
Succederà il 22 Giugno. Non conosciamo ancora i dettagli, e in fondo nemmeno ci interessano. Forse nel modo più logico, con l’annuncio urbi et orbi a Pontida. Forse con manovre oscure del Quintino Sella dei nostri stivali. Forse con scajolamiccicchèpisanu e le loro schiere di temerari seguaci, pronti al coraggioso gesto di pugnalare alle spalle un cadavere. Forse col prevalere del senso di responsabilità di quelli che son titolati ad averla. Ma questa è politichetta e non ci interessa.
Quello che è certo, perchè ve lo dice Labouratorio, è che l’avviso di sfratto che gli italiani hanno recapitato a Berlusconi in 3 puntate sarà finalmente messo in scena anche alla camere, nel più classico dei giudizi universali, in diretta televisiva mondiale.
Non un piazzale Loreto, ma il giusto, triste epilogo di una delle peggiori stagioni politiche della storia patria, col suo codazzo di vigliaccherie, riconversioni, piroette e trasformismi, a cui non saremo mai abbastanza avvezzi. Qualche breve, moderato festeggiamento, è dunque senz’altro doveroso. Senza eccedere però.
Oltre la siepe di una realtà esauritasi, c’è il buio di un mondo nuovo da pensare e da rifare.
E il nodo principale è sempre lo stesso: le scelte di politica economica di fronte ad una crisi che continua ad avvitarsi su sé stessa, per gli effetti perversi della coazione a ripetere, dell’indefessa riproposizione degli stessi mantra, dell’incapacità di coglierne le profonde ragioni storiche, culturali, ideologiche, quindi politiche prima ancora che economiche.
Con tutto ciò, dal domani, occorrerà iniziare a fare davvero i conti, in particolare a fronte di una situazione debitoria europea estremamente preoccupante, che impone scelte di politica economica che non possono essere semplicemente dettate dalla dottrina dei tagli uniformi di ispirazione tremontiana.
C’è ancora tutto da scrivere, tutto da discutere, tutto da immaginare di un’alternativa di sinistra, “neo-socialista” almeno quanto “neo-liberiste” sono le politiche imposte nell’ultimo trentennio in nome della oggettività e della cogenza di processi globali governati e governabili. Labouratorio ha già tentato di iniziare questo dialogo, questa maieutica, che tuttavia dovrà essere sostenuta da uno schieramento politico definito a partire dalla strategia economica.
Anche per questo motivo, la nostra proposta è quella di creare un network (inter)nazionale di giovani amministratori che, senza mettere in discussione le proprie appartenenze, si impegnino nel creare una rete, un patrimonio di pensieri, idealità, attività comuni; un primo passo verso la costruzione di una comunità di destino, di un progetto e di un percorso da percorrere insieme verso il futuro.
Si tratta insomma di un lavoro immane, che ci impedisce di perdere anche un solo minuto prezioso a celebrare la fine dell’impero, a regolare i conti di chi era dove, e come, e perché. Rimandare a data da destinarsi l’autoanalisi collettiva che fisiologicamente seguirà alla caduta di Silvio è la parola d’ordine di Labouratorio
Non tanto e non solo perché delle prediche di quelli che Berlusconi l’hanno inventato e mantenuto in vita artificialmente (e che ora, pure se suoi avversari, si sentono minacciati e messi in discussione dalla sua uscita di scena), di queste prediche ne abbiamo piene le palle, intrise come sono di ipocrisia strumentale. Ma perchè sarebbe operazione vana: di berlusconiani, infatti, dal 23 Giugno, non ne esisteranno più.
Per questo, anche per questo, abbiamo provocatoriamente anteposto la questione energetica a quella politica, nel presentare al mondo l’operazine Atomo Rosso. Il risultato dei referendum, ad esempio, inibisce la parabola discendente di una politica che non riforma e, quando lo fa, riforma male, ma lascia comunque questioni irrisolte che è e rimarrà cruciale affrontare.
Berlusconi è morto, cerchiamo di vivere, almeno noi.
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