[Socialismi] Il Socialismo nello scontro di civilta’
martedì 13 ottobre 2009 | Scritto da Plex - 2.740 letture |
Il generale crollo elettorale dei partiti socialisti in giro per l’Europa ha alimentato un diluvio di analisi, studi, domande e risposte. Lungi da me il tentativo di addentrarsi nei meandri del dibattito. Più modestamente, si vuole qui introdurre un punto di vista parzialmente inedito che si può sintetizzare in una domanda: può il Movimento Socialista prescindere dal prendere una posizione, e quindi ri-definirsi, in relazione ai profondi sconvolgimenti che stanno rivoluzionando l’ordine geopolitico globale?
La questione dei mutamenti dell’ordine globale è recentemente salita alla ribalta in seguito all’esplodere della crisi economica globale (che appare peraltro come una crisi occidentale con effetti globali), nel settembre scorso, e nella successiva elezione di Barack Obama alla presidenza degli Stati Uniti d’America. Molti osservatori hanno visto in questi due momenti una cesura netta, in campo economico e in campo politico, tra l’epoca della supremazia americana post-Guerra Fredda e quella prossima ventura del Mondo Multipolare, nel quale contesto Obama ha prima teorizzato e poi concretamente mostrato di voler operare.
In effetti è forse utile inserire questi due eventi quasi del tutto concomitanti in uno schema di portata più ampia che sappia anche tratteggiare seppure in modo vago gli scenari futuri.
La questione del futuro ordine globale, della direzione nella quale va il mondo, si era posta, seppure in uno scenario completamente diverso, all’indomani della caduta del muro di Berlino che aveva posto fine a 50 anni di Guerra Fredda. La questione fu lungamente dibattuta al punto da uscire dall’orbita delle discussioni tra analisti e addetti ai lavori per arrivare a irrompere nel dibattito pubblico americano e più in generale occidentale grazie all’enorme fortuna avuta da due celeberrimi saggi. Il primo, un incredibile caso editoriale, fu “La fine della storia” di Francis Fukuyama. La tesi dell’autore, che oggi prova blandamente a correggere il tiro, era che con il crollo dell’Unione Sovietica nulla più avrebbe contrastato la superiorità della democrazia liberale sulle altre forme di governo. Dalla qual cosa l’autore faceva discendere la fine della storia intesa come scontro di potere e per il potere tra i principali attori della politica internazionale, identificando in qualche modo in un’unica entità geopolitica tutti quei paesi che avessero sposato la causa della democrazia e della libertà.
A breve giro di posta, con un articolo sulla rivista Foreign Affairs del 1993, divenuto un fortunatissimo saggio, il professor Samuel Huntington leggeva in un inevitabile “Scontro di civiltà” l’ineluttabile destino del nuovo ordine mondiale. E se la tesi di Fukuyama non ha retto alla prova del tempo e appare oggi chiaro a tutti gli osservatori come non sia la forma di governo, o perlomeno non solo questa, a dettare le condizioni dell’ordine politico del globo, è invece assai interessante rileggere il saggio del grande politologo americano recentemente scomparso.
La tesi del libro si basa sull’assunto che con la fine della Guerra Fredda le differenze ideologiche nella dottrina politica dei governi tenderanno a perdere importanza nel determinare le dinamiche della politica estera degli stati. Al contrario il miglior schema possibile per interpretare la formazione di alleanze e la nascita di conflitti diventerà quello di considerare gli aspetti culturali che caratterizzano gli attori del gioco politico. L’elemento chiave, l’attore primo del nuovo ordine globale diventa allora la civilità, intesa come il più grande elemento geopolitico che è dotato di una cultura omogenea e distinta da quella delle altre civiltà.
