[Labouranetwork] Start-up in Italy: il punto con Emil Abirascid
giovedì 14 aprile 2011 | Scritto da Francesco Baruffi - 1.282 letture |
Francesco Baruffi è il creatore e animatore di Social Buzz Life, un blog sui social network, “sull’innovazione e sui temi legati allo start-up d’impresa hi-tech e alla finanza alternativa”. Consulente e advisor finanziario, Francesco ha accettato di collaborare con Labouratorio: tenete d’occhio la sua rubrica, ci regalerà articoli imperdibili!
Alcuni giorni fa mentre con il team di Democenter-Sipe decidevamo i contenuti del nuovo sito di Innova Day ci scambiavamo alcune battute sul numero di eventi e di iniziative dedicati alle start-up che ci sono oggi in giro per l’Italia.
E’ da circa due anni e mezzo che mi occupo di creazione d’impresa hi-tech e la sensazione che ho avuto negli ultimi mesi è che il settore si stia evolvendo molto rapidamente. Tra una battuta e l’altra ho pensato che è venuto il momento di fare il punto della situazione. Contattate alcune delle persone che in Italia hanno più il polso della situazione sul mondo delle start-up e sull’ecosistema dell’innovazione e inviate loro alcune domande per capire meglio che cosa sta accadendo: questo è il resoconto.
Così è nato il micro-progetto “Start-Up in Italy”.
La prima persona che ho contattato è Emil Abirascid. Direttore della rivistaInnov’Azione, giornalista che da anni si occupa di start-up e di innovazione pubblicando articoli su Nova del Sole 24 Ore, Wired, e che da pochi giorni ha lanciato la nuova versione della piattaforma Start-Up Business. Emil si è dimostrato come sempre cortese e disponibile.
Da pochi giorni è on-line la nuova piattaforma di Start-Up Business uno dei più importanti social network per l’ecosistema dell’innovazione presenti in Italia. Da dove nasce l’idea?
L’idea nasce nel 2005 quando feci la prima edizione di Percorsi dell’innovazione, l’area delle startup in seno a Smau. All’epoca in Italia l’ecosistema delle startup non esisteva ancora e l’intuito fu quello di puntare su un fenomeno che negli anni successivi sarebbe cresciuto con ritmi esponenziali. Affinché gli attori di tale fenomeno potessero avere un ‘luogo’ dove incontrarsi e poter condividere risorse, esperienze, opportunità, notizie, idee ho dato vita a Startupbusiness che è nato nel 2008 con il supporto della Camera di Commercio di Milano e oggi è essa stessa una startup che offre anche servizi e collabora con una serie di altri attori che fanno cose per il mondo delle imprese innovative come per esempio Intesa Sanpaolo Startup Initiative. Lo scorso 1 marzo siamo andati online con la nuova piattaforma del tutto rinnovata nelle funzioni, nella grafica, nell’offerta. Per registrarsi è sufficiente andare su www.startupbusiness.it
Quanti sono e chi sono i membri della community?
I membri di Startupbusiness sono oggi oltre 2100 e sono soprattutto startup, imprese, investitori in capitale di rischio come venture capital e business angel, sono istituzioni finanziarie, sono incubatori, parchi scientifici e tecnologici, università, studenti
Che cosa ne pensi dell’ecosistema dell’innovazione oggi in Italia?
Penso che stia vivendo un momento molto interessante perché dopo essere cresciuto esponenzialmente per circa 5-6 anni è oggi di fronte alle necessità di fare un salto di maturazione anche qualitativa. Siamo sulla strada giusta, deve forse passare ancora un po’ di tempo perché alcuni elementi si assestino, per esempio c’è una sorta di corsa a organizzare cose per le startup ma solo una parte di questa offerta è efficace e non mossa da esigenze di marketing, e serve anche che si pensi alle startup innovative considerando tutti i filoni tecnologici, in molti oggi pensano alle startup solo come a quelle che fanno progetti sul web, che va benissimo perché rappresentano una parte importantissima dell’ecosistema, ma se andiamo a vedere quali startup italiane nate negli ultimi anni hanno oggi successo si rileva che esse operano in diversi settori: energie, nuovi materiali, ict, biotech.
Se tu dovessi tracciare un profilo del business angel italiano come lo descriveresti?
