[E poi c’è sempre il Colosseo] Non serve venderlo, basta metterlo a bilancio!
martedì 30 agosto 2011 | Scritto da Redazione - 1.609 letture |
riceviamo su redazione@labouratorio.it e prontamente pubblichiamo.
Nei giorni scorsi ha fatto scalpore il diffondersi della notizia (smentita dall’ambasciata finlandese alla quale ci siamo rivolti) della pretesa dello stato finlandese di ottenere quale mezzo digaranzia per il concorso nel salvataggio finanziario dello stato greco una sorta diipoteca sul Partenone. Più precisamente, sono circolate voci diplomatiche, riportate dalla stampa, secondo le quali la Grecia disporrebbe di beni per il valore complessivodi 300 miliardi di euro.
Quel che è certo è che, con tale atto, la Finlandia avrebbeimpresso un chiaro vulnus al principio della invalutabilità dei beni demaniali, principio che, nel gergo giuridico, verrebbe definito “tralaticio”, ossia che sitramanda di generazione in generazione meccanicamente, senza alcuna revisione dirazionalità e di attualità. Certo, finché i bilanci degli stati non creano problemi, ilprincipio tralaticio può ancora essere salvato senza troppi pensieri, ma nel momentoin cui persino gli U.S.A. rischiano il default, qualcuno potrebbe cominciare achiedersi come mai le ricchezze maggiori di un Paese continuano a restare fuori dalbilancio dello stato, cosa che non sarebbe permessa a una società privata. Del resto, se una società privata per azioni iscrive in bilancio all’attivo i propri “beni immobili”(art. 2424 c.c., c. 1, 1° cpv., n. 2), e lo stesso fanno le società in mano pubblica, non si vede perché solo lo Stato e gli altri enti territoriali debbano ignorare di possederebeni immobili e fondiari oltretutto immensi e immani. Se ne ricava che il bilanciodello Stato sia un bilancio senza cespiti immobiliari, l’unico noto con tale bizzarra caratteristica. Si consideri ad esempio questa bizzarria, per la quale se una S.p.A.possiede un terreno, questo è iscritto in bilancio e ha un valore di mercato,indipendentemente dall’esistenza di una volontà di venderlo, mentre se lo stessoterreno viene espropriato da una pubblica amministrazione questo valore sivolatilizza, dato che non viene iscritto in alcun bilancio e in alcuna sua parte: diventaun costo. Eppure già nel 1896 Antonio Labriola scriveva che, con l’evoluzione storica, lo Stato “è dovuto divenire una potenza economica”, in particolare “nelladiretta proprietà del demanio”, oltre che “nella razzia, nella preda, nell’imposizionebellica”. Si trattava dell’eredità dello Stato patrimoniale, di quelli che già per A.Smith erano i beni di sua proprietà per il sostentamento del principe, oltre che per glispostamenti delle truppe.
Oggi questo demanio è sterminato: strade e autostrade, porti e aeroporti, impianti energetici, beni storici e artistici, coste, acque territoriali, fiumi, laghi, risorse naturalidegli enti locali, miniere, cave e, per accessione, rete elettrica e cavi telefonici (almeno potenzialmente), armamenti, strade ferrate, l’etere, che viene dato inconcessione alle emittenti televisive per scarso corrispettivo, così come le costevengono “privatizzate” con concessioni per pochi denari. A tacere delle riserveauree, 2500 tonnellate in Italia, e a loro volta non contabilizzate.
Eppure tutti dicono che lo Stato è “povero”, che ha un immane deficit di bilancio, unavoragine di debiti, che non ha di che spendere: eppure stranamente quando la politicavuole lo fa. E se la Grecia ha beni per 300 miliardi l’Italia, con tutte le città d’arte, ne ha certamente molti di più…
Povero Stato, che rende poveri noi con manovre “lacrime e sangue”, quando basterebbe un ammodernamento della teoria del bilancio dello Stato per consentire manovre di crescita e non gravemente restrittive come avviene ora.
Fabio Massimo Nicosia,
Davide Leonardi,
Domenico Letizia.
Associazione “Diritto e Mercato”
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