Le civiltà di Huntington (ovvero quelle riconosciute come tali dalla maggior parte degli studiosi della materia) sono 8: occidentale, ortodossa, islamica, cinese, giapponese, indiana, latino-americana, africana. Ciascuna di esse, a parte l’Islam che per questa mancanza paga e pagherà dazio in termini di influenza politica, presenta uno stato guida, determinabile in base al suo potere in campo politico, economico e militare ma anche in base al prestigio storico e culturale che gli fornisce l’autorevolezza necessaria a vedere riconosciuto il proprio status dagli altri membri della propria civiltà. Stati Uniti, Russia, Cina, Giappone, India, Brasile, Sudafrica saranno i centri di potere in cui negoziare i futuri equilibri. Huntington teorizza con estrema lungimiranza (circa 15 anni di anticipo) quel mondo multi-polare che tutti gli osservatori riconoscono sia nato dal declino della supremazia indiscussa dell’Occidente sul mondo.
Ed è proprio questo declino, giunto a un punto di svolta nell’autunno del 2008, che Huntington descrive lucidamente in un momento storico in cui viceversa molti più erano i cantori delle meravigliose sorti progressive dell’Occidente, la cui inesorabile perdita di potere si accompagna a due poderosi movimenti storici: il boom demografico della civiltà islamica e, ancor di più, il boom economico asiatico, che investe in pieno almeno due civiltà, la sinica o cinese e quella indiana.
Nell’analisi di Huntington allora, la crescente importanza dell’elemento culturale autoctono e caratteristico, evidente tanto nell’Islam della Rinascita Islamica quanto nella industriosa Rivoluzione Confuciana cinese, va di pari passo con la crescita di influenza politica di civiltà millenarie da troppo tempo ridotte all’ininfluenza politica.
Sotto questa nuova luce trovano nuove interpretazione tanto la quasi totalità dei conflitti armati del periodo post-Guerra Fredda, quanto le dinamiche di conflittualità endemica che attraversano i confini di “faglia” tra civiltà contigue, con particolare riferimento a quelle che circondano la civiltà islamica (affermazione questa che ha, come si immagina facilmente, arroventato notevolemente il dibattito attorno alla tesi del professore).
Ma la tesi del professor Huntington non si limita a spiegare e prevedere con incredibile precisione le direzioni delle strategie geo-politiche della quasi totalità degli stati.
L’idea stessa che la fine della Guerra Fredda e dei conflitti di matrice ideologica trovi naturale sbocco nella ripresa di quelli culturali evidenzia un altro aspetto che nel libro rimane quasi sottotraccia. La storia dell’umanità è stata fin dall’inizio una storia di conflitti tra civiltà. Sebbene in un’accezione meno estesa di quella tipica del mondo globalizzato, dove la civiltà è un insieme culturale, etnico e religioso anche estremamente vario al suo interno, per tutta la storia dell’uomo i conflitti di natura religiosa o etnica superano di gran lunga quelli relativi a ragioni economiche o idelogiche. E se l’ordine globale è stato per 50 anni retto da un equilibrio tra due sistemi ideologici, questo è dovuto al fatto che l’ordine delle civiltà era già risolto alla radice dall’inarrivabile supremazia dell’Occidente che affonda le sue radici in 500 anni di dominio scientifico, militare, economico e quindi politico.
Ed in effetti tanto la Democrazia Liberale quanto il Socialismo Reale sono due prodotti indiscutibilmente legati all’Occidente che hanno trovato poi diffusione in tutto il mondo.
Di nuovo rispetto al passato, il mondo globalizzato porta l’estensione del processo di modernizzazione degli stati che solo permette di ristabilire le condizioni di base perché tutte le civiltà competano sullo stesso piano.
Dunque, il mondo tratteggiato da Huntington è tutt’altro che un mondo alla fine della sua storia, ma anzi una polveriera dove si fronteggiano 8 fronti, divisi da rivalità storiche e profonde diversità, in cui occorrerà negoziare un nuovo ordine globale che soddisfi le superpotenze emergenti (Cina, India, Brasile), senza scontentare troppo quelle al tramonto (Russia, ma anche Stati Uniti).