Così come tutti gli attori dell’ecosistema anche i business angel stanno maturando. Oggi in Italia ci sono gruppi di investitori, penso per esempio a Italian Angels for Growth, che sono in grado di mettere insieme risorse finanziarie e competenze di altissimo livello come mai è avvenuto in passato, sotto certi punti di vista questo modello è anche più efficace di quello del venture capital tradizionale. Credo che, soprattutto in Italia, i business angel, o anche i cosiddetti ‘superangel’, stiano giocando e continueranno a giocare un ruolo importantissimo, e credo anche che possano dare un importante contributo anche alla diffusione della cultura dell’imprenditoria innovativa.
In questo periodo si sente molto parlare di Silicon Valley. Molti italiani in passato si sono trasferiti li. Oggi il fenomeno si è intensificato: molti start-upper – chi per lunghi periodi, chi per alcuni mesi – vanno in Silicon Valley per sviluppare i loro progetti d’impresa o per lanciarli sul mercato. Mind the Bridge è un evento che ha come obiettivo quello di portare li start-upper per svolgere training intensivi. Fullbright Best è un programma di borse di studio che porta in USA e in particolare in Silicon valley italiani con una idea d’impresa in testa con l’obiettivo di fare maturare il progetto per poi fare nascere una start-up in Italia. Qual’è la ragione di una così grande attenzione? Perché la Silicon Valley e non ad esempio Bangalore?
Silicon Valley va benissimo ma non è replicabile, non solo in Italia ma in qualsiasi altra parte del mondo, anche all’interno degli Usa non ci sono altri posti così. È importante andare a fare un giro in Silicon Valley per chi vuole fare startup, ma è anche importante comprendere quali sono gli aspetti che possono essere più importanti come per esempio il networking o la cultura dell’innovazione che vede la nuova generazione di imprenditori essere innovativa non solo nelle cose che propone e che sviluppa ma anche nell’approccio: un rapporto di apertura verso i soci di capitale, una considerazione costruttiva del fallimento, una visione efficace della concorrenza e dell’internazionalizzazione. Quindi tutto il contrario dell’approccio che hanno gli imprenditori più tradizionali che vedono nei soci di capitale potenziali predatori dell’azienda, che credono che il fallimento sia macchia indelebile, che affrontano la concorrenza con il piglio dell’individualismo imprenditoriale e che pensano all’internazionalizzazione solo quando si accorgono che il mercato locale è saturo. Questo nuovo approccio al mercato e alle sue regole,che in Silicon Valley è naturale, deve diventare parte della cultura imprenditoriale anche da noi, e sta già avvenendo.
Tu citi Bangalore, ma si possono citare altri posti, il fatto che il modello della Silion Valley sia difficilmente replicabile non significa che anche in altri luoghi del mondo non si possano creare condizioni di fertilità per la nascita di startup innovative, bisogna farlo tenendo presente specifiche caratteristiche e non emulando modelli che difficilmente attecchirebbero. Ma si può fare, anche in Italia basterebbero alcuni accorgimenti per dare slancio: per esempio defiscalizzare il costo del lavoro per le startup innovative per, diciamo, i primi tre anni, in tal modo si favorirebbe la creazione dei posti di lavoro di alto livello creando così anche in terreno fertile per attrarre cervelli stranieri o per favorire il rientro degli italiani all’estero, si favorirebbe la crescita dimensionale delle startup che devono essere viste come multinazionali che muovono i primi passi e si creerebbero posti di lavoro che trascorsi i primi tre anni diventerebbero fonte di entrare per l’erario.
Che idea ti sei fatto andando in Silicon Valley?
Che è un luogo dove si può imparare molto, dove bisogna andare per mettersi alla prova spingendo il limite più avanti possibile, ottima palestra per chi vuole fare il mestiere dello start upper.
Secondo Te che cosa è possibile esportare in Italia di quel modello?
Come ho detto prima, la cultura dell’imprenditoria innovativa.
Anche in Italia soprattutto negli ultimi anni sono nati progetti di valorizzazione di idee e di creazione d’impresa interessanti. Quali sono secondo Te oggi le best practices nel Nostro Paese?
Senza mettermi qui a fare l’elenco dei buoni e dei meno buoni va detto che le startup devono imparare a selezionare gli eventi ai quali partecipare. In linea di massima conviene verificare il settore al quale i singoli eventi si rivolgono, verificare se in palio ci sono premi o se, preferibilmente, ci sono occasioni di incontro con la comunità dei finanziatori anche di tipo industriale. Per individuare gli eventi e le occasioni Startupbusiness è un buon punto di partenza.
