[Mondoperaio in Labouratorio] Prima che la vita ci cambi: come vedo i giovani italiani
domenica 13 marzo 2011 | Scritto da Antonello Cresti - 730 letture |
Il tempo che viviamo è quello che andrebbe definito un momento di “infertile decadenza”. Tutti navigano a vista galleggiando malamente sui flutti, ed anche i cosiddetti opinion makers non si discostano da questo stato di profonda confusione, pronunciando alternativamente ingiurie inaccettabili nei confronti dei giovani, oppure, con la stessa leggerezza, come girare la pagina di un giornale, trattandoli con una sgradevolissima pietas. In entrambi i casi i nostri giornalisti (“lucidi e geniali” li aveva etichettati con ironico sprezzo Franco Battiato in una sua vecchia canzone) sbagliano, operando concettualmente in una forma di dualismo che, all’interno dei ben più complessi conflitti della postmodernità, ci sta portando solo guasti e problemi; in realtà dalla constatazione di una situazione effettivamente difficilissima, mortificante, statica all’ennesima potenza, deve emergere la coscienza che tutto questo torvo immaginario altro non è che un mito incapacitante che deve esser lasciato alle nostre spalle al più presto.
Nella cultura delle complessità, come insegna ad esempio la scuola di pensiero della Deep Ecology, è ben difficile stabilire un nesso biunivoco tra causa ed effetto, ammettendo dunque l’esistenza di una rete sottilissima di relazioni molteplici; in questo senso ragionare in termini “riduzionistici” è davvero una forma di falsificazione, così come ritenere che le giovani generazioni italiane rappresentino in maniera così lampante dei corpi estranei della società solo perché inseriti in un quadro sfavorevole. Psicologia, antropologia e storia insegnano invece che alcune punte di ingegno sono raggiungibili soprattutto in condizioni di tensione, poiché capaci di fornire motivazione e determinazione aggiuntiva all’individuo; ma anche senza fare voli pindarici penso sia utile ripercorrere un po’ la storia dell’idea di “giovane” nella società occidentale.
Ebbene, questa idea, che adesso diamo per acquisita, è una “invenzione” ben recente, timorosamente insinuatasi negli anni cinquanta e poi divenuta esplosivamente categoria dello spirito e di marketing contemporaneamente. I tardi anni sessanta e tutti gli anni settanta in particolar modo, in senso planetario, hanno segnato il momento di massimo protagonismo della gioventù, un protagonismo che, a ben vedere, si è giovato dell’idea di essere “corpo estraneo”, senza lagnarsi delle incomprensioni da parte del vecchio mondo. Le controculture provenienti dal mondo anglosassone teorizzavano l’inclusione attraverso l’esclusione (il concetto di drop out espresso da Timothy Leary, ad esempio), una idea che, per quanto possa stupire al giorno di oggi, si è rivelata assolutamente esatta non solo da un punto di vista della realizzazione spirituale, come dimostrano le parabole di alcuni dei più straordinari protagonisti della odierna New Economy come Steve Jobs o il meno conosciuto Paul Allen, provenienti dal movimentismo statunitense, ed a ben vedere continuatori sotto altri mezzi di quelle idee. Sostenere il contrario sarebbe solo bieco moralismo pauperista. Il loro successo dovrebbe rincuorarci.
Ebbene, i giovani di oggi dovrebbero recuperare questo concetto, farsi carico dell’idea evangelica di colui che “vive nel mondo senza essere del mondo” con l’idea non di fuggire (che è ciò che, sia pure in maniera coatta, sta avvenendo), ma di acquisire un nuovo protagonismo, un protagonismo che pur tenendo presente la straordinaria unicità dei percorsi individuali tenga ben ferma l’importanza della dimensione collettiva, un’altra coordinata che negli ultimi decenni si è totalmente persa. Se mi si perdona il bisticcio linguistico, infatti, i giovani attuali non sono ritenuti incisivi per la società perché effettivamente non stanno incidendo alcunché. Come abbiamo detto in principio le generalizzazioni non servono a nulla e ci portano lontani dall’obiettivo prefissato, ma è un dato di fatto che l’attuale mito di costruzione sia quanto di più lontano possibile dall’assalto al cielo che invece animò molti in passato. Solo quando si penserà di incarnare una specificità vitale ed irrinunciabile si potrà assumere un ruolo attivo in questa società declinante, ma per fare questo, e mi ricollego con le prime battute di questo scritto, occorre non soltanto essere giovani anagraficamente, ma soprattutto giovani nello spirito, sapendo tener viva la fiamma stessa della Vita Vivente, l’anelito al Divino, la certezza della Totalità. Un motto in voga nel 1977 recitava “cambiamo la vita, prima che la vita cambi noi”. Credo che questo sia un insegnamento sempre attuale, anche per coloro che, troppo frettolosamente, vorrebbero derubricare certi periodi del recente passato come momenti di sola violenza e tensione.
Antonello Cresti_30 anni. L’approdo a Mondoperaio costituisce un significativo passo avanti verso la rispettabilità dopo anni passati a collaborare con le testate più impresentabili…Peccato che questa sciagurata pubblicazione su Labouratorio finisca per inficiare tutto!
Commenti recenti