Con la dicotomia riformisti-conservatori viene spesso descritto il panorama politico. In tutta Europa nel primo campo vi sono le forze della sinistra socialista, mentre nel secondo quelle della destra moderata. In Italia invece, Paese nel quale la rivoluzione giustizialista ha radicalmente modificato i paradigmi, la distinzione non è cosi netta.
Un chiaro esempio viene fornito dalle posizioni sul mercato del lavoro, confermate dalle recenti reazioni al disegno riformatore di Maurizio Sacconi, Ministro del Welfare del governo di centrodestra, dettagliato in “La vita buona nella società attiva”, il Libro Bianco sul futuro del modello sociale approvato dal Consiglio dei Ministri il 6 maggio 2009.
La nostra società e il mondo del lavoro sono stati attraversati, negli ultimi decenni, da cambiamenti epocali, descritti precisamente nell’analisi di contesto del Libro Bianco: “Le grandi tendenze in atto hanno modificato radicalmente i processi produttivi e gli ambienti di lavoro contribuendo alla nascita di nuovi lavori e di nuove professioni. I modelli organizzativi d’impresa hanno conosciuto innovazioni radicali che segnano la definitiva transizione verso una economia dell’informazione e della conoscenza. Le tecnologie del calcolo e della comunicazione hanno determinato un superamento di sistemi organizzativi rigidamente verticali dove i lavoratori sono stabilmente chiamati a svolgere mansioni predeterminate per uno stesso datore di lavoro. La rivoluzione digitale ha indotto la possibilità che imprese diverse operino in rete favorendo la specializzazione produttiva, le esternalizzazioni e anche fenomeni di delocalizzazione. Aumenta l’autonomia del lavoratore nella realizzazione delle proprie mansioni e progressivamente si stemperano i rigidi vincoli di subordinazione gerarchica e funzionale. Quindi, il prototipo di lavoro subordinato standard non è più la fattispecie di riferimento, nella prassi operativa come nella legislazione sul lavoro.”
Oggi il sistema di ammortizzatori sociali italiano è tarato su un modello organizzativo fordistico, nel quale il profilo standard del lavoratore corrisponde a quello di un individuo di sesso maschile, impiegato nella grande industria e che nel corso della sua esperienza lavorativa rimane dipendente di una sola impresa. Il contesto attuale è radicalmente cambiato, i riformisti e coloro i quali operano per tutelare gli interessi collettivi e dei meno protetti devono necessariamente tenerne conto. Non ci si può permettere di conservare l’esistente. Cosi facendo si difendono i già protetti, gli insider del mercato escludendo gli outsider che non potranno mai avere un contratto a tempo indeterminato. Una forza di sinistra deve difendere i più deboli, non l’interesse esclusivo delle proprie corporazioni di riferimento (i lavoratori della grande industria, gli statali e i pensionati) e deve cercare soluzioni realizzabili ai problemi. Biagi ha infatti aperto la strada verso la moderna protezione del lavoratore piuttosto che del posto di lavoro integrando i sussidi con la formazione e con il sistema dei servizi per l’impiego. Si potrebbe introdurre maggiore flessibilità nel contratto a tempo indeterminato ed aumentare le tutele attive di chi perde il posto di lavoro.
La spesa per la protezione sociale in Italia è ripartita in modo del tutto svantaggioso per le nuove generazioni di lavoratori, garantendo prevalentemente il sistema pensionistico e sanitario.
In Italia soltanto il 18 per cento delle persone in cerca di occupazione riceve un sussidio, mentre negli altri paesi europei, dove la spesa sociale è distribuita in modo meno sproporzionato e non penalizzante, oltre il 70 per cento dei disoccupati riceve un benefit.
Se si riuscisse a garantire un sistema di welfare to work, ovvero un ammortizzatore sociale unico, generalizzato e universale limitato nel tempo e nell’entità del sussidio ed esteso a tutte le categorie di lavoratori (e non soltanto a certe categorie, privilegiate e sindacalizzate), avremmo davvero pari opportunità e copertura per tutti, certamente limitata a brevi periodi, ma finalizzata ad un rapido reinserimento nel mercato del lavoro.