Circa un anno fa hai lanciato un progetto in collaborazione con la rivista WIRED – Italian Valley– sulla quale tieni anche una rubrica settimanale dedicata alle start-up. Dove nasce l’idea e quali risultati ha avuto?
L’idea nasce proprio per dare una vetrina in più alle startup innovative italiane, in fondo il mio Dna è quello di giornalista e come tale dirigo la rivista Innov’azione il cui editore è il Polo tecnologico di Navacchio dove ha anche sede l’Associazione Italiana dei Parchi Scientifici e Tecnologici. Italian Valley è nata originariamente come rubrica sulla rivista, poi ha avuto la sua prima evoluzione online in concomitanza con il progetto Italia degli Innovatori voluta dall’Agenzia per la Diffusione delle Tecnologie e per l’Innovazione che ha portato oltre 200 imprese innovative italiane all’Expo di Shanghai nel 2010. I risultati di Italian Valley sono ottimi perché è ottimo il lavoro fatto da Wired in questi due anni, da quando appunto esiste la versione italiana dell’omonima rivista Usa.
Quali sono gli obiettivi futuri del progetto?
Oggi Italian Valley è sia la rubrica che curo sulla rivista sia una delle cinque sezioni del sito Wired.it dove ogni giorno sono pubblicate notizie sulle imprese innovative del Paese e dove vi sono anche blog curati da altri protagonisti di questo ecosistema.
Da due anni sei ospite dell’evento Innova Day. L’evento promosso daDemoCenter-Sipe per favorire l’incontro tra start-up hi-tech, innovatori e potenziali partner e finanziatori. Che cosa ne pensi dell’ecosistema dell’innovazione modenese?
Penso che l’ecosistema dell’innovazione non debba avere recinti: settoriali, geografici, anagrafici o di altra natura. Quindi sono convinto che in Italia le imprese innovative oggi possano nascere e crescere ovunque, vedi per esempio i casi di due delle più splendide gemme dell’innovazione made in Italy come sono Eurotech eDallara che hanno sede in luoghi lontanissimi dai grandi centri urbani. Ovunque significa soprattutto in territori dove riescono a esprimersi grandi potenzialità e sinergie e Modena è oggi uno di questi insieme a, per esempio, Pisa, Trento,Trieste. Il lavoro che DemoCenter-Sipe ha fatto e che continua a fare è importante perché ha scelto una strada nuova che va oltre quella dei compiti tradizionali di un centro per il trasferimento tecnologico e questa strada sta dando ottimi risultati, ciò è frutto del fatto che la strategia punta alla concretezza con poco spazio per le chiacchiere ed è apprezzata sia dagli investitori, finanziari e industriali, sia dagli start upper.
Se dovessi dare un consiglio a una start-up hi-tech che decide di nascere a Modena e in Emilia Romagna che cosa gli diresti?
Che è importante fin dal primo giorno considerare il mercato globale, e questo vale che si nasca a Modena o in qualsiasi altro luogo. E poi di conoscere molto bene il tessuto industriale della zona.
Cambiando completamente area geografica. Oltre ad essere un giornalista molto seguito in Italia sei un osservatore attento dell’ecosistema dell’innovazione e delle economie dei Paesi del Medio Oriente. Quali pensi che saranno le conseguenze dei rivolgimenti in atto sui sistemi economici di quei Paesi?
I Paesi del mondo arabo contano complessivamente circa 300 milioni di persone che parlano tutte la medesima lingua e oltre il 60% di loro ha meno di 25 anni. Questi numeri da soli mettono in luce le grandi differenze che ci sono, da un punto di vista sociale e anagrafico, con l’Europa. Personalmente credo che ciò che sta avvenendo nella sponda sud del Mediterraneo sia mosso dalle giovani generazioni che hanno bisogno di guardare avanti, di tenere in mano il futuro e ciò non sarebbe stato possibile con i regimi che erano al potere. Sono persuaso del fatto che proprio perché sono i giovani a muoversi non vi saranno derive integraliste e non vi saranno nemmeno migrazioni di massa perché chi vuole cambiare le cose ora lo può fare direttamente in quei Paesi, andare via ora sarebbe un errore, significherebbe perdere le nascenti opportunità. L’area è indubbiamente infiammata e i costi di questa transazione sono altissimi in termini umani e sociali, ma quando la tempesta sarà passata avremo una ‘nazione araba’ più forte, consapevole e, auspico, democratica. Il Medio Oriente e il nord Africa potrebbero diventare l’epicentro del futuro boom economico, i nuovi Paesi emergenti, e li abbiamo qui a poche miglia nautiche dalle nostre coste, una grande opportunità anche per l’Italia e per il suo meridione soprattutto, un treno che, se passerà come mi auguro, non ci potremmo permettere di perdere.
