[EconomieNucleari] I numeri dell’energia, senza propaganda
giovedì 9 giugno 2011 | Scritto da Redazione - 2.338 letture |
Alla redazione di Labouratorio abbiamo un pallottoliere e una calcolatrice senza pile. Tra la lauree dei redattori ce ne sono varie contraffatte in materie scientifiche. Per questo, per una serie analisi quantitativa dei costi dei vari tipi di energia, ci siamo rivolti altrove e precisamente qui. Se volete, prendetevela con loro, ma dovrete comunque fare i conti anche con noi…
Quarantaquattro terawattora (TWh) l’anno, il 15% del fabbisogno elettrico nazionale attuale. E’ questo l’ammontare di energia elettrica assicurato dall’appena defunto e già risorto piano nucleare di Berlusconi (1), fra poco più di dieci anni. Per uscire dalle secche di un dibattito oscillante fra paura ed accuse di emotività a chi contesta l’energia nucleare, eccesso di fiducia nelle energie rinnovabili e anti-berlusconismo elettorale, abbiamo provato a far di conto su questa magica cifra, 44TWh all’anno di energia elettrica. L’obbiettivo è dare numeri semplici ma efficaci sull’energia in vista del referendum sul nucleare prossimo venturo, senza i quali la decisione non potrebbe che essere presa su basi emotive o ideologiche. Sono numeri importanti ma colpevolmente assenti nel dibattito nazionale che rispondono a domande forse ovvie ma che giacciono inascoltate:
- Qual è il costo di realizzazione e gestione delle centrali nucleari?
- Quanta è l’energia prodotta dalle centrali nella vita prevista?
- Quanta energia è producibile con un pari investimento nelle energie alternative?
- Qual è l’impatto ambientale?
- E la dipendenza dall’estero?
- Altri problemi che dovremmo sapere?
Una rapida digressione prima di cominciare. Ci chiediamo: ma questi 44 TWh di energia elettrica servono davvero all’Italia da qui a dieci anni? In breve: molto probabilmente sì. Negli ultimi anni, infatti, in Italia sono state autorizzate o costruite un buon numero di centrali a gas. In pratica, abbiamo sostituito la quasi totale dipendenza dal petrolio per la produzione di energia elettrica con il gas, consegnandoci perfino ad un certo surplus di produzione elettrica nel breve termine. Sul lungo periodo però, dieci anni o più appunto, le cose possono cambiare significativamente per una serie di avvenimenti in corso già oggi. Ad esempio, il trend di crescita dei consumi di energia potrebbe continuare; oppure il picco del petrolio e la conseguente scarsità di carburanti potrebbero portare il prezzo della benzina alle stelle, spingendo il settore della mobilità in modo massiccio verso l’elettricità (treni, tram, filobus e soprattutto auto ibride o elettriche); oppure l’Italia potrebbe avere specifici problemi di approvvigionamento di petrolio e/o gas, data la significativa dipendenza delle importazioni da paesi particolarmente instabili come la Libia. Tutte ipotesi realistiche, ragion per cui aumentare la produzione di energia elettrica non è affatto insensato. Ora, il passo successivo: come produrre questi 44 TWh l’anno?
Escludiamo le fonti fossili perché producono la CO2 e sono responsabili del riscaldamento globale. Confrontiamo allora le tre tecnologie di produzione elettrica attualmente in competizione sul mercato e al centro del dibattito italiano: nucleare, solare fotovoltaico ed eolico. A margine abbiamo aggiunto anche i numeri dell’eolico off-shore e del solare a concentrazione, quello sponsorizzato da Rubbia, ma va specificato che questi impianti sono attualmente allo stadio pilota e i costi sono comprensibilmente fuori scala. Non abbiamo invece considerato l’aumento di produzione idroelettrica per un motivo semplice: seppure anch’essa rinnovabile, l’energia idroelettrica in Italia è sostanzialmente già arrivata a livello di saturazione della capacità produttiva (2). Stessa cosa per il geotermico convenzionale. Sono escluse dal confronto anche tecnologie ancora allo stato di ricerca o di sperimentazione, come il geotermico di terza generazione o il Kite-gen, l’eolico d’alta quota, tecnologie molto promettenti sulle quali la ricerca italiana dovrebbe investire massicciamente ed è invece colpevolmente assente.