Il cosiddetto schieramento di centrodestra ha avuto il merito di aprirsi, nella legislatura 2001-2006, alle idee e alle elaborazioni di Marco Biagi, proseguendole con l’impegno del Ministro Sacconi, nonostante che esse si ponessero esplicitamente in continuità con il precedente governo avverso, con il Pacchetto Treu. Sul terreno della politica del lavoro, oggi, la contrapposizione tradizionale fra destra e sinistra ha sempre meno senso, le linee di demarcazione tra i veri interessi in gioco sono profondamente cambiate rispetto agli schemi prevalenti del secolo scorso. Marco Biagi lo aveva capito: e questo è il “reato” per il quale sette anni fa i terroristi hanno eseguito la sentenza di condanna a morte.
Un capitolo importante del Libro Bianco di Sacconi è intitolato “Meriti e bisogni”: evidente il richiamo alle parole d’ordine della Conferenza programmatica di Rimini del Psi del 1982. La spinta riformista data da Craxi e Martelli, precursori del New Labour di Tony Blair, merita di essere considerata e presa come riferimento. Avevano infatti intuito il valore sociale della libertà: più l’individuo ha libertà, più è in grado di produrre ricchezza e civiltà. Avevano capito che con il “Welfare State” i lavoratori hanno conquistato la protezione dello Stato e tutte le libertà collettive e che vi era la necessità di innestare elementi di liberalismo sulle radici riformiste. Per questo sono stati oggetto della demonizzazione della sinistra comunista, anche in quell’occasione “in ritardo”.
Una sinistra riformatrice dovrebbe fare proprio un tale patrimonio di idee e di valori, anche oggi però gli eredi del Pci e gli allievi di Berlinguer si limitano alla difesa dello status quo. L’ex-ministro e attuale responsabile del Dipartimento Welfare del PD Cesare Damiano di fronte al progetto di riforma del Governo ha replicato con una logica puramente conservatrice “L’art.18 non si tocca né ora né in futuro”. Nicola Rossi, deputato del PD, ci fornisce, in un’intervista al Corriere della Sera del 20 marzo 2007, una spiegazione a tale rigida posizione: “Onestamente il fatto che la sinistra (postcomunista) non riconosca il lavoro innovativo di Marco Biagi non mi meraviglia per nulla. Non si può essere riformisti per forza. La strada riformista è stata presa dalla sinistra (postcomunista) sempre spinta dagli eventi ma non è nel suo Dna (…) Io ho sempre sostenuto che la Biagi non andava abrogata e mi ricordo benissimo le reazioni negative di tutto il vertice sindacale e diessino. La cultura della sinistra italiana è questa (…) Quella di Cofferati non fu una triste pagina, è semplicemente la storia della Cgil. Bisogna capire che questi non sono episodi ma le espressioni di una cultura molto radicata (…) La radice di questo comportamento sta negli anni in cui la sinistra è stata all’opposizione. E durante i quali sono stati commessi errori che pagheremo a lungo: anziché approfittare per aprire un confronto riformista dentro la sinistra sono stati gli anni della sua radicalizzazione.” Anche oggi, le parole di Damiano non delineano scenari confortanti per i valori del socialismo riformista.
Per operare una scelta di discontinuità che Veltroni ha sempre rivendicato sarebbe stato opportuno affidare la responsabilità del Dipartimento Welfare del partito a Pietro Ichino, oggi deputato del Pd. Egli scrisse infatti, sul Corriere della Sera del 19 marzo 2007 parole di sostengo per le analisi di Biagi e di feroce contestazione per la linea del Pci-Pds-Ds: “la sinistra, per paura di mettere in discussione la propria politica del lavoro dell’ultimo quarantennio, dà del visionario a Marco Biagi quando denuncia quello italiano come «il mercato del lavoro peggiore del mondo»: peggiore non per il tasso di lavoro precario, che è più o meno in linea con il resto d’Europa, ma per il maggior tasso di disoccupazione permanente, di lavoro nero, di esclusione dal lavoro di donne, giovani e anziani. (…) Va anche detto che su tutti questi temi la nostra destra non è più reattiva della sinistra. (…) Anche perché, a ben vedere, il suo schieramento è attraversato da una profonda crepa interna molto simile a quella che attraversa lo schieramento di sinistra, tra conservatori e riformatori. E quanto potesse sentire Marco Biagi come proprio uomo è dimostrato dal volgare insulto rivoltogli davanti alle telecamere, tre soli mesi dopo la sua morte, da un ministro degli Interni del governo Berlusconi”.
È quindi urgente per l’Italia la costruzione di una moderna forza riformista di tipo europeo pienamente integrata nell’Internazionale socialista, seguendo la via indicata da Craxi: la via del socialismo liberale.
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