[Si fa l’Europa] Fare una democrazia, disfare gli stati
giovedì 28 luglio 2011 | Scritto da Demi Romeo - 2.410 letture |
Com’è cambiato il mondo nell’arco di una generazione… Come si sono trasformate le vecchie e solide convinzioni dei nostri genitori, che si fondavano su longevi progetti di vita a seconda delle possibilità che offriva il luogo di residenza e il rendimento dell’economia nazionale… Il benessere si misurava in base al trascorrere delle stagioni, alla quantità di bestiame e al raccolto. Altri tempi. Oggi le cose sono cambiate. Parlare di progetto di vita è arduo, men che meno di lavoro per i giovani, di contratto a tempo indeterminato o di demografia. Siamo una generazione di precari cronici, sebbene – in fondo – in questa nuova era post-89 chi e cosa non è precario? Lo è la democrazia in un certo senso, ma pure il ruolo dello Stato costituzionale nel frangente della globalizzazione. Questo è il punto!
1. LA CRISI DELLO STATO SOCIALE.
Occorre soffermarsi sullo Stato sociale per comprendere come anch’esso abbia incontrato forti limiti a causa dell’evoluzione del sistema economico. Poiché la globalizzazione rappresenta un fenomeno fin troppo complesso da analizzare in tutte le sue articolazioni, tuttavia la costituzione di un ‘modello sociale europeo’ può indicarci un cammino alternativo sul quale rapportare le nuove questioni dell’economia e del lavoro con un parametro – in ogni modo – istituzionale e interconnesso con le realtà nazionali, sebbene rimanga caratterizzato dal fattore ‘sovranazionale’ e originariamente sia stato voluto in ragione della libertà di mercato e di circolazione: l’Unione Europea.
L’evidenza della destrutturazione del Welfare state e della sua architettura costituzionale, infatti, viene rappresentata dalla presenza di quei fenomeni economici e sociali connessi alla globalizzazione dei mercati e riguardanti – durante l’età post-industriale – le trasformazioni di un’organizzazione del lavoro retta sempre più da logiche deregolative. La crisi dello Stato sociale, in tal senso, non manifesta soltanto l’indebolimento di un modello politico sovrapposto all’economia, che vanta nella storia del secolo scorso la realizzazione di un ordine sociale più equo e meno influenzato dalla direzione aziendale. Rappresenta tra l’altro la destituzione di un “governo” dell’economia, che nei suoi ‘geni’ include la centralità della persona e il rispetto della dignità umana come precetti non solo da tutelare, bensì anche da elevare verso più alti standard di convivenza e pace sociale.
Pertanto questo processo erosivo del potere sovrano nella politica – che evidenzia la crisi dello Stato contemporaneo e del Costituzionalismo che l’ha prodotto – inizia con la perdita del governo statale sui processi economici e con la privazione del potere contrattuale dei suoi attori sociali all’interno del modello produttivo industriale. Il lungo cammino delle Costituzioni novecentesche in Europa, di conseguenza, sembra smarrirsi nell’incapacità di fornire una lettura diversa degli scenari sociali e di adeguare le esigenze della “statualità” ai nuovi sviluppi dei mercati aperti e dell’internazionalizzazione del lavoro. Ciò infrange, allora, la storica coincidenza fra mercato e territorio dello Stato, finendo cosi per privare quest’ultimo di un ampio ambito d’intervento nei rapporti di lavoro e nell’iniziativa economica.
2. LE RAGIONI PER UNA EUROPA SOCIALE.
Per cui, gestire le implicazioni sociali della libera circolazione diventa il primo obiettivo di un’Europa sociale strutturata secondo i principi costituzionali e l’affermazione dei diritti di cittadinanza.
In concreto quali norme possono sincronizzare le prerogative della libera circolazione di capitali e lavoratori con i bisogni sociali dei cittadini europei? Prioritarie le seguenti misure programmatiche:
– creare una piattaforma comune di tutele lavorali, specie al riguardo della contrattazione atipica;
– stabilire regole comuni sul salario minimo e lanciare un’iniziativa comunitaria sul reddito minimo garantito;
– disciplinare un regime di sicurezza sociale per i lavoratori migranti;
– istituire un’autorità di vigilanza europea per le pratiche contrattuali, al fine di evitare i fenomeni di ‘dumping sociale’.
