[Speciale Voto] La Breccia di Pisapia squarcia il governo e i luoghi comuni a sinistra
lunedì 16 maggio 2011 | Scritto da Plex - 851 letture |
La prima, ovvia, considerazione di questa tornata di elezioni amministrative, è che il governo nel suo complesso, e Berlusconi in particolare, hanno preso una tranvata pazzesca.
Finalmente, verrebbe da dire! Nella prima test elettorale dopo l’incriminazione di Gennaio, la consolidata strategia berlusconiana di personalizzazione dello scontro si è mostrata totalmente disastrosa, portando a una debacle senza precedenti tanto a Milano, quanto in tutte e tre le altre grandi città, dove i candidati della destra si attestano su percentuali nettamente al di sotto di ogni aspettativa.
Berlusconi ha completamente toppato la campagna elettorale e questo è un fatto, del quale ovviamente a sinistra non si può che gioire.
Ma al di là di questo dato immediato, emergono i contorni di quella che è una vera e propria sconfitta anche per il suo partner di Governo, la Lega Nord.
In molti pensavano che delle difficoltà del premier avrebbe infatti beneficiato il partito di Bossi, alleato fedele ma spesso anche ferocemente critico del governo. I dati elettorali mostrano che non è andata cosi. La Lega perde voti tanto rispetto alle Europee di due anni fa quanto rispetto alle Regionali di un anno fa. A fronte di percentuali di voto simili, la Lega arretra di quattro punti percentuali nei collegi elettorali sia di Torino (dal 10 al 6%) sia di Milano (dal 14% al 10%).
A Gallarate, il candidato autonomo della Lega, pur prendendo circa il 30% dei voti, è rimasto fuori dal ballottaggio, appannaggio dei candidati di PD e PDL.
Ed è la difficoltà della Lega a costituire paradossalmente il colpo più micidiale alla tenuta del Governo. A fronte di un buon risultato elettorale il partito di Bossi avrebbe potuto incrementare ulteriormente il prezzo per la propria fedeltà, acquisendo di fatto il controllo della politica governativa per gli ultimi due anni della legislatura e eventualmente imponendo, come dicevamo ieri su Labouratorio, una transizione controllata al proprio “inside man” Giulio Tremonti.
Il disastro elettorale di Milano lascia la Lega senza una prospettiva a breve termine, stretta tra l’aspettare nel bunker l’arrivo delle truppe sovietiche, o il consegnarsi con le mani alzate prima che sia troppo tardi.
Lo strabiliante risultato di Pisapia nel primo turno elettorale delle comunali di Milano ha dunque aperto una breccia pazzesca nella tenuta del governo, e, se, incrociando tutte le dita, arriverà alla vittoria finale al ballottaggio, potrebbe certamente assestargli il colpo del KO.
Ma la breccia di Pisapia è anche una breccia nella moltitudine di luoghi comuni a sinistra.
Il primo, forse il più importante, più radicato, più consolidato nella tradizione, è che per vincere una contesa elettorale bisogna non solo andare a pescare consensi al centro, ma anche essere un pò centristi, quantomeno moderati (e poi qualcuno ci spiegherà che cosa vorrà mai dire), sicuramente alquanto cattolici, ad ogni modo con un profilo decisamente riformista.
Già, riformista. Parola antica e da qualche tempo abusata, triturata dai chiacchericci insensati di chi appiccica etichette vuote per dare patenti di legittimità politica. Una parola che ha perso ogni residuo di senso politico all’indomani della crisi economica globale che dovrebbe avere seppellito per sempre l’idea che la sinistra, di fondo, si divida tra quelli, i riformisti, che hanno capito come va il mondo, e sanno come farlo funzionare un tantino più equamente a forza di riforme strutturali (leggi “destrorse”), e quelli che sono ancora con la testa agli anni sessanta, i massimalisti o radicali, e che perdono tempo a cianciare contro la globalizzazione.
Pisapia vince a Milano non perchè sia un’estremista ben camuffato, un radicale con panni da moderato, ma proprio per il suo profilo limpido di uomo di sinistra, legato a una storia e a una cultura politica che non pretente costantemente di abiurare, capace di elaborare un’offerta politica all’altezza dei tempi senza rinunciare a proporre e a rivendicare una sensibilità politica nettamente partigiana.
Non solo, il profilo politico di Pisapia apre una breccia in un’altra serie radicata di luoghi comuni.
Pisapia sbraca il discorso di quanti in queste ore si affretteranno a denunciare il successo di De Magistris a Napoli come la prova provata che la sinistra deve adottare e perseguire la linea dura sulla “questione morale”, legandosi a doppio filo al giustizialismo dipietrista sulle barricate giudiziarie.
Pisapia infatti è un grandissimo garantista, uno che si è fatto ingiustamente svariati mesi di galera e sa perfettamente che uno stato di diritto, nel quale le garanzie dell’imputato, si chiami Tizio o si chiami Berlusconi, sono più importanti di qualunque patente di onestà, sono il fondamento di qualunque libertà politica, civile e sociale. La questione morale come posta da Pisapia nasce e si esaurisce nel suo profilo personale limpido e non è un caso se a Milano, IDV passa in un anno dal 7,6 al 2,5%.
Labouratorio voleva intitolare il proprio numero di ieri “la breccia di Pisapia”. Un pò per scaramanzia, un pò perchè googlando l’espressione virgolettata la si scopriva un tantinello abusata, abbiamo pensato di desistere. Oggi però, la Breccia di Pisapia ha squarciato tutto, e non possiamo fare a meno di dirlo!
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