I cambiamenti in atto pensi che avranno conseguenze in termini di innovazione anche sul Nostro Paese? Se si quali?
Già oggi nei Paesi delle sponde sud ed est Mediterraneo c’è grande fermento anche dal punto di vista dell’innovazione, come ho detto la popolazione giovane è in maggioranza. In alcuni Paesi, come per esempio il Libano, tutti parlano almeno tre lingue, in molti sono tornati dopo esperienze in Usa o in Europa, grandi gruppi industriali stanno investendo. Recentissima è la nascita del primo fondo per investimenti in società tecnologiche Palestinesi, fondo da quasi 30 milioni di dollari in cui hanno investito anche Cisco e Google e che è gestito da un palestinese e da un israeliano. Se non è un segnale questo!
Negli ultimi tempi si respira un clima abbastanza acceso in Italia tra finanziatori – in particolare fondi di investimento – da un lato e start-upper dall’altro. I primi accusano spesso i secondi di non essere sufficientemente preparati quando presentano i loro progetti di business, i secondi accusano i primi di non finanziare progetti o di fare richieste troppo pesanti. Che cosa ne pensi?
Penso che come sempre chi più parla meno fa. In Italia ci sono investimenti attivi di rilievo, ci sono gli investitori che investono e le start-up che promettono bene, ci sono perfino i primi casi di successo. Credo che sia una polemica del tutto superflua perché non vera. Certo non tutti trovano i soldi e non tutte le start-up sono promettenti, normale, ma ci sono anche quelle che promettono e che trovano i soldi, forse dipende solo da chi sono gli interlocutori. Ciò che bisognerebbe fare è eliminare i premi a fondo perduto e puntare invece sugli investimenti anche industriali, una grande azienda che in veste in una start-up perché le tecnologie di quella start-up l’aiutano a rinnovarsi servirebbe all’ecosistema cento volte di più che una manciata di premi perché dimostrerebbe come il processo di rinnovamento del tessuto industriale, economico e produttivo del Paese si è innescato e darebbe una visione in prospettiva molto più efficace. Inoltre scatenerebbe la corsa all’imitazione perché creerebbe valore industriale e non solo finanziario per l’impresa acquirente.
Un ultima domanda. Qual è secondo te una caratteristica che contraddistingue le start-up italiane rispetto alle altre e che può costituire un punto di forza sul quale puntare per avere successo – si tratta ovviamente di una generalizzazione e come tale sbagliata – ?
Si sente spesso dire che in Italia ci sono i talenti, c’è la creatività, c’è l’inventiva ed è verissimo, gli italiani per competenze e visione non hanno nulla da invidiare ad altri nel mondo. Ciò che però serve per tradurre innovazione in valore, quindi in imprese, in posti di lavoro, in nuove possibilità di sviluppo per l’economia, non è solo il talento e la creatività perché questi fattori devono essere accompagnati anche dalla capacità e dalla voglia di fare, di sudare, di sacrificarsi, di scommettere su se stessi, di rischiare al massimo. Torniamo alla cultura dell’innovazione che in molti anche in Italia dimostrano di avere e torniamo alla necessità di fare crescere l’ecosistema non solo in quantità ma anche in qualità e per quello che vedo io il processo è innescato, sono ottimista.
Tag: emil abirascid, finanza alternativa, francesco baruffi, hi-tech, innovazione, labouranetwork, social network, sole24ore, startup
Le interconnessioni sono cosi spinte che anche le grandi aziende hanno dovuto mettere da parte ogni ostilita per il not invented here . Che poi altro non significa se non che le buone idee possono nascere ovunque.
ottima, interessante intervista. Tra l’altro segnalo che nel prossimo numero di Labouratorio intervisteremo dei ragazzi romani che sono appena partiti, con la loro azienda già ben avviata, per cercare fortuna e crescere nella Silicon Valley.