sua autorità viene riconosciuta in virtù di una legittimazione che ha in se stesso. Un governo, infatti, non acquista una legittimità politica perché è stato eletto, ma viene eletto perché possiede in sé una legittimità politica (Kojève).
Il Governo di Mario Monti è stato presentato, sin dal suo esordio, come un governo “tecnico”, legittimato dalla nomina presidenziale secondo la “prassi” costituzionale sottesa all’art. 92 Cost. (consultazioni, mandato esplorativo, incarico).
Tre circostanze hanno, tuttavia, contribuito a costituire uno strato intermedio tale da rendere disponibile al Governo un orizzonte di legittimazione politica indipendente da quello aperto dal Presidente della Repubblica. Esse sono state: la pressione internazionale esercitata sull’Italia, soprattutto da parte della Germania; il presunto “stato di necessità” derivante dalla “crisi economica” del Paese; infine, la delegittimazione dei partiti politici.
Si tratta di fattori tali da non consentire, di per se stessi, una legittimazione “politica” – ossia spontanea ed incondizionata – del Governo oggi in carica. Essi segnano, piuttosto, uno stato di apertura alla pre-legittimità (Ferrero), una possibilità per il Governo di sostenere un reale principio di legittimità (e non ancora, invece, di essere da esso sostenuto).
Nei primi “cento giorni” del Governo Monti sembra potersi intravvedere questo “passaggio”, questa “apertura” alla costruzione di una legittimazione autonoma del Governo, separata ed indipendente da quella legittimità “tecnica” trasmessa ad esso dal Capo dello Stato. La visita negli Stati Uniti del febbraio scorso ha, in questo senso, segnato una nuova rappresentazione del Governo italiano: il suo “presentarsi” non è stato quello dello stare per l’autorità del Capo dello Stato. È stato un’autopresentazione legittimante. “Today he reigns over Rome like a new Caesar”, ha commentato il Time.
È d’un certo interesse capire in quale modo sarà possibile al Governo Monti costruire una legittimazione “politica” e quale funzione assumeranno, in questo processo, quei fattori di pre-legittimità sopra ricordati.
La pressione internazionale ed il presunto “stato di necessità” hanno persuaso alcuni ad individuare nel Governo Monti una sorta “dittatura commissaria”[1], caratterizzata, cioè, da “tecnicità”, razionalità ed esecuzione. Un governo legittimato in quanto chiamato a realizzare un determinato stato di cose (C. Schmitt), senza finalità politiche ulteriori ed attraverso il ricorso a poteri derivati.
Una simile valutazione, tuttavia, non risolve – ma al contrario “allontana” – il problema della legittimazione “politica” dell’attuale Governo. In primo luogo, infatti, essa confonde impropriamente la “dittatura commissaria” – che concerne un meccanismo istituzionale interno – con quella forma di controllo internazionale che è il “collaborazionismo”. La pressione internazionale non impone all’Italia un governo, ma una determinata posizione di “collaborazione”, ossia: “Dammi il tuo orologio, ti dirò che ore sono” (J. Galtier-Boissière).
In secondo luogo, la tesi della “dittatura commissaria” non tiene conto proprio del fatto che tale autorità non fonda, di per sé, alcuna legittimazione “politica”. Essa, infatti, si caratterizza per la durata limitata – in quanto la legittimazione della dittatura cessa nel momento stesso in cui viene raggiunto il “risultato” -, nonché per il carattere essenzialmente “tecnico” dell’autorità del dictator/commissario – il quale è legittimato da un’autorità altra da sé.
Se, dunque, esistono tendenze di prelegittimità nel Governo Monti, esse devono indurci a cercare quella possibile legittimazione di natura “politica” in grado di sostituire la legittimità “commissaria” e tecnica sino ad oggi affermata come tratto tipico dell’attuale Governo.
La nomina del Governo Monti è coincisa con la fine – dovuta ad una definitiva e permanente delegittimazione – del rapporto tra funzione ed organizzazione dell’Assemblea e ruolo costituzionale dei partiti politici.