Ecco allora qua sotto i numeri dell’energia a confronto in una tabellina riassuntiva. Guardatela bene, che è semplice ma importante. Poi facciamo qualche commento.
Il costo
Cominciamo dalla parte forse più importante: il costo. Come si vede dalla tabella, il nucleare, tenuto conto di spese di costruzione, uranio minerale, gestione delle scorie high radiation e il decommissiong finale è sempre il più basso tra le soluzioni in esame. E’ infine interessante notare come i costi dell’uranio e di gestione delle scorie pesino in misura molto contenuta sul totale.
L’eolico fornisce risultati paragonabili al nucleare con orizzonte a 20 anni. Tuttavia, ragionando sui 40 anni (il ciclo vita nominale delle centrali nucleari), il costo dell’eolico risulta doppio di quello del nucleare. In altri termini, impegnarsi con una centrale nucleare significa aprire un mutuo con scadenza a 40 anni. Se qualcosa va storto prima, si perdono molti soldi. Impegnarsi con le pale eoliche invece significa minimizzare il rischio che qualcosa vada storto – è statisticamente improbabile che 10.000 pale su 10.000 vadano in avaria – ma scommettere pesantemente sulla ricerca tecnologica. Se in 20 anni non vengono trovate soluzioni migliori per la produzione di energia dal vento, e nella ricerca può benissimo succedere, bisogna ricostruire le torri eoliche daccapo e spenderci il doppio dei soldi.
Il costo stimato del solare fotovoltaico, invece, è 5-10 volte più alto di nucleare ed eolico. Certo, il costo dei pannelli tende a decrescere con l’aumentare delle quantità prodotte, ed è lecito attendersi mutamenti tecnologici sostanziali nel solare fotovoltaico o termodinamico. Tuttavia, volendo produrre 44 TWh di energia elettrica all’anno, il fotovoltaico allo stato attuale non è ancora un’alternativa dal punto di vista dei costi. Salvo, evidentemente, decidere di spendere senza limiti tagliando corposamente altre voci del bilancio statale (pensioni, sanità, assistenza sociale eccetera).
Impatto ambientale
Dal punto di vista della pura superficie occupata, le centrali nucleari sono l’opzione migliore. La superficie necessaria agli impianti nucleari infatti è circa 10 volte inferiore al solare fotovoltaico e circa 80 volte minore dell’eolico. Il problema del nucleare però è il costo in caso di disastro. Dopo l’incidente a Fukushima, infatti, nell’area probabilmente resteranno solo vecchi e poveri che non possono andarsene. Chi aveva comprato una casa ha visto l’investimento polverizzarsi, le aziende con sede e capannoni nella zona se ne andranno. Insomma, è un danno economico incalcolabile, oltre che ambientale, che forse nemmeno uno stato intero può garantire. Certo, si potrebbero costruire gli impianti nucleari tenendo libera una zona di sicurezza del raggio di 30 km in caso di necessità, ma in tal caso ci vorrebbero circa 12.000 km2 di territorio libero, mezza Sicilia. Roba che nemmeno in Texas si sognano.
I numeri più sorprendenti però vengono dalle rinnovabili: lo spazio occupato dal solare fotovoltaico è sostanzialmente irrilevante mentre quello dell’eolico è sterminato. Per produrre i soliti 44TWh all’anno di energia basterebbero infatti poco più di 700 km2 di pannelli. Per avere qualche termine di paragone concreto, la superficie dell’Italia intera ammonta a 300.000 km2 e la Valle d’Aosta ne misura circa 3.000. Senza voler occupare terreno utile, l’ammontare di “terre marginali” in Italia – terreni non utilizzabili per l’agricoltura o altri usi – è stimato a circa 23.000 Km2 (3). I 700 km2 necessari al solare fotovoltaico sono poca cosa a confronto. È’ dunque evidente quanto le polemiche degli ambientalisti d’antan sulla competizione del solare con l’agricoltura o a danno dell’ambiente siano infondate. Non ci fossero i problemi di costo, il solare fotovoltaico sarebbe la soluzione a tutti i nostri problemi energetici.
