[Mondoperaio in Labouratorio] La rivoluzione non è un pranzo in famiglia
domenica 13 marzo 2011 | Scritto da Nicolò Cavalli - 748 letture |
Presidente Napolitano,
Le scrivo anche se non sono un cantante a cui hanno tolto il figlio, né ho fucili caldi e un popolo pronto a seguirmi. Le scrivo anche se non ho cariche in qualche partito, e non sono in piazza a protestare contro qualche riforma. Le scrivo, insomma, nella consapevolezza che Lei non mi leggerà.
La questione dei giovani, Presidente, l’aveva già risolta un anonimo sapiente tre o quattromila anni fa, insegnandoci che il domani non uscirà da qualcosa di diverso dalla terra che calpestiamo oggi, che “ciò che è stato sarà e ciò che si è fatto si rifarà, perché non c’è niente di nuovo sotto il sole”.
Strano Paese l’Italia. Un luogo dove ogni questione diventa moda, viene trattata con uguale qualunquismo da contrapposti conformismi, e svanisce prima che qualcuno ne possa o ne voglia comprendere le implicazioni o le più profonde ragioni. Di tanto in tanto, nonostante l’anonimo sapiente, tocca ai giovani affacciarsi nel territorio dell’effimero Simmeliano, prendersi il quarto d’ora di notorietà e poi ritirarsi come il miglior Cincinnato, in attesa della prossima chiamata.
Sono state finite le lettere con cui definire la generazione che, di volta in volta, viene gettata sul palcoscenico: x, y, z, zero, internet, onda, e chi più ne ha ne metta, che un poco di creatività è sempre la benvenuta.
Poi arrivano le vacanze di Natale e l’onda si sgonfia, che la rivoluzione non è un pranzo di gala ma può ben essere barattata con un pranzo in famiglia. A un certo punto non ci sono i soldi per pagare le bollette e la generazione y esce dalle categorie sociologiche e si trasforma magicamente in forza lavoro, entrando a far parte della schiera di quelle genti meccaniche che non sono affatto le protagoniste della storia, ma piuttosto il suo animale da soma.
Non esiste una questione generazionale in Italia, presidente Napolitano: la generazione è un fenomeno demografico ma non è classe in sé ne per sé, tanto per prendere in prestito concetti fuori moda. Esiste invece una questione sociale, che ha fatto ricadere sui giovani tutto il superfluo del benessere e tutto il peso delle relazioni economiche e politiche di un Paese iniquo e bloccato.
Noi abbiamo l’aperitivo e la consolle e la scolarizzazione di massa, a volte la pensione del nonno e, comunque, la vita da bruciare come un gioco fino all’ultimo minuto in cui ciò ci è possibile. Siamo rincoglioniti dalla ricchezza al punto da non accorgerci che quello che ci cade in testa sono solo le briciole che vengono giù dal tavolo di coloro che, ricchi, lo sono davvero, e che rappresentano quel decimo della popolazione che detiene quasi la metà del reddito nazionale.
I giovani, Presidente, sono un’entità fittizia, buona per i discorsi di fine anno, destinati a raccogliere l’applauso di tutti, a patto che poi non si mettano in discussione le posizioni di privilegio che spingono col tallone sul corpo inerte del Paese.
E’ come nota a margine di belle parole che il Mezzogiorno veniva condannato a persistere nella minorità, che la ricchezza del boom veniva sperperata per alimentare prebende, che si consumava l’erosione del futuro arrendendosi al pensiero unico che oggettivizza processi globali governati e governabili.
Forse è vero quello che scriveva Solzenicyin, che “I grandi popoli hanno questa legge; sopportare tutto e sopravvivere.” Ma viene da chiedersi quale valore assegnare ad una sopravvivenza che equivale alla dimessa rassegnazione, ché tanto l’Italia era e continua ad essere la nazione di Fontamara e Montegrano.
Lei ci chiede un colpo d’ala. Ebbene non possiamo né vogliamo farlo. Siamo assuefatti alla nostra condizione di irresponsabili per professione. Siamo assuefatti al gioco delle parti cui di tanto in tanto siamo chiamati a partecipare. Siamo assuefatti, a volte persino soddisfatti della nostra rassegnazione, e francamente mi pare questo il dramma più profondo del nostro Paese.
Siamo assuefatti anche ai suoi discorsi, Presidente, e spero che Lei continui a farne. Chi mi darebbe, altrimenti, la possibilità di scrivere solo perché ho vent’anni, anche se non ho niente da dire?
Nicolò Cavalli_23 anni ma va per i 24. E’ stato chiamato da Nenni in persona, apparsogli in sogno, ad intervenire su MondOperaio. Sovente colto da ansia da prestazione – come possono confermare varie sue donne -, è finito a scrivere un banalissimo articolo sul fatto che i giovani, tutto sommato, non esistono. Aver scritto su MondOperaio rimane comunque l’unica cosa interessante che ha fatto nella sua vita.
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