Il collasso del soggetto “partito politico” rappresenta la fine della forma del potere parlamentare per come si era stabilizzata a partire dall’avvento del fascismo. Il partito politico aveva fissato e garantito l’esercizio e la funzione della sovranità (del “potere costituente”) mediante la rappresentanza nell’Assemblea. Nel sistema costituzionale italiano, è stato il partito politico a legittimare il potere parlamentare, e non viceversa. Il potere parlamentare ha derivato la propria legittimazione, nel nostro ordinamento, nel suo essere espressione del soggetto costituzionale partito.
Si presenta così, per la prima volta, il problema della definizione del potere parlamentare come non legittimato dal partito politico. Non si può, infatti, eludere il fatto che, in questi mesi, si è assistito al compimento del punto cardine della Costituzione repubblicana: la legittimazione dell’Assemblea attraverso il partito politico[2]. È tale problema che “apre” la possibilità, per il Governo, di una legittimazione profondamente differente da quella “commissaria” fin qui sostenuta: la possibilità, in altri termini, di una legittimità politica il cui fondamento non è più il potere come “stare per” proprio del governo tecnico.
Il Governo ha già iniziato ad indicare, quale condizione indispensabile per assolvere il suo compito esecutivo – che continua ad essere presentato come “risultato pratico”, ossia come un problema essenzialmente tecnico –, non più la necessità di “reperire mezzi adeguati”, bensì quella di “rimuovere” stati di cose. “Rimuovere” è un problema di esecuzione non più tecnica, ma politica. Il Governo continua dunque a presentarsi come un’autorità che si prefigge di “rendersi superflua” (C. Schmitt), ma con una modifica sostanziale, ossia iniziando a costituire l’ordinamento:
Il mio governo? Una parentesi, ma potrebbe determinare una rivoluzione se non altro per i provvedimenti che intende approvare prima della fine della legislatura […] i partiti non oseranno tornare all’acrimonia, alla superficiale e dura contrapposizione che ha animato il parlamento perché l’immagine e lo stile del dibattito pubblico è cambiato (M. Monti, intervista al “Financial Times”, 18 Gennaio 2012).
Monti ha già iniziato, in tal senso, a presentare il proprio Governo non più soltanto come autorità del presente, della “necessità”, del “rischio dell’ora e adesso” da superare. Da qualche tempo, egli si rivolge con sempre maggior insistenza alla trasformazione dell’attuale presente in funzione di un avvenire e spezzando ogni continuità con il recente passato politico. «Spero di cambiare il modo di vivere degli italiani», ha dichiarato Monti nel corso della sua visita negli Stati Uniti. Ciò significa porsi nella prospettiva di una legittimazione costruita sull’idea di una “rivoluzione nazionale”. Ossia una prospettiva esattamente antitetica e rovesciata rispetto alla natura propria di una “dittatura commissaria”: dall’autorità propria dell’archetipo del “militare” a quella propria del “legislatore”. Dal “comando” al “progetto”. L’autentica legittimazione politica richiede, in altri termini, l’anticipazione, e non la semplice attesa. Richiede di agire nella “situazione” aperta dal progetto, e non secondo le “circostanze” imposte dal presente.
Il Governo avrà, tuttavia, bisogno di un pieno principio di legittimità, che non può consistere nel semplice “vuoto” del potere parlamentare, né nel mero sostegno internazionale. Dovrà “combinare” tra loro gli elementi di pre-legittimità che oggi lo sostengono.
Tale possibilità è, del resto, già stata adombrata nelle recenti dichiarazioni da parte di Veltroni e Berlusconi[3]. Dichiarazioni che tradiscono un’operazione di legittimazione e riconoscimento democratico-elettorale del Governo Monti. L’anacronistica sopravvivenza dei partiti politici potrebbe sostenere l’indizione di nuove elezioni– e dunque il richiamo del principio di legittimità democratico (“elezionistico”) – senza la formale candidatura di Monti, salvo poi indicare una soluzione condivisa per la nomina del Capo del Governo individuando in Monti “l’uomo giusto al posto giusto”, come ha detto il segretario generale dell’OCSE.
