[Sociopatie] Le ronde? Una tribù che balla!
martedì 13 ottobre 2009 | Scritto da Redazione - 2.119 letture |
di Giacomo Scarpelli
Primitivi, rozzi, trogloditi, incivili. Tutti termini che vengono affibbiati di frequente alle Ronde, alla Lega Nord e alle sue varie sparate. Appellativi non certo ingrati o avari. Anzi mai così azzeccati per dedurre una categoria euristica capace di interpretare il “rondismo” dei nostri tempi. La tribù appunto.
Sul fenomeno innanzitutto c’è da chiedersi come si spiega una domanda e una partecipazione popolare così sentita, specialmente in determinate zone del paese. Non c’è dubbio che la questione affondi le radici nelle trasformazioni della struttura economica e sociale. Ma vale la pena, in questa occasione, occuparci di ciò che viene a galla dalle profondità, dedicare infatti queste poche righe al neotribalismo delle ronde.
Subito mi viene in mente la nozione come la espone Michel Maffesoli nei suoi cours alla Sorbona.
Per tribù moderne, infatti si deve intendere un ordine di fusione che si contrappone all’ordine politico. Un’associazione tra individui che non trova nella razionalità moderna il suo spirito fondante ma al contrario si affida al sentimento, all’emozione, alla dimensione sensibile per organizzarsi.
Messa così sembrerebbero la riedizione delle comunità premoderne, della tradizione, della superstizione, delle credenze ecc…. Al contrario sono creazioni sociali dell’epoca moderna, poiché gli stessi componenti hanno ruoli sociali nella società in cui vivono. Biografie individualiste che costituiscono l’ambiente comunitario attraverso rapporti tattili, privi di un’appartenenza comune e discontinui, relazioni tra stranieri metropolitani che si raggruppano per un interesse immediato e non per realizzare una visione condivisa del bene comune.
Cosa sono le ronde se non uno spazio, uno fra i tanti, dove i singoli possono transitare rappresentando e reclamando le proprie esigenze e i propri bisogni? Un terreno, come loro stessi affermano, che supplisce alla mancanza di sicurezza dello stato e per questo ascrivibile ad un ordine altro da quello politico. Uno dei tanti punti di approdo su cui stanziare per breve tempo, una notte, per poi ripartire verso altre terre. Un nodo di accesso dove poter sviluppare una socialità in cui la persona recita un ruolo improvvisando su un canovaccio improntato sul rancore e l’egoismo individualistico, che esprime sia la solitudine dell’uomo contemporaneo sia la difesa della villetta coi nani da giardino.
Senza dubbio rappresentano un bisogno di comunità represso dalla modernità. Un pessimo bisogno che a ragione provoca riprovazione. Una modalità di interazione che cede tutto alla dimensione dell’irrazionale, dell’antimoderno per finire in un’agire sociale pericoloso e violento.
Allora, noi, variegato mondo del centrosinistra, della sinistra o del centro-sinistra, non dovremmo esimerci dal confrontarsi con tutte le nuove modalità di aggregazione che appaiono anche nella nostra società. Interrogarsi è necessario per elaborare una prospettiva che non si limiti alla condanna di tali manifestazioni, ma le affronti di petto; perché se la maggior parte delle volte l’associazione avviene in maniera ludica, altre volte può dar luogo a fenomeni violenti come le ronde e simili. D’altronde le tribù sono anche questo.
Giacomo Scarpelli da Firenze, laureato in Scienze politiche, impenitente cosmopolita e antitaliano, da prima che glielo dicesse Berlusconi.
Concordo appieno. L’analisi che fai della “questione rondismo” trascende dagli sghignazzi snob con cui da molta sinistra si guarda alla faccenda. Nella sua lucidità, mi sembra particolarmente pregevole la sottolineatura della caratteristica implicita del fenomeno, ovvero l’essere soprattutto una domanda.
Una domanda d’ordine becera e berciata, scorretta nella forma, e che nel suo tradursi in azione autoindulge in una risposta sbagliata (come spesso accade nei solipsismi).
Ma domandare è lecito. E qui, se qualcosa abbiamo da dire in merito, rispondere non è solo cortesia, è un dovere.
Come rispondere, però?
Se la tribù rondista è tanto sensibile alle urgenze emotive da ritenere inutile ed inappagante (direi frigida) la via razionale della partecipazione politica, occorre replicare alla sua domanda d’ordine – nonché al suo “bisogno di comunità”- con un’offerta pertinente, che contempli insieme passione, socialità e concretezza. Nessuno dovrebbe più sentirsi un cogl***e sconclusionato perché sceglie la via della politica, nè un superganzone galattico perché dà addosso a chi la fa.
Rilancio anch’io: riusciamo a proporre un modello di politica di sinistra al netto della sua peculiare spocchia?
Anche a me l\’articolo è piaciuto molto, moltissimo. Un punto da sottolineare è quello della presenza e del ruolo dello stato o, meglio, di un\’autorità che gestisce il monopolio della violenza. Ovviamente l\’articolo vuole mettere in luce un altro aspetto del problema, ma la mia provocazione può magari essere lo spunto per un nuovo articolo.
La provocazione che volevo portare è: com\’è che proprio al sud le ronde non vanno per niente di moda?!
Angela concordo con te e penso che la sinistra egemonica era tale perchè non spocchiosa e soprattutto perchè sperimentava, aveva quello schietto vizio di elaborare i fatti, gli eventi (i veteroqualcosa direbbero le fasi) all’interno di una visione del mondo che la guidava.
Marco è interessante la tua provocazione… rilancio di nuovo: e se il tribalismo al sud avesse a che fare con quella galassia associativa che si chiama Mafia?
Ad ogni modo penso che il neotribalismo non si configura nella società contemporanea come un’organizzazione strutturara, piuttosto come un insieme di relazioni irregolare, povere di norme e di rappresentazioni collettive, per cui coloro che vi partecipano mettono in gioco una delle loro identità come una carta nel Poker Texas Hold’em.