L’ingombro delle pale eoliche è invece davvero notevole. Certo, non si tratta di un ingombro esclusivo, dato che nei pressi delle pale eoliche si può coltivare o fare altre cose. Tuttavia i numeri indicano più di 4.000 km2 di superficie necessari per oltre 10.000 torri eoliche per produrre i soliti 44TWh all’anno. Non stiamo parlando di piccoli ventilatori da piazzare sul tetto di casa. Stiamo parlando di torri alte ben oltre 100 metri, con pale dal diametro di 70 per 1100 tonnellate di cemento, acciaio e alluminio ciascuna. Gli ambientalisti le chiamano ecomostri, non senza qualche ragione. Installandone anche solo la metà, usando solare, biomasse o risparmio energetico per il rimanente cinquanta per cento dell’energia, si tratta comunque di 5.000 torri. Sono oltre 6 milioni di tonnellate di cemento e acciaio, l’equivalente di 20 Empire State Building da costruire in Puglia, Sardegna e Sicilia, le regioni italiane dove è concentrato il potenziale eolico sfruttabile. Impressionati? Bene, vuol dire che avete chiari i termini del problema.
E se usassimo per l’eolico le stesse “terre marginali” del solare fotovoltaico? Non così in fretta. Se è vero che il sole splende ovunque, non è vero che tutte le terre marginali sono ventose. L’eolico non può essere impiantato ovunque, ma è limitato alle zone naturalmente ventose. Queste sono quasi sempre sui crinali, il che significa che i campi eolici hanno per forza di cose un grande impatto visivo. La sindrome nimby (non-nel-mio-giardino),specialmente in Italia, è sempre dietro l’angolo.
Limiti e dipendenza delle risorse
L’energia nucleare non fa diminuire la nostra dipendenza energetica dall’estero perché dobbiamo importare l’uranio. Questa frase è stata ripetuta fino allo sfinimento dagli anti-nuclearisti nei dibattiti televisivi. Peccato che le cose non stiano proprio così. E’ vero che il grosso della produzione di uranio è in mano a pochi paesi, ma circa il 40 per cento della produzione mondiale viene da due paesi civilissimi quali Canada e Australia, e la temutissima Russia si ferma all’8 per cento. Questo tacendo del fatto che l’idea dell’indipendenza energetica in sé ha poco senso nell’epoca del mercato globale. Il prezzo di mercato dell’uranio sul lungo periodo è fermo ai 73 dollari alla libbra, nonostante i problemi a Fukushima. Inoltre, i numeri in tabella evidenziano come il costo dell’uranio minerale sul totale è contenuto, e lo rimarrebbe anche se il prezzo raddoppiasse. Certo, le scorte di uranio non sono infinite, e su questo punto hanno ragioni gli anti-nuclearisti. Sulla disponibilità a lungo termine del minerale è in corso un ampio dibattito nella comunità scientifica ma, al momento, è impossibile trarre delle conclusioni sull’effettiva entità delle risorse di uranio o sostenere con certezza che siamo in una situazione di picco della produzione, come invece è assodato per il petrolio.
Ora vediamo le rinnovabili. Di sole in Italia ne abbiamo in abbondanza, mentre la situazione del vento è più complessa. La potenza eolica attualmente installata in Italia è di circa 6 GW. Sull’effettiva ampiezza del potenziale eolico italiano non vi sono ancora certezze assolute. Le stime più ottimistiche (4) parlano di 30-35 GW. Tolti i 6 GW già installati rimarrebbero circa 25 GW, che è quel che serve per produrre i famosi 44 TWh all’anno di energia elettrica, come indicato nella nostra tabella. Stime più prudenti (5) però sostengono che non sia possibile andare oltre i 16 GW totali. Il che vuol dire che sfruttando il vento potremmo produrre al massimo solo 18 TWh dei 44 che ci servono. Meno della metà, insomma. Inoltre va aggiunto che se il nucleare ci porta a dipendere dai paesi produttori d’uranio le rinnovabili implicano una parziale ma perniciosa dipendenza dalle terre rare, il 97% delle quali è esportato dalla Cina.
