Pubblicato pure sul Melograno Rosso, ma il Carletto è nostro e guai a chi ce lo tocca.
«Il recente referendum sardo sul nucleare ha ottenuto un risultato
da far impallidire i recenti plebisciti per il PdL in Sicilia (migliori anche dei risultati di Castro a Cuba e prossimi solo a quelli di Lukashenko, ma nel suo caso si sa, “il popolo lo ama”).
Un risultato prevedibile e previsto: sul nucleare l’opinione pubblica é fortemente influenzata da singoli casi disastrosi come Chernobyl o quello recente di Fukujima. Sebbene siano eventi molto rari, sono pur sempre tragedie che non vorremmo si ripetessero neanche una sola (altra) volta.
Inoltre, questi eventi ogni volta riaprono il dibattito su quanto davvero costa la produzione di energia nucleare, e se la probabilità di questi eventi (che sebbene sia molto bassa é associata a potenziali esborsi notevolissimi) andrebbe considerata nel calcolo o no.
Anche se sembra che una decisione in merito alla ripresa della produzione di energia tramite centrali nucleari in Italia non sia una faccenda che interessa i cittadini, avendo “per fortuna” un governo buono e illuminato che ci pensa per noi qualche riflessione andrebbe comunque fatta.
Sulla questione costi del nucleare un recente intervento di Stefano Nespor su Scienza in Rete fa un breve riassunto delle puntate precedenti, ribadendo l’intollerabile pratica per cui, anche in paesi più civili del nostro, i calcoli offerti all’opinione pubblica e ai governi nel momento di prendere le proprie scelte si rivelano subito dopo l’inizio dei lavori puntualmente sbagliati. Poiché sono le stesse società (finanziarie e industriali) che hanno interesse a questo business a fare questi calcoli, “stranamente” si tratta sempre di errori per difetto.
Una questione importante, ad esempio, é che questi calcoli, volendo confrontare la produzione di energia nucleare con le altre fonti energetiche, spesso considerano i soli costi fissi per la costruzione della centrale e quelli di funzionamento una volta a regime. Cioè, ignorano i costi variabili legati alla costruzione, che sono molto rilevanti visto che spesso per diverse ragioni occorrono anni per costruire e portare a regime una centrale, e soprattutto ignorano i costi finanziari. Questi ultimi sono fondamentali nel caso del nucleare, perché la costruzione di una centrale é un investimento ingente che sarà ammortizzato durante i lunghi decenni del suo funzionamento. Quindi, é necessariamente un’attività che richiede una buona quota di capitale iniziale preso a prestito (dacché nessuno sosterrebbe l’intero rischio e l’intero esborso con capitale proprio).
Sia come sia, rimando ai numerosi link nell’articolo citato per approfondire la questione. Vorrei qui riportare invece un punto di vista “eterodosso”.
Come per ogni altra attivitá della nostra vita, le previsioni economiche hanno un’affidabilità diversa a seconda dell’orizzonte temporale e della materia trattata. Se lancio una monetina in aria, pensando che non sia truccata né troppo usurata, ho una buona possibilità di azzeccarci se mi aspetto che al 50% esca testa e al 50% croce. Ma qual é la probabilità che nel 2050 il Presidente della Repubblica (se la carica esisterà ancora) sia una donna e quale che sia un uomo?
Poiché ci mancano molte informazioni (sia teoriche che empiriche) per rispondere a questa domanda, possiamo farci un’idea, ma certo di questa idea ci fidiamo meno dell’idea che ci eravamo fatti sul lancio della moneta.
Ovvero, per fare previsioni precise é necessario conoscere precisamente tutte le variabili che potrebbero influenzare l’evento in questione. Gli statistici parlano di “rischio” quando é possibile stabilire la probabilità di un evento (anche se molto bassa) e di “incertezza” quando possiamo avere solo una vaga opinione. Ora, il tipo di previsioni economiche che cercano di proiettare i costi futuri del produrre energia con diverse tecnologie appartengono al campo dell’incertezza, non del rischio.
Tanto per fare un esempio, non sappiamo come lo sviluppo tecnologico modificherà questi costi nei prossimi decenni o se gli sviluppi politici porteranno all’imposizione di nuove tasse su alcuni prodotti energetici (e magari non su altri).
Quindi, queste previsioni hanno valore puramente indicativo, e a parte per gli specialisti é tempo abbastanza perso mettersi a sindacare nei più piccoli dei loro dettagli. Volendo prendere una decisione razionale, alcune previsioni vanno pur fatte, e bene, date tutte le conoscenze di oggi. Si tratta però di valutarle politicamente per quello che sono: ovvero stime, e non di quelle più affidabili.
Per questo, é opportuno prendere in considerazione anche molte altre variabili, in fase di decisione. Dei rischi di tragedie (che pure non sono nulli, per altre forme di produzione di energia) abbiamo detto (possiamo esser certi che il prossimo attacco terroristico non prenderà di mira una centrale nucleare?). Una variabile scarsamente dibattuta, almeno finora, é il terribile impatto ecologico delle energie ricavate da combustibili fossili, specie in termini di riscaldamento terrestre. Un’altra variabile é quanto sia democratico imporre la vicinanza ad una centrale nucleare a popolazioni che (fosse anche a torto) democraticamente decidono di non volerne (sarebbe mica la prima volta che democraticamente decidiamo cose sbagliate: e allora? E’ un diritto della minoranza al governo, fosse anche una minoranza illuminata, imporre le proprie decisioni?). O ancora, la produzione di energia é un settore strategico sia per le ricadute in termini di difesa (ad esempio nel caso del nucleare il rischio che parte del materiale di scarto venga usato per “bombe sporche”) sia in termini di ricerca scientifica. Una questione a sé sono le ricadute in termini geo-politici e di rapporti internazionali: su questo vorrei scrivere nel mio prossimo intervento.
Nel complesso, la questione sembra ben più ricca che non il “conto della serva” cui tanti novelli ragionieri vorrebbero ridurre il dibattito politico.
Carlo D’Ippoliti_ infiltrato di Labouratorio nei salotti buoni degli economisti chic
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