Paradossalmente, dunque, il problema attuale del Governo Monti è quello di uscire dalla legittimazione propria di una “dittatura commissaria”, ossia da una forma “tecnica” d’autorità che, come tale, non gli consente di giocare un ruolo nell’“orizzonte costituente” che oggi si è definitivamente aperto.
Non è dato, tuttavia, sapere se e quale formula segnerà la definitiva legittimazione “politica” dell’autorità Governo. Nulla consente di escludere, peraltro, che la formula politica non possa essere trovata attraverso una nuova legittimazione dell’autorità del Capo dello Stato, piuttosto che del Capo del Governo (Il mandato di Giorgio Napolitano scadrà nel Maggio 2013). Proprio l’apertura della pre-legittimità e la fine del “soggetto costituzionale sovrano” (il partito politico) consentono infatti di rideterminare le relazioni di potere tra Parlamento, Governo e Presidenza della Repubblica.
È possibile che, per ora, non vi sia alcun “piano” già definito, e che Monti e i suoi ministri lavorino all’avvenire “come i tessitori di alto liccio lavorano ai loro arazzi, senza vederlo”. Se, tuttavia, sarà trovata la “formula politica”, ci troveremo allora a dover fare i conti con l’apparizione di un autentico potere costituente. Ovviamente i partiti politici non se renderanno neppure conto: la morte della nostra attuale Costituzione sarà serena, comica e, per questo, pericolosa.
Tommaso Gazzolo
[1] Cfr., ex multis, S. Merlo, Monti alla prova della dittatura commissaria, in «Il Foglio», 14 novembre 2011; M. Revelli, Bacio il rospo Monti. Però…, in «Il Manifesto», 17 Novembre 2011; B. Vecchi, Se L’Europa fosse un contropotere. Intervista a Etienne Balibar, in «Il Manifesto», 19 Novembre 2011; P. De Marco, Meditazione sulla legittimità e i limiti del governo del professor Monti, in «L’Occidentale», 4 Dicembre 2011. Per quanti hanno, invece, sostenuto la natura di “rivoluzione presidenziale” della nomina del Governo Monti, cfr. E. Capozzi, Monti/Napolitano: un presidenzialismo senza legittimazione democratica, in «L’Occidentale», 21 Novembre 2011; P. Becchi, Cronaca di un sobrio colpo di Stato, in «Libero,» 12 Gennaio 2012.
[2] Vero è che la fine del ruolo costituzionale del partito politico può essere individuata già nel 1993. Allora, tuttavia, il “partito politico” morì tragicamente, credendo e dovendo credere nella propria legittimità. Come però insegna Hegel – e come ribadirà dopo di lui Marx – l’ultima fase di una figura storica universale è sempre la sua commedia, e pertanto i partiti, già finiti in modo tragico nella storia reale, devono ancora morire comicamente. L’operazione democratica che i partiti potrebbero ancora sostenere consentirebbe allora all’Italia di separarsi serenamente dal proprio passato. Così Marx, nella Critica della filosofia del diritto di Hegel, scrive: «Gli dèi della Grecia, che già una volta erano stati tragicamente feriti a morte nel “Prometeo Incatenato” di Eschilo, dovettero ancora una volta morire comicamente nei “Dialoghi” di Luciano».
[3] Cfr. F. Massimo, La “parentesi” monti potrebbe continuare anche dopo il 2013, in «Il Corriere della Sera», 21 Febbraio 2012; Id., Cresce la spinta a collaborare anche dopo il 2013, in «Il Corriere della Sera», 22 febbraio 2012; A. La Mattina, La tentazione di Berlusconi: Monti dopo il 2013, in «La Stampa», 22 Febbraio 2012; F. Bei, La partita del PD per la premiership. Spunta la corrente dei “montiani”, in «La Repubblica», 20 febbraio 2012. Si veda anche la posizione di Casini in L’annuncio di Casini:“L’Udc chiude – dopo le amministrative si cambia”, in «La Repubblica», 17 Febbraio 2012: Cfr., sul punto, I. Diamanti, Una terza Repubblica contro i partiti?, in «La Repubblica», 20 Febbraio 2012.
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