I problemi: scorie nucleari e intermittenza delle rinnovabili
Le scorie nucleari sono una di quelle questioni su cui la disinformazione tocca i massimi storici. Quante scorie produrrebbero con le centrali nucleari che il governo in carica vorrebbe installare in Italia per i soliti 44 Twh all’anno? Numeri alla mano, sono circa 80 tonnellate di scorie high radiation all’anno, quelle da trattare con guanti protettivi triplo strato. Per mettere la cosa in proporzione, questo numero andrebbe confrontato con i 5 milioni di tonnellate all’anno di rifiuti pericolosi che produciamo con tutto il resto (processi chimici, industriali, eccetera). In termini di volume sono 60 metri cubi all’anno. In 40 anni di attività, le centrali nucleari produrrebbero dunque 2400 metri cubi di scorie radioattive. Meno del volume di una piscina olimpica. Sia ben chiaro, non stiamo dicendo che le scorie non siano un problema, perchè le scorie nucleari sono un problema. Stiamo dicendo che i numeri ritornano una dimensione del problema molto meno apocalittica di quel che passa sui media: niente cave zeppe di scorie e niente montagne grandi come l’Everest di bidoni radioattivi pronti a esplodere, come si vede sui blockbuster catastrofici di Hollywood. Va aggiunto, però, che ufficialmente non esiste un mercato internazionale per le scorie nucleari. Ogni paese è responsabile per lo smaltimento dei propri rifiuti radioattivi in base al principio dell’autosufficienza nella gestione ambientale, che richiede che la maggior parte dei rifiuti debbano essere trattati o smaltiti all’interno della regione in cui è prodotta. Insomma, la responsabilità è nostra.
Nel caso delle energie rinnovabili la questione critica è quella dell’intermittenza della produzione di energia. In pratica esiste di fatto una sola opzione praticata e praticabile: stoccare l’energia rinnovabile in enormi bacini idroelettrici. La Danimarca è forse il paese più all’avanguardia in tal senso: l’energia prodotta del vento eccedente i consumi viene venduta all’estero sottocosto, dove viene usata per pompare a monte l’acqua dei bacini idroelettrici. Quando vento e sole sono assenti e la produzione di energia rinnovabile non basta a coprire i consumi, la Danimarca compra energia dall’estero, generata usando i bacini idroelettrici di cui sopra. In pratica, la Danimarca paga per stoccare energia rinnovabile nei bacini idroelettrici oltreconfine, dato che quelli presenti in Danimarca non sarebbero sufficienti. E’ ovvio che l’approccio danese non è esportabile globalmente, per la semplice ragione che non vi sarebbero bacini per tutti, però è un approccio possibile localmente. Nel caso dell’Italia, i bacini esistenti in suolo nazionale non sono nemmeno lontanamente sufficienti allo scopo. Certo, possiamo costruirne altri. Il problema è che i bacini di pompaggio sono costosi, devastano il territorio e sono pericolosi in caso di terremoto (meno di una centrale nucleare, certo, ma si parla comunque di milioni di metri cubi d’acqua capaci di spazzare via interi centri abitati). In più, è improbabile che il nostro territorio abbia il potenziale necessario a costruire altri bacini, dato che stiamo già sfruttatando abbondantemente centrali idroelettriche e stazioni di pompaggio. Insomma, torniamo dritti al problema della dipendenza dall’estero, stavolta per lo stoccaggio di energia rinnovabile.
Un’altra soluzione per l’intermittenza è la smart grid, la rete intelligente. In breve, la smart grid è la rete che pemetterebbe di comandare in remoto gli elettrodomestici e tutto il resto, adattandoli all’intermittenza delle fonti rinnovabili. L’argomento è troppo complesso per parlarne estesamente. Qui ci limitiamo a osservare che in Italia abbiamo oggi 4 reti ad alta tensione solo debolmente interconnesse (2 continentali, nord e sud, e 2 sulle isole) che rendono complicato portare il vento prodotto in Puglia e Sicilia verso i consumi del nord. Certo, la rete italiana è vecchia e va rifatta comunque (6), il che implica un ulteriore esborso per i cittadini. Non sarebbe corretto imputare l’intero costo della rete intelligente alle rinnovabili ma è vero anche il contrario, e cioè che ci sono investimenti specifici e non trascurabili da finanziare per usare l’eolico.
