[Delenda Carthago] Che succede ad Hammameth?
sabato 29 gennaio 2011 | Scritto da Redazione - 1.981 letture |
articolo di Stefano Del Giudice
Si dice che il terribile Catone, per ricordare ai senatori romani che l’odiata rivale era troppo vicina per fidarsi della sua apparente decadenza, esibì dei fichi freschissimi appena arrivati dalle coste cartaginesi . Tutti rimasero molto colpiti dallo scoprire che le coste tunisine non erano poi così distanti ed annuirono convinti allorchè l’implacabile leader conservatore (ancora non c’erano gli ultra –con) pronunciò la fatidica frase “delenda carthago”, sottintendendo che Roma dovesse immediatamente inviare le sue legioni secondo il modello della guerra preventiva. Il resto, si fa per dire, è storia e tutto quello che si può aggiungere è che il braccio di mare che ci separa dal nord Africa è divenuto ancora più breve da attraversare, anche grazie all’applicazione della moderna tecnologia nel settore dei trasposti aeronavali.
Nessuna meraviglia, dunque, se la strana storia della Rivoluzione dei Gelsomini, l’insurrezione che somiglia tanto ad un colpo di Stato, cattura la nostra attenzione ma è, piuttosto, legittimo motivo di preoccupazione: noi italiani, si sa, non siamo molto portati per la politica estera, ma in questo mondo globalizzato il problema non è tanto stabilire se i fichi arrivano freschi o meno, né se potremo continuare ad andare in Tunisia a goderci la solita vacanza in offerta last minute da 420 euro tutto incluso. No, questa volta il problema è più grave perché , a poca distanza temporale e fisica dalla strage di cristiani ortodossi perpetrata nel vacanziero Egitto, l’integralismo minaccia di conquistare i favori delle masse in tutto il Nord Africa e di mettervi solide e velenose radici, spostando proprio a ridosso del Mediterraneo l’immaginaria linea di tensione dello scontro di civiltà fra l’Occidente laico e secolarizzato e la versione più arcigna e teocratica dell’Islam.
Ma andiamo ai fatti: c’era una volta un Paese islamico chiamato Tunisia , che vantava un apprezzabile compromesso fra Corano e laicismo ereditato dal colonialismo francese e che, grazie anche ad un sistema presidenziale in grado di garantirsi l’appoggio dell’esercito e della grande finanza, aveva cercato di attirare lavoro e capitali puntando sulla sua vocazione turistica e sulla possibilità di convenienti investimenti produttivi soprattutto nel settore del tessile. L’anello debole del sistema, naturalmente, era costituito dal rischio insito in tutti i regimi di questo tipo, vale a dire una forma di intollerabile corruzione che, se nella Romania di Ceausescu si era risolta con un tirannicidio di Stato, qui ha finito col prendere direzioni imprevedibili, soprattutto ora che il nuovo presidente, che in combutta con l’esercito ha “rottamato“ il suo predecessore prima che fosse troppo tardi, fatica a riportare la situazione alla normalità e si trova a fronteggiare un partito integralista islamico reso più forte e rabbioso dalla crisi economica e dalla fame.
Si sa, la fame è sempre un elemento destabilizzante per le popolazioni, ma diventa un catalizzatore eccezionale per gli islamici, specialmente se quella di cui si parla non è la fame punto e basta, ma quella del giorno prima, ossia quella più dura da mandare giù: grasso che cola ( si fa per dire ! ) per l’integralismo , che si alimenta proprio dalla privazione e dalla repressione e diventa più pericoloso quanto più disattenta e pecoreccia è la valutazione dei rischi da parte dell’Occidente, diviso come al solito fra ottusi pistoleri alla GeorgedaboliùBush e pasdaran da salotto stile Turigliatto. Noi italiani, poi, siamo talmente ripiegati sul nostro piccolo mondo antico fatto di bunga bunga e conflitti di interessi da ricordarci della Tunisia (a parte per i viaggi low cost e le crociere last minute ) solo per una strofina sdrucciola di Claudio Baglioni e per una certa villa in Hammameth in cui, in tempi non sospetti, finì i suoi giorni un certo Ghino di Tacco .
Noi italiani, soprattutto, siamo talmente distratti da vicende molto più lontane ed insignificanti da ignorare persino che il governo del nostro Paese si è fidato del tiranno Ben Alì concedendogli amicizia alla faccia dei malumori espressi dal suo popolo e dalle molte misure liberticide del suo regime. E’ evidente che sarebbe ipocrita meravigliarsi di questo avendo in mente gli stretti rapporti che il nostro governo intrattiene con Paesi come la Libia, la Russia e l’Albania di Berisha, ma in questo caso, benché meno eclatante, la faccenda si complica perché la presenza di una forte componente integralista,che non ha niente a che vedere con il partito turco di Erdogan ma piuttosto fa contatto con le cellule egiziane e sudanesi, dovrebbe suggerire anche al più sprovveduto dei diplomatici che lasciar incancrenire la situazione e far dilagare rabbia e povertà è esattamente quello che non doveva e non deve essere fatto.