Le ragioni che il modello sociale europeo afferma dinnanzi all’attualità socio-economica accomunano – in larga parte – le problematiche e le nuove sfide riguardanti l’amministrazione delle politiche sociali in tutta Europa: le influenze del capitalismo finanziario mondiale; le debolezze sistemiche del mercato comune; le ‘deregulations’ e, di conseguenza, gli effetti sui modelli economici nazionali; l’adeguamento delle relazioni industriali alle ragioni delle delocalizzazioni; la “flessibilizzazione” delle politiche lavorali; l’esigenza di dover curare gli interessi comuni di quegli attori sociali che circolano nei mercati aperti.
3. LA GOVERNANCE FUNZIONA?
In Europa occorrerebbe far scorrere le istanze protettrici del mercato del lavoro sui binari delle norme comunitarie e degli accordi intergovernativi (legislazioni sul lavoro, assistenza sociale, indennità di disoccupazione), riproducendo in tal modo quel processo storico che accompagna la creazione della cittadinanza ogni qualvolta le istituzioni si interroghino sul loro ruolo attivo nella società civile e del lavoro.
Fin dai tardi anni Settanta, a fronte di un quadro caratterizzato dall’emergere del problema della stagflazione, gli interventi ruotano principalmente attorno all’aggiustamento macroeconomico e alla trattazione salariale, al fine di arrestare la spirale inflazionistica e sostenere la sempre più debole domanda di lavoro. Dopo la metà degli anni Ottanta, l’attenzione e gli interventi di politica pubblica si orientano verso il problema della competitività economica.
Ma è a partire dagli anni Novanta che emerge la necessità di un modello di ‘governance multilivello’ che definisce, in ragione alle migliori prassi dei governi nazionali, le strategie europee in campo sociale ed occupazionale e, pertanto, l’utilizzo di pratiche manageriali che evidenziano le modalità di stimolo programmatico (piuttosto che di intervento sociale vero e proprio!) nella sfera della coesione economica dell’Ue.
Allora – allo stato attuale delle cose – risulta vano il tentativo di ipotizzare una futura struttura statuale dell’Unione. Piuttosto abbiamo di fronte un nuovo sistema di protezione sociale europeo in cui le istituzioni comunitarie provvedono con strumenti di coordinamento, mentre l’esercizio della sovranità sociale degli Stati membri si avvale di eseguire materialmente il contenuto delle decisioni negoziate.
E’ sulla base di questo approccio che lo scorso marzo, in Atene, il PSE decide di reiterare l’agenda sociale di ‘Europa 2020′, seppur nella consapevolezza di non possedere alcuno strumento vincolante da contrapporre ai governi nazionali, specie ai più conservatori.
Infatti il sistema della governance finisce così per mostrare tutti i suoi limiti a causa della sua debolezza decisionale, la quale si esaurisce solamente nel mero coordinamento delle politiche pubbliche a livello europeo, ma guai ad esercitare un potere effettivo sulle scelte nazionali in politica economica.
4. LA QUESTIONE DEMOCRATICA
Il problema centrale, quindi, non è l’esistenza o meno di una governance sovranazionale, bensì è il deficit democratico che non consente di costituire un’Europa politica tramite un più complesso approfondimento dei diritti di cittadinanza europei. Senza dubbio questa situazione pone i governi nazionali in una posizione di maggiore legittimità democratica, sebbene la loro sovranità sia stata svuotata, affermando così le logiche mercantili e la competitività come strumenti per la distribuzione della ricchezza nel pianeta.
Questo è il nostro secolo. Esso ci descrive uno scenario post-democratico e precario per la coesione sociale. E’ uno degli ultimi tasselli che si aggiunge all’emarginazione causata dal capitalismo finanziario, il quale opera al di sopra di qualsiasi sovranità legale e costituzionale. Al di sopra della sovranità popolare. Questo è il significato intimo del fare politica per la nostra generazione. La democrazia, da valore consolidato, diventa ancora un’utopia da conquistare – ancora una volta – contro le pretese della libera iniziativa economica.
Ma ha bisogno di nuove forme istituzionali e costituzionali su cui poggiarsi, ben oltre la previsione di una governance che serva in realtà da rete intergovernativa piuttosto che da supergoverno centrale… e comunque – permettetemi l’onere di dubitare – non è detto che, rispetto ai piccoli Paesi d’oggi, gli Stati Uniti d’Europa saranno più democratici e solidali nei confronti dei propri cittadini.
Demi Romeo_22 anni per adesso. Rompiballe dichiarato e cinico osservatore della società politica di regime, ormai è vittima delle incresciose fasi di mobilità internazionale che lo costringono all’asilo politico presso le sezioni socialiste d’oltralpe. Calabrese sofisticato, stranamente non va pazzo per la ‘nduja.
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