Tirando le somme
Quarattaquattro terawattora di energia elettrica all’anno. Eravamo partiti da qui. E siamo arrivati, in sintesi, a questo:
Nucleare: occupa pochissimo territorio. Produce energia in modo costante. Ha il costo migliore con orizzonte a 40 anni. Il rischio di morire per incidente nucleare è bassissimo, 400 volte inferiore al rischio di crepare per un banale incidente d’auto. Se però accade un guaio ad una centrale nucleare – e non v’è modo di predirlo – potete dire addio a 1000 chilometri quadrati di territorio e al loro valore commerciale, causa radiazioni permanenti per molti anni. Roba che solo il bilancio di uno stato intero può garantire dal punto di vista economico, e non senza dolori. Questo ovviamente, tralasciando tutti gli aspetti umani, dolori e sofferenze, della questione.
Solare fotovoltaico: occupazione del territorio del tutto ragionevole. Eventuali problemi non-nel-mio-giardino (nimby) sarebbero solo strumentalizzazioni. Produce energia intermittente. Costo elevatissimo. Alle condizioni attuali, il costo rende il solare fotovoltaico applicabile sulla scala dei 44 TWh all’anno solamente a patto di dolorosissimi tagli a sanità, pensioni, stato sociale e tutto il resto.
Eolico: enorme occupazione del territorio con notevole impatto ambientale. Produzione intermittente. Costo paragonabile al nucleare con orizzonte a 20 anni e scommessa pesante sulla ricerca con orizzonte a 40 anni. Se il progresso tecnologico ci consegnerà in futuro nuove soluzioni per un eolico più efficiente – come l’italianissimoKite-gen, l’eolico d’alta quota – è la soluzione migliore. Se invece la ricerca di nuovi soluzioni non dà risultati apprezzabili – e non v’è modo di predirlo – il costo dell’eolico a 40 anni è doppio rispetto al nucleare.
Insomma, la conclusione è che produrre energia non è così facile come sembra. Tutte le soluzioni praticabili hanno precisi pro e contro. Alcuni vincoli sembrano insormontabili allo stato attuale delle tecnologie, il che sottolinea, ce ne fosse bisogno, l’importanza della ricerca. Quel che è importante, però, è aver maturato la consapevolezza che ogni soluzione, nessuna esclusa, comporta vantaggi e difficoltà di natura diversa; sapere cosa è ragionevole e cosa è auspicabile; aver ben chiaro che soluzioni diverse possono anche convivere – il concetto di mix energetico – e non sono escludenti. In breve, è importante avere gli elementi per scegliere sulla base di fatti e valutazioni ben motivate, e non sulla base di vaghe impressioni, propaganda elettorale, disinformazione mirata o valutazioni puramente ideologiche. ça va sans dire.
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Note in tabella:
(1) Impianto di riferimento: Olmedilla (Spagna)
(2) Impianto di riferimento: Whitelee (Scozia)
(3) Impianto di riferimento: Andasol-1 (Spagna)
(4) Impianto di riferimento: Hywind (Norvegia)
(5) Impianto di riferimento: Horn Reef (Danimarca)
(6) www.world-nuclear.org/info/inf03.html, costo uranio 73$/lb (2011).
(7) Costo dello smaltimento delle scorie in Inghilterra, Nuclear Engineeering International (2008).
(8) “Il costo dell’energia nucleare”, Domenico Coiante (2006).
Note a piè pagina:
(1) per gli amanti dei numeri: 4 centrali nucleari da 1600 MW l’una, attive per circa l’80% del tempo (7000 ore l’anno) producono appunto 44TWh l’anno.
(2) “Fonti rinnovabili in Italia e problematiche per l’applicazione”, Domenico Coiante – Amici della terra (2009).
(3) “Fotovoltaico e territorio”, Domenico Coiante (2010).
(4) “Lo sviluppo dell’eolico in Italia”, SPS Italia (2005) e studio indipendente dell’Università di Utrecht (2006).
(5) “Il potenziale eolico italiano”, ANEV-Associazione Nazionale Energia del Vento (2008).
(6) Piano Terna (2010).
grazie di queste info chiare e precise, permettono di valutare con calma e chiarezza, e fanno sorgere una domanda che spero vi sembri lecita: forse bisognerebbe anche imparare a risparmiare energia, come anche acqua e altre cose, specie riflettendo al fatto che prima di tagliare risorse essenziali su welfare e pensioni si de ve e si può ridurre un consumo spesso voluttuario o pagarlo più caro