Tutto qui? Magari non proprio, perché magari c’è qualche imprenditore nostrano che ha preferito delocalizzare da queste parti per non andare fino in Cina od in Moldavia e che potrebbe tranquillamente spiegarci come solo un contesto di stabilità economica e di pace sociale, assicurabile solo attraverso un sistema passabilmente “democratico” e quanto più possibile virtuoso, può salvaguardare l’esistente ed assicurare qualche buona opportunità per il futuro. Scusate il cinismo, ma è sempre meglio della solita teoria ipocrita della guerra in Afghanistan per fini umanitari…
Mi sembra chiaro, insomma, che non possiamo permetterci di correre il rischio che i gelsomini si trasformino in piante carnivore: probabilmente, se ne sono accorti tardi gli stessi collaboratori di Ben Alì, i quali ci hanno messo forse troppo tempo a capire che era arrivato il momento di mandare in pensione il tiranno, esattamente come costui aveva fatto tanti anni prima con il suo mentore Bourghiba, padre della Patria che aveva ottenuto l’indipendenza dalla Francia senza sparare un colpo di fucile. Quando un regime si fonda sulla corruzione di una oligarchia, il ricambio è infatti necessario né più e né meno di quello che accade nelle democrazie occidentali: occorre deporre il presidente –tiranno, fare in modo che la popolazione polarizzi su di lui il dissenso e tirare una riga. Solo così, il regime può risorgere sotto mentite spoglie dalle sue ceneri e rigenerarsi, presentandosi alla popolazione come promessa di benessere e di rinnovata moralità pubblica ed accreditandosi al cosiddetto “primo mondo”, quello evoluto, garantista e pluralista, come fidato manutentore di una ritrovata stabilità politica in mancanza di alternative più affidabili e genuinamente conformi ai principi della democrazia.
Questo è esattamente quello che è accaduto in altre realtà (e non a caso ho citato la Romania di Ceausescu) e che fatica ad accadere in Tunisia, ora che il nuovo governo fatica ad ottenere la fiducia di una popolazione esasperata dalla crisi economica e da una serie di provvedimenti liberticidi che hanno sostanzialmente fatto il gioco dei movimenti di base legati all’integralismo islamico, cui per inciso qualche grosso cervello dalle ideologie confuse applaude oggi come applaudiva al “democratico” Komheini. Ecco allora che oggi chi si diverte ad elencare le malefatte dell’ex presidente tunisino e della di lui consorte ( fuggita con la cassaforte come fanno di solito le mogli dei dittatori di un certo stile ) deve ricordarsi che invocare un ordine nuovo ed uno Stato etico imperniato sulla legge islamica non è buona politica, ma incoscienza .Non solo: incoscienza credere che un esiguo braccio di mare, incapace di impedire il transito di una genuina cesta di fichi portata da una trireme romana, possa salvaguardarci dai rischi impliciti al fatto di essere diventati di colpo terra di confine di uno scontro di civiltà.
Assume quindi una particolare importanza la possibilità che l’Europa mediterranea, Italia compresa, possa seguire con attenzione il corso degli eventi, facendo la propria parte qualora questo si rendesse necessario per facilitare il ritorno alla normalità a Tunisi e dintorni ed evitando, soprattutto, che la guerra del pane e del caro vita si trasformi in una guerra di religione. Occorre,in particolare, che si ricreino le condizioni per un ricostruire la dialettica democratica fra le forze politiche tunisine e, prima ancora, il diritto di parola e di opinione nella società civile, evitando di inneggiare a vanvera alla prima rivoluzione post wikileaks e facendo capire al nuovo governo che forse è il caso di affrontare seriamente ed in fretta il disagio della popolazione,così da togliere terreno fertile alla propaganda integralista. In questo senso, mi pare centrale il tema di un rinnovato modo di concepire i rapporti fra Europa (ed Italia in particolare ) ed i paesi dell’Africa mediterranea, preferendo forme di cooperazione strategiche in termini politici ed economici alle solite operazioni petrol-dipendenti del tipo del fallimentare trattato italo –libico. Etica e real politik, insomma, possono andare d’accordo.
In sostanza, c’è ancora molto da imparare,ma soprattutto non possiamo permetterci di sbagliare, perché importare integralisti incazzati è ancora peggio che importare gommoni carichi di disperati kossovari : Catone disse “Delenda Carthago” e Roma mandò le legioni per radere al suolo l’antica nemica. Questa volta, invece, ciò che fecero le legioni può farlo la nostra indifferenza.
Stefano Del Giudice_sono nato a Montevarchi 45 anni fa (anche se mi sono trasferito per lavoro a a Pistoia da alcuni anni), ma nonostante l’età e gli studi più che decorosi (maturità classica e laurea in giurisprudenza ) conservo il gusto per il “politicamente scorretto” ed i punti di vista rigorosamente impopolari. Sono insomma un gran rompicoglioni che mette bocca dappertutto, con pericolose divagazioni nel mondo dei blog…
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