[Labouratorio 63] Si fa l’Europa o si muore
giovedì 28 luglio 2011 | Scritto da Redazione - 4.950 letture |
Pochi numeri fa un Labouratorio individuava tramite una frase del sociologo polacco Bauman la chiave dell’orizzonte politico della nostra generazione nella necessità di ricollegare tra loro la politica, ingabbiata in strutture nazionali sempre più inefficaci, e il potere, che si dispiega ormai irrimediabilmente da centri globalizzati e interstatali. Internazionalismo è rivoluzione, dicevamo.
Ed era sempre su Labouratorio che avete letto che l’unica prospettiva plausibile per i popoli europei per sopravvivere nel mondo sull’orlo della Terza Guerra Mondiale è quella di procedere senza indugio sulla strada della costruzione degli Stati Uniti d’Europa.
Scrivevamo quelle cose convinti che il fallimento nell’uno e nell’altro compito avrebbero sancito probabilmente il declino lento ma inesorabile del nostro angolo di mondo, sfibrato dalla propria incapacità di stare al passo coi tempi.
Ci sbagliavamo. Nessun lento declino, nessun triste ma pacifico arretramento nella scala sociale del mondo. L’Europa del 2011 è una pallina che rotola su un piano inclinato, accelerando man mano che procede nella sua discesa verso il baratro.
Il tragico evolversi della crisi del debito sovrano raccontatoci dai ripetuti e quotidiani crolli delle borse europee rivela il segno di un processo sempre più rapido e incontrollabile che sta portando inesorabilmente verso l’esplodere dell’area Euro. L’attacco speculativo in corso ai deboli stati periferici dipende da tanti complessi fattori, economici, politici e perfino culturali, legati tra loro in modo spesso imprevedibile, ma interpretabile all’interno di una cornice che vede nella struttura del capitalismo la sorgente delle spinte possenti che scuotono le nostre società.
Il senso generale del problema è tuttavia molto semplice. L’Europa è allo stato, una malriuscita via di mezzo. Con la creazione dell’Euro, gli stati hanno delegato all’Unione gli strumenti di politica economica che avrebbero potuto salvarli dal naufragio. Al contempo l’Unione, priva di una guida politica che curi l’interesse generale, è dominata dalla lotta di interessi nazionali in competizione tra loro.
Tra questi, il più forte è quello della più ricca Germania che di fatto, con l’accordo del 22 Luglio, si vede consegnata in modo formale la leadership dell’area Euro che già aveva fin qui avuto appaltata in modo informale.
Ma l’Unione Germanica è un’illusione che non ha alcuna speranza di futuro. Da una parte perchè gli altri stati, a partire dalla Francia, reagiranno inevitabilmente alla conquista silenziosa degli eterni rivali. Dall’altra perchè lo stesso elettore tedesco finirà miopemente per non accettare lo scambio di potere in cambio di euro a fronte di una competizione globale che finirà giocoforza per sfibrare anche la locomotiva tedesca e i suoi bilanciamenti politici. I fragili equilibri appena costruiti esploderanno dunque presto e la scomparsa formale o addirittura sostanziale della moneta unica, coronamento più visibile di un processo di integrazione iniziato più di 50 anni fa, sarà cosa fatta.
Sarà, questa, la prima morte, economica. Moriremo con le nostre aziende, schiacciate dalla competizione, moriremo con i nostri lavoratori compressi nei diritti e nei salari, moriremo nell’esplosione dei sistemi pensionistici e del welfare per giovani e disoccupati.
Ma a questa, seguirà un’ulteriore terribile escalation. La caduta della moneta unica sarà la morte della Prospettiva, dell’Idea, del Progetto. La resa al secolarismo mercatista determinerà l’ampliarsi delle risposte ideologiche, e la soluzione a portata di mano saranno i nazionalismi violenti, autarchici, di reazione al fallimento europeista.
Il vento di estrema destra che già soffia sull’Europa si farà tormenta, I mille Breivik d’Europa si desteranno tutti insieme. E moriremo come i giovani compagni norvegesi, come gli immigrati dati alle fiamme e abbandonati in mare, come vittime innocenti della furia ceca di chi non ha più un sogno in cui rifugiarsi.
La scelta che abbiamo di fronte è allora tra il fare due passi avanti o farne tre indietro. Tra il “consumare la parte migliore della presente generazione” per costruire il più grando momento di unificazione politica della storia o prepararsi a morire.
Un primo importante obiettivo, è stato individuato, grazie al lavoro di importanti economisti “eretici” quali il Yanis Varoufakis di cui ospitiamo un pezzo fondamentale (grazie anche alla collaborazione col Network del Socialismo Europeo, che da quasi un anno predice con inquietante capacità analitica l’evolversi della crisi): si tratta di riconquistare la Banca Centrale Europea, riportandola sotto il giogo del popolo europeo sovrano. La BCE è l’unico mezzo efficace per spezzare l’assedio della speculazione e salvare l’unione monetaria. La sfida è ora quella di immaginare gli strumenti politici per sfilare la BCE dal controllo delle oligarchie e dei voleri di Berlino. Il tempo è tuttavia poco e i nemici sono numerosi e organizzati.
Per questo, come disse Garibaldi a Calatafimi guardando in faccia le sue camicie rosse prima di andare ad affrontare le più numerose e meglio attrezzate truppe borboniche, consapevole dell’impossibilità di fare marcia indietro, Labouratorio oggi dice“Si fa l’Europa o si muore!”.
SOMMARIO n.63
- [Labouratorio 63] Si fa l’Europa o si muore
- [MAGGIANATA EPOCALE]Il crollo dell’Impero di carta,i rischi per la democrazia,la prospettiva bellica.
- [Alienamenti] Di Breivik o della prospettiva dall’alto
- [Si Muore] Un patto faustiano per l’Europa
- [Si fa L’Europa] Una risposta lungimirante alla crisi: l’integrazione europea
- [Si Muore] Una rosa per i compagni
- [Si fa l’Europa] Fare una democrazia, disfare gli stati
- [E poi c’è, anzi c’era, Berlusconi] Jesus Christ Berlustar e il carisma senza politica
- [La domanda esistenziale] Meglio un giorno da Scajola o cento da Scilipoti?
- [Si va falliti] Credit default Swap! l’ottimismo è il profumo della vita
Commenti recenti