Senza scendere ulteriormente nel dettaglio della ricchissima analisi Huntingtoniana, possiamo subito ricavare una lezione utile per quanto riguarda l’Europa e il Movimento Socialista. Ci si deve allora subito interrogare se la pretesa universalistica che il Socialismo ha fin dalla sua nascita non discenda da altro che non dalla tipica pretesa occidentale di considerare universali valori e consuetudini che le sono proprie. La retorica dei diritti umani ad esempio, le cui radici storico-culturali affondano tanto nell’illuminismo rivoluzionario quanto nel giusnaturalismo cristiano, è un prodotto dell’elaborazione culturale occidentale imposto al mondo in un’epoca in cui questo era ai piedi dell’Occidente e che, ci possa piacere o meno, non è assolutamente condiviso in modo universale dalle altre civiltà.
Se dunque il Movimento Socialista si dimostra in questa fase afasico e incapace di spinta propulsiva, è forse anche perché non è ancora stato avviato un dibattito serio sul suo ruolo e la sua relazione con i caratteri della civiltà occidentale. Ed il successo continentale delle destre dei movimenti xenofobi ed euroscettici può non essere altro che un riflesso del mutato atteggiamento dell’elettorato che inizia sempre più ad anteporre questioni di identità culturale e religiosa a quelle economiche. Del resto, è evidente anche agli osservatori più distratti come la Chiesa, fonte di elaborazione primaria del pensiero cristiano che è evidentemente elemento fondante dell’identità occidentale, abbia da tempo intrapreso un percorso di redifinizione e riposizionamento della propria funzione politico-culturale in seno alla civiltà occidentale. Percorso che ha trovato nel pontificato di Papa Ratzinger e nel celeberrimo discorso di Ratisbona la sua espressione migliore. Nulla di analogo è avvenuto nel campo socialista dove al contrario la maggior parte delle analisi rinverdiscono la centralità dell’iniziativa economica come risposta politica a una crisi che in verità può in un certo senso apparire inevitabile più per ragioni storiche che prettamente economiche.
Un ulteriore banco di prova delle possibilità di rilancio dell’Idea socialista riguarda allora il delicatissimo problema dell’immigrazione e della concreta possibilità di una società multi-etnica o multi-culturale. A ben vedere, a decenni di distanza dall’avvento di imponenti flussi migratori verso l’Europa da paesi de-colonizzati di altre civiltà, quel modello sembra essere entrato in crisi tanto nelle Banlieu parigine quanto nella crogiuolo di razze londinesi e perfino nella patria della tolleranza olandese. Gridare al razzismo di fronte alla crescita di episodi di intolleranza potrà forse essere autoconsolatorio e rinnovare la propria sensazione di essere nel giusto. Ma un modello credibile di integrazione multiculturale non può prescindere dal riconoscere che sono proprio i caratteri della società aperta di stampo occidentale a rendere possibile una convivenza pacifica. E che dunque l’integrazione si ha all’interno di valori condivisi che allo stato delle cose non possono non essere quelli propri della civiltà occidentale. Trovare un’alternativa credibile tanto ai fermenti di intolleranza di matrice xenofoba quanto alle illusorie speranze di convivenza pacifica all’interno di un contesto culturale slegato dalla propria civiltà di riferimento, sembra essere la strada, difficilissima, che i socialisti europei si trovano ad affrontare.
Per oltre 50 anni il movimento Socialista si è caratterizzato per il concreto perseguimento dei propri obiettivi politici “statutari” all’interno di una cornice di rispetto assoluto dei caratteri dominanti dell’Occidente (pluralismo, individualismo, stato di diritto), arrivando per questo ad essere anche in forte contrapposizione con i movimenti comunisti ed in fine battendoli. Riuscirà nel nuovo mondo dello scontro di civiltà a costruire una strategia globale che concilii la tutela degli interessi strategici della propria civiltà di appartenenza con le proprie caratteristiche fondanti?
