[Labouratorio 60] Internazionalismo è Rivoluzione!
giovedì 14 aprile 2011 | Scritto da Redazione - 1.755 letture |
Internazionalismo è Rivoluzione!
“L’establishment politico è inadeguato ai cambiamenti nel moderno mondo liquido. Non siamo alla fine della politica ma solo all’esaurimento di una delle sue forme storiche. Il potere (che è capacità di realizzare le cose) e la politica (che è capacità di decidere quali cose necessitano di essere fatte) ora sono separati. Il potere è stato globalizzato, la politica è rimasta localizzata. O legata a personaggi. Queste due entità devono essere riunite in un livello sovrastatale. Questa sfida probabilmente consumerà la parte migliore della presente generazione. Ma è un obiettivo a cui dobbiamo per forza mirare. Si tratta di sperimentare una nuova politica, con nuove procedure e con nuovi strumenti.”
Questa frase di Zygmunt Bauman è circolata in maniera virale nella redazione di Labouratorio fino a decretarne la recente rinascita. E’ stata una spinta che abbiamo tenuto nascosta innanzitutto perché non ci fidiamo di chi mette in mostra i propri sogni, come si trattasse di una fiera di paese: di solito si tratta di gente che addobba come può porte che danno sul nulla, affinché tutti si fermino all’esteriore e nessuno conosca il vuoto che c’è dentro. Ma, allo stesso tempo, abbiamo avvertito l’esigenza di darci una direzione e non potevamo che scegliere l’obiettivo più elevato possibile.
La fine della storia, di cui all’indomani del crollo del Muro di Berlino parlò Francis Fukuyama, non poteva che essere la fine di una storia e l’inizio di un nuovo capitolo, le cui pagine si stanno ancora scrivendo. Viviamo oggi problemi complessi perché globali: la precarietà, l’assenza di prospettive, la spaccatura tra insider e outsider accomunano tutte le nuove generazioni europee e queste sono a loro volta parte di una realtà sociale ed economica più ampia, internazionale, mondiale, caratterizzata da ingiustizie distributive drammatiche che vanno ampliandosi. Si tratta di problemi strutturali, che non possono trovare soluzione nell’attuale stato delle cose.
C’è allora bisogno di un salto logico, di un nuovo schema di ragionamento che renda lecito e anzi doveroso pensare ad uno sviluppo storico differente, che renda possibile ad una comunità di destino, che esiste nei fatti, di prendere coscienza di sé stessa e di prendere in mano il proprio presente, di costruire il proprio futuro. E tuttavia non esistono nuovi inizi, come ha sottolineato Mario Tronti. Una forza politica disconnessa dalla tradizione è destinata a durare lo spazio di un mattino, perché è con la durata che occorre cimentarsi, è con la potenza del ritorno del sempre uguale che occorre fare i conti, affinché una forza politica divenga una forza propriamente storica. E questo è l’obiettivo ambizioso che va messo in campo.
Le notizie degli ultimi mesi confermano che abbiamo di fronte due strade. La prima, quella che auspichiamo, è vecchissima e si chiama internazionalismo: la costituzione di nuove responsabilità, capaci di rispondere a insiemi di persone necessariamente interconnesse, che diventino i protagonisti della società globale. La seconda, quella che stiamo osservando, è la rimozione degli individui e della loro dignità dalla scena internazionale, è la dittatura degli interessi di stato – mai apparsi così piccoli e gretti –, è il trionfo degli sciovinismi, dei nazionalismi che rincorrono le paure perché non possono soddisfare le ragioni. E’ il tutti contro tutti, la forza e la violenza contro il diritto e i diritti, un processo desinato a sfociare in guerra generale per ottenere risorse, territori, vantaggi temporanei.
Il discorso che viene fatto è semplice: non esistono alternative. La liberazione dalle ideologie è divenuta la condanna alla dittatura dell’esistente, l’impossibilità di pensare il mondo in termini alternativi, la trasformazione della politica in management. In fondo è solo un grossolano divieto che ci vien fatto: non dovete pensare! E’ a questo sforzo di normalizzazione e anestesia che occorre resistere.
Un compito che si può realizzare solo tenendo a mente ciò che diceva Pasolini, riferito agli operai che combattevano per ribaltare i rapporti di forza: lottate, ma fatelo con grazia. Cioè nel momento in cui fate la lotta non assumete la prepotenza, la protervia, i modelli di comportamento, il timbro, il linguaggio, il modo di pensare degli oppressori che volete sconfiggere.
In questo numero:
- I sindacati dalla difesa del salario alla difesa del “sistema”
- Intervisa a Baccaro: “I sindacati? Destinati a scomparire”
- Giorgio Giannelli: L’Italia alle prese con la democrazia
- Si scrive Portogallo ma si legge anche Spagna [cit.]
- Alain Supiot: L’Europa vinta dalla “economia comunista di mercato”
- La Grecia insegna: cambiamo l’Europa!
- Bye Bye Blair! Il Socialismo europeo tra passato e rinnovamento
- Bye Bye Ecosy! L’inutile carrozzone dei giovani socialisti europei
- Francesco Baruffi: Start-Up in Italy. Il punto con Emil Abirascid
- LabourARTorio: Valentina Perazzini e il progetto “Flowerbed”
- Dulcis in fundo. Ceux qui marchent contre le vent
Qyesta è soltanto una prova per sapere come fare a scrivere i propri commenti. Grazie.
Quindi si scrive direttamente qui. E poi chi legge? Penso tutti coloro che cercano Labouratorio 60. E’ così?
Si c’è tutto. Va bene. Grazie.
Si può scrivere sia qui che sotto ciascun articolo..I lettori arrivano un po’ da ovunque: passaparola, affezionati, link da facebook, ricerche su google. Abbiamo di solito un centinaio di lettori al giorno, salvo quando vengono pubblicati i numeri nuovi: in quel caso c’è un bel balzo all’insù. In generale stiamo crescendo, cosa che si può fare solo scrivendo cose valide! Ci si prova!
Interesting thinking…
Il problema non è crescere. Credo che nessuno di noi abbia intenzione di fondare un partito politico da cui trarre dei vantaggi elettorali. L’importante è dibattere, entrare in contatto con tanti giovani e anziani sbandati, un tempo progressisti, amanti del buon governo, cultori della pace. Per questo occorre provocare la partecipazione alla discussione, trovando argomenti semplici e di vera attualità
ci vuole dialogo e partecipazione.
francoruocco@hotmail.com
E così l’Idea Socialista che era stata cacciata dalla porta rientra prepotentemente dalla finestra……
Alla faccia di Ciccio Rutelli che definì il socialismo un cane morto. Il cane è lui,e il socialismo vive finché esiste anche un solo sfruttato sulla faccia della Terra.
Le idee che affondano le loro radici nella natura umana non muoiono mai!