Introduzione di Antonello Cresti
Recensioni a cura di Lorenzo Lodovichi

Cambiano i nomi dei ministri della pubblica istruzione e le considerazioni sono sempre le stesse: al livello allucinante degli studenti italioti corrisponde l’infima qualità del corpo docente. In effetti il “professore” in Italia è spesso il luogo fisico in cui si concentrano frustrazioni di ogni tipo e sarà difficile avviare una rinascita della società finchè saremo nelle mani di certi incapaci o, forse ancor peggio, di sciagurati cialtroni autonominatisi maestri di pensiero.
Nel mio interminabile percorso di studente ho avuto a che fare con molteplici bizzarrie umane ed ho avuto un unico Maestro… sono stato fortunato: per il poco tempo che ho potuto avere a che fare con l’augusta figura di Angelo Marchese, critico letterario pluritradotto e studioso di Montale (che “al giovane critico genovese” dedicò anche una sua poesia), precocemente venuto a mancare, non ho fatto altro che apprezzarne le intuizioni, gli entusiasmi, le riflessioni. Intellettuale raffinato, profondo, dall’itinerario complesso e sfaccettato Marchese ci ha lasciato diversi lavori straordinari, ma anche saggi più “esoterici” che meritano una lettura. Tra i suoi vari scritti ve ne sono due che non potranno suscitare interesse nei più attenti lettori di Labouratorio.
Abbiamo chiesto di recensirli a Lorenzo Lodovichi, giovane intellettuale di formazioni cattolica, vicino al pensiero di Pasolini e all’ecologismo di Alexander Langer.
Il senso della laicità
È dal portato e nel clima postconciliare che nasce questa opera di Marchese. Fa sorridere ripensare ad alcune sue parole in incipit, quali “…il clericalismo come fenomeno storico del mondo cristiano e in particolare cattolico è ormai superato”. D’altronde il Concilio Vaticano Secondo (terminato nel 1965) è ormai storia vecchia, espressione d’una Chiesa che si vedeva moderna, che cavalcava gli entusiasmi e le contraddizioni feconde di una Italia nel suo primo benessere.
Dunque il discorso di Marchese è utile in due modi. Primo: egli fa un analisi limpida del laicismo, e ci ricorda i termini veri della questione. Secondo: l’opera in questione è, siccome vecchia, al di sopra di ogni sospetto e del tutto scevra da ogni intento polemico. Un’informazione per tutti: “il laicismo…è il rovesciamento di una impalcatura sociologica tradizionale della cristianità espressa in strutture, costumi e atteggiamenti spirituali strettamente clericali…”. Lungi dal laico ogni negazione di Dio, e ancor più ogni negazione di esperienza religiosa. Il Concilio Vaticano II, insomma, ispira Marchese e l’enciclica “Gaudium et Spes” fa ben sperare nel superamento di ogni clericalismo.
Significativo come una recente enciclica richiami nel titolo la “Spes” senza accennare ad un qualunque “Gaudium”. D’altronde, come diceva un poeta friulano, non può essere davvero cattolico chi non è profondamente pessimista; e a onor del vero molte previsioni dei più pessimisti si sono avverate non solo sul piano della fede ma anche e soprattutto della cultura, della solidarietà, della pace. In ogni caso il benedetto Concilio pare a Marchese il segno del rovesciamento auspicato d’una certa mentalità ascetica e di allontanamento dal mondo, vale a dire l’attenuarsi della consueta opposizione di sacro e profano, la scissione definitiva di trono e altare (società decostantinizzata), il prevalere della Carità sulla Legge e della concezione Evangelica su quella politica.
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