Andrea Pisauro – 25 anni, vive, come si dice per far figo, tra Roma e Londra, dove studia una cosa dal nome incomprensibile che ha a che vedere con le neuroscienze. Si e’ conquistato un posto su Labouratorio sconfiggendo il Ciuffoletti alla pleistescion. Per gli amici, semplicemente il Plex.
che ne è stato poi della possibilità di collaborazione/scontro con i libertari di claustrofobia ?
non so dirti Tommaso che ne e’ stato?
scusa plex ma del tuo bellissimo e istruttivo saggio non capisco la domanda finale.sembra che tu ti domandi se il mov. socialista riuscirà a fare ciò che ha già fatto:inserire organicamente i suoi obiettivi nella cornice della civiltà occidentale.Non è già così? trovo giusto in coerenza con quanto sopra ciò che scrivi sull’immigrazione.non mi pare esatto confinare il socialismo nella civiltà occidentale ,anche se lì è nato.pensiamo alla sua presenza in quella ortodossa e in quella latino-americana..
acdifferenza da te io penso anche che ci sia una centralità del problema economico in senso lato,perchè se il socialismo non troverà la formula per conciliare la globalizzazione con la difesa dei ceti popolaroi e più deboli,perderà cmq la partira o sarà trascinato a derive di destra protezioniste e xenofobe tiupo quelle che già vedimo in europa e che non hanno solo radici nella difesa della civiltà occidentale.
Sicuramente il Socialismo ha sconfinato dalla sua civiltà di nascita. Ma non credo sia un caso che abbia sconfinato maggiormente nelle civiltà più prossime culturalmente e geograficamente a quella occidentale, cioè appunto in quella latino-americana e in quella ortodossa. In quest’ultima poi, da sempre storicamente in bilico tra il sentirsi una costola dell’occidente o una civiltà a sè stante, non si può dire, salvo alcune eccezioni (le repubbliche ortodosse dell’Unione Europea) che il Socialismo sia Il movimento politico della sinistra (non so nemmeno se esiste un partito socialista russo!).
Sulla domanda finale. E’ già così. Non sono sicuro che possa esserlo ancora. Ovviamente non è che l’abbia chiaro nemmeno io ma provo a spiegarmi riallacciando al discorso della centralità dell’economia. Non dico che non sia centrale, anzi. E’ il problema centrale per antonomasia per ogni socialista ed è e rimane il principale terreno di scontro politico.
Il fatto è che l’economia è globalizzata e la politica no.
Il punto nuovo è che la globalizzazione ha spostato i centri decisionali dai governi a…G8, OMC, WTF, etc etc, quindi il partito socialista nazionale invetibilmente finisce per subire la globalizzazione prodigandosi per difendere tramite l’educazione la posizione dei lavoratori sul mercato globale (cito Berta). Difendere il modello sociale europeo non è possibile senza essere competivi nell’economia globale.Difendere la posizione del proprio paese nel mondo tutelando quel modello sociale diventa sempre più difficile.
Ma appena si esce dal discorso nazionale e si parla di economia globalizzata si parla inevitabilmente di scontro di civiltà, di livelli culturali. Ne parla Tremonti, la cui, debole risposta di destra è Dio, patria famiglia.
Io in qualche modo lo vedo irrisolvibile nel medio periodo il problema che poni tu.
la difesa della Civiltà Occidentale è un concetto di per sè vago e ovviamente nè la posizione xenofoba nè quella protezionista hanno alcuna reale chanche di invertire il trend, anzi. Però fanno loro parole d’ordine che diventeranno sempre più centrali mano a mano che la percezione della gente del progressivo indebolimento economico e politico dell’occidente relativo alle altre civiltà alimenterà paure già assai rilevanti.
Noi che parole d’ordine gli riusciamo ad opporre?L’unica chanche che vedo è l’integrazione politica e sociale europea.
