[Storia e Dossier] I protagonisti dell’anarchismo in Italia – Carlo Pisacane
mercoledì 3 settembre 2008 | Scritto da Redazione - 4.585 letture |
Labouratorio è orgoglioso di presentare il lavoro di Giovanni – Gionny – D’Anna sui protagonisti dell’anarchismo in Italia. Come già avvenuto in precedenza, Labouratorio pubblica un lavoro preparato per un esame universitario. Una “tesina” di grande interesse, chiara e puntuale.
Quella che segue è solo la prima puntata, dedicata a Carlo Pisacane, del lavoro del giovane D’Anna, nelle settimane che seguiranno saranno pubblicate le parti dedicate a Michail Bakunin e Errico Malatesta.
Buona lettura
I PROTAGONISTI DELLA NASCITA E DELLO SVILUPPO DELL’ANARCHISMO IN ITALIA
di Giovanni D’Anna
Negli anni che seguirono la restaurazione l’Italia data la sua arretratezza economica e sociale fu uno dei paesi dove il Radicalismo democratico ebbe più sostenitori. Inizialmente i primi anarchici militavano insieme ai socialisti nelle file dei repubblicani. Durante il risorgimento infatti le richieste di emancipazione nazionale furono per molti socialisti il trampolino di lancio per lotte che chiedevano un radicale mutamento della società.
In seguito all’unità però le istanze radical socialiste si scontrarono con i governi moderati che si susseguirono e più volte l’estrema sinistra ,non rappresentata del tutto in parlamento dal Partito Radicale, tentò l’insurrezione uscendone sempre sconfitta, sempre presenti in tutte le rivolte contadine e urbani gli anarchici per tutto il periodo post unitario ebbero il controllo dei movimenti insurrezionali. Se il primo rivoluzionario che espresse ideali libertari fu Carlo Pisacane fu con Bakunin che l’anarchismo italiano trovò le sue basi teoriche mentre con Malatesta il suo infaticabile organizzatore. L’anarchismo in Italia non può prescindere da questi tre personaggi.
Carlo Pisacane
Pisacane era un’ex ufficiale dell’esercito borbonico che insofferente al conformismo caratteristico degli ambienti aristocratici e militari, abbandonò la carriera militare e fuggì, con la sua innamorata, Enrichetta De Lorenzo, da Napoli a Marsiglia, poi a Londra e a Parigi dove frequenta il salotto di Guglielmo Pepe entrando in contatto con personalità quali Alphonse de Lamartine, George Sand, Roben de Lamennais, se non di persona, certo attraverso gli scritti ed i dibattiti. Nell’ottobre del 1847 Carlo si arruola nella Legione Straniera e viene mandato in Algeria: esperienza deludente come membro di un esercito che reprime proprio quei moti di libertà e di indipendenza nazionale che gli stanno tanto a cuore, questa prima vera esperienza bellica fece conoscere al giovane Pisacane la tattica della guerriglia come tattica di guerra rivoluzionaria dove la conoscenza del territorio e la motivazione dei giovani insorti mettevano a dura prova le ben armate ed addestrate truppe regolari. L’anno successivo scoppiata la prima guerra d’indipendenza il giovane patriota tornò in Italia dove entrò come volontario nell’esercito piemontese. Il conflitto si risolse in una sconfitta per i patrioti, ma Pisacane non si lasciò abbattere e si trasferì a Roma dove, insieme a Mameli, Garibaldi, Saffi e Mazzini fondò la Repubblica Romana, difendendola con tenacia, ma con poca fortuna, dagli attacchi dei francesi chiamati da Papa Pio IX per reprimere la rivolta che aveva forti ispirazioni anticlericali e democratiche. In seguito alla disfatta di fronte all’esercito francese Pisacane fu arrestato nel luglio del 1849 e recluso a Castel Sant’Angelo da dove fuggì per raggiungere Mazzini in esilio al Londra.
A Londra iniziò la sua riflessione politica ispirandosi sia a Mazzini sia ai socialisti utopisti conosciuti realizzando il primo nucleo di un pensiero socialista italiano in cui affiancava all’idea di nazione quelle di emancipazione sociale delle plebi nel mezzogiorno. Fu molto influenzato sia dalle tesi di Proudhon che da quelle di Carlo Cattaneo sintezzandole in un ibrido ideologico federalalista-socialista-libertario. Rifiutò fortemente l’idea di uno Stato autoritario, auspicando un’associazione di comuni federati libertariamente. Io credo nel socialismo – scrive Pisacane nel testamento politico scritto prima della spedizione di Sapri,” – E’ l’avvenire inevitabile e prossimo dell’Italia, e forse di tutta Europa. Ma il socialismo di cui io parlo può riassumersi con queste due parole: libertà e associazione». Un socialismo fondato sulla libertà e sulla verità, teso a «combattere l’ignoranza del volgo, sempre disposto ad applaudire i vincitori e a maledire i vinti». Questa miscela di positivismo, socialismo utopistico e populismo ricavato dal filosofo russo Aleksander Herzen lo spinge a confidare in un vago determinismo storico “scientifico” non distante dal materialismo storico marxista. Secondo Pisacane il progresso capitalistico, «che aumenta i prodotti ma li accumula in poche mani produce l’effetto di render povere le masse, finché non si operi la ripartizione dei profitti per mezzo della concorrenza». E la povertà «spingerà il popolo infallibilmente a una terribile rivoluzione che, mutando l’ordine sociale, metterà a disposizione di tutti ciò che ora serve all’utile solo d’alcuni». Idee che vanno ben oltre il pensiero democratico ma sono prime teorizazzioni del “radicalsocialismo” e marcheranno una netta frattura tra i radicali e i moderati nel Risorgimento: «Io credo – scrive Pisacane scandalizzando i liberali piemontesi – che la dominazione della Casa d’Austria e quella di Casa Savoia siano la stessa cosa».
Dal suo testamento politico che precede di poco il suo tentativo di insurrezione al sud si nota quanto il patriota sia conscio delle difficoltà dell’impresa e la sua disposizione a rendersi martire per la causa che lo anima«Non pretendo di essere il salvatore della patria, però sono convinto che nel Mezzogiorno d’Italia la rivoluzione morale esiste; che un impulso gagliardo può spingere le popolazioni a tentare un movimento decisivo; ed è appunto per questo che ho impiegato le mie forze per compiere una cospirazione che deve imprimere questo impulso. Se io giungo sul luogo dello sbarco, che sarà Sapri, credo che avrò con ciò ottenuto un grande successo personale, dovessi poi anche, dopo, morire sul patibolo». Segue poi il fulcro del messaggio ai posteri, la parte più toccante del testamento morale di uno degli ultimi rivoluzionari romantici: «Da semplice individuo qual sono, non posso fare che questo, e lo faccio. Il resto dipende dal paese, non da me. Io non ho che la mia vita da sacrificare per questo scopo, e non esito punto a farlo». Ed ancora: «Io annodo intorno al mio stendardo tutti gli affetti, tutte le speranze della rivoluzione italiana. Tutti i dolori e le miserie d’Italia combattono con me. Se non riesco, sprezzo altamente il volgo ignorante che mi condannerà; se riesco farò ben poco caso ai suoi applausi. Tutta la mia ricompensa la troverò nel fondo della mia coscienza, e nell’animo dei cari e generosi amici che mi hanno prestato il loro consenso, e che han diviso i miei palpiti e le mie speranze. Che se il nostro sacrificio non porterà alcun vantaggio all’Italia, sarà per esso almeno una gioia l’aver generato figli che volenterosi s’immolarono pel suo avvenire».
Carlo Pisacane partirà il giorno dopo aver scritto queste righe il 26 giugno con altri rivoltosi sbarca a Ponza dove assaltano il carcere liberando tutti i prigionieri anche non politici che si uniscono a loro. Sbarcati due giorni dopo al grido “Viva l’Italia Viva la Repubblica” a Sapri, dove si aspettavano di sollecitare una sommossa contadina, vista l’indifferenza della popolazione si spostano verso Padula dove hanno uno scontro a fuoco con l’esercito borbonico che gli causa alcuni morti. I superstiti giungono a Sanza dove sta volta sono proprio le plebe contadine aizzate da un arcivescovo locale ad assalire i patrioti che vengono uccisi o catturati quasi tutti, lo stesso Pisacane si ucciderà per non essere arrestato. I suoi compagni sopravvissuti verrano rinchiusi nelle galere napoletane solo per pochi anni visto che giunti a Napoli dopo averli vendicati a Sapri le camicie rosse di Garibaldi li libereranno. La sommossa fallita riuscì però a riproporre all’opinione pubblica la “questione napoletana”, cioè la liberazione del sud Italia dal regno borbonico definito dal ministro inglese Gladstone «negazione di Dio eretta a sistema di governo». L’effimero e romantico tentativo di Pisacane ripropose la possibilità di un’alternativa democratico-repubblicana come soluzione al problema italiano. E’ corretto dunque sostenere che il sacrificio di Pisacane sollecitò involontariamente i moderati piemontesi a prendere le redini del movimento di liberazione anche se certamente i suoi esiti non sarebbero mai stati apprezzati dal patriota napoletano.
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