[…] [Socialismi] Il Socialismo nello scontro di civilta’ Labouratorio – PeopleRank: 2 – 13-10-2009 …Francis Fukuyama. La tesi dell’autore, che oggi prova blandamente a correggere il tiro, era che con il crollo dell’Unione Sovietica nulla più avrebbe contrastato la superiorità della democrazia liberale sulle altre forme di governo. Dalla qual cosa… Persone nome : Barack Obama Samuel Huntington + vota […]
carissimo Plex! Tu scrivi cose assai complesse la notte mentre io dormo: e ora ci devo riflettere sopra…..andando a fare la spesa e preparandomi alla manif. contro…il razzismo!
Non so se sono assai complesse, sicuro però non le ho scritte di notte ma su un aereo che volava da Roma a Londra!
Andrea,
la prima domanda che mi viene in mente e': cosa ne pensi dello “sconfinamento” del comunismo in Cina? Si tratta sempre di una “civiltà prossima culturalmente e geograficamente a quella occidentale”?
Non sono d’accordo nel considerare l’aspetto economico secondario a quello culturale. Ben sappiamo che spesso ragioni di carattere economico vengono (mal) celate dietro proclami nazionalistici e religiosi (ovvero culturali in senso lato). Spesso sono gli interessi economici delle diverse culture a scontrarsi tra loro, non le culture in quanto tali.
Del resto, nella domanda fondamentale che poni a fine articolo “Riuscirà (il Socialismo) nel nuovo mondo dello scontro di civiltà a costruire una strategia globale che concilii la tutela degli interessi strategici della propria civiltà di appartenenza con le proprie caratteristiche fondanti?” sottolinei l’importanza degli “interessi strategici”. “Interessi economici” non suonerebbe tanto diverso, non credi?
Per tornare al nostro dibattito sul ruolo di Rutelli (ammazza quanto stride la parola “Rutelli” in tutto ‘sto discorso) nell’evoluzione del Socialismo, beh, e’ nullo. Ho semplicemente detto che con Bersani si corre il forte rischio di avere un partito socialista stile europeo; il che non e’ detto sia un bene. Il PD Veltroniano, con tutte le sue contraddizioni et etereogeneita’, era un tentativo di guardare oltre. Un tentativo malriuscito di unire le tradizioni socialista e cattolico/cristiana. Se con Bersani segretario di dovesse torare al PDS, alla fine dei giochi avremmo sostituito la Margherita con l’UDC e non credo sia un guadagno. Il tentativo di Rutelli ha senso se visto in questa ottica. Non volevo dire nulla di piu’.
in realtà io nell’articolo mi riferivo strettamente al socialismo democratico. Anzi, secondo me il comunismo ha potuto attecchire in Russia e Cina proprio perchè i suoi caratteri meglio si adattavano alle caratteristiche delle civiltà orientali (passami la vaghezza del termine per ora) e risultano invece piuttosto estranei alla tradizione occidentale. Mi riferisco in particolare all’impero totalitario, la società senza corpi intermedi, l’enfasi posta sulla collettività piuttosto che sull’individuo etc etc. Non pretendo di essere esaustivo, ma resto convinto che il Socialismo democratico sia creazione occidentale profondamente legata ai caratteri della “sua” civiltà.
Sul discorso economia-cultura. Non penso che l’aspetto economico sia di per sè secondario. Penso che cultura ed economia si intersecano continuamente e reciprocamente. Ad esempio la cultura determina in parte importante i nostri consumi, e a loro volte tendenze e mode sono spesso artificialmente create dai dettami del mercato. Mi limito a fare due osservazioni:
1)mi sembra, e nel libro di Huntington questo è ben evidenziato, che gli interessi economici all’alba del terzo millennio tendano ad organizzarsi su scala macro-regionale (sono sicuro che il termine è improprio), ovvero nella zona di influenza delle reciproche civiltà. Come all’alba del mondo moderno la forma dello stato nazione si impose anche sulla scia del fatto che l’interesse economico era meglio tutelato in un mercato nazionale, cosi nel mondo globalizzato, entità politiche interstatuali mi sembra possano corrispondere a spinte volte a creare mercati comuni tra paese culturalmente contigui.
2)c’è un fatto: il relativo arretramento del blocco occidentale nei rapporti di forza politico-economici rispetto al resto del mondo. Questa perdita di posizioni è percepibile in modo molto chiaro dalla gente. Allora, anche se è inutile, la retorica del “i cinesi, rumeni, africani, cacchionesoio ci tolgono lavoro, soldi, sicurezza sociale ed economica paga sempre di più finchè le cose vanno male”. Se l’interesse economico organizzato su basi culturali cambia la percezione della gente, la gente vedrà prima le basi culturali dell’interesse economico. Questo in sintesi quello che penso.
Rutelli?lui fa il suo mestiere. Tuttavia mi permetto di farti notare che al di là delle intrinseche debolezze del Socialismo europeo, di cui ho cercato di parlare nell’articolo, se il PD diventasse socialista non sarebbe affatto un ritorno al passato, giacchè socialista non lo è mai davvero stato. Non ne ha avuto le intuizioni politiche nè la forza propulsiva.
Allora la domanda giusta non è se sarebbe un ritorno al passato ma se sia un passo utile o no. Secondo me è meglio farsi qualche domanda in più su cosa si è, sia che questo voglia dire scoprirsi socialisti sia che voglia dire scoprirsi Ciuffolettiani o Berniani. E questo passo, il gruppo dirigente del PCI-PDS-DS-SS non l’ha semplicemente mai fatto.
Allora.
E’ un bel po’ di tempo che cerco di spiegare a chi mi capita a tiro e in tanti modi diversi che la questione del “conflitto di civiltà” è una bufala. Ma pesante.
Lo so che non è “polite” ma vi rimando a questo link:
http://www.islamistica.com/issues/conflitto_e_dintorni.html
Il concetto di “civiltà” espresso da Huntington ha derivazioni fortemente destrorse ed è fortemente approssimativo. Serve solo per “taggare” alcuni eventi e, così facendo, distorcerne il senso.
Riguardo a questo e riguardo al primato dell’economia, su cui sono d’accordo con Alessandro, vi rimando a quest’altro link:
http://www.islamistica.com/lorenzo_declich/relativismo_e_fondamentalismo.html
Il “conflitto di civiltà” è un bel giochino dietro al quale tanti e tanti riccastri e potenti si nascondono
p.s. la parola anti-spam era “ikea” :-))
Caro Lorenzo,
in cosa il concetto di civiltà di Huntington sarebbe “destrorso”?
Come sottolineato anche nel mio articolo, quello dello scontro di civiltà non è un modo di dire che tutto ciò che succede nel mondo è una grande battaglia tra 8 eserciti, ma il tentativo di dare uno schema interpretativo utile a comprendere e prevedere crisi regionali e mondiali. Questo lo schema di Huntigton lo fa e lo fa bene a partire dalla guerra dell’ex Jugoslavia fino alle questioni Ucraine,Georgiane avvenute svariati anni dopo l’uscita del suo libro.
Ho letto due articoli del tuo link e non ho capito
su quali basi poggia il tuo schema dello scontro tra elite con seguaci
Inoltre non mi convincono le tue obiezioni che forse potresti sintetizzare anche qui.
Il problema è appunto “lo schema”. Uno schema non è altro che un sistema di riferimento che riporta il particolare al generale.
La cornice del quadro.
Se la cornice è lo “scontro di civiltà” il risultato della tua analisi in base a quello schema sarà sempre “scontro di civiltà + variante”.
In altre parole utilizzando uno schema sottintenderai sempre e comunque la validità dello schema stesso.
Ogni volta che applicherai gli schematismi di Huntington sottintenderai che i conflitti, dopo il crollo del mondo bipolare, si ordinano attorno alle identità e questa non è una realtà, ma una “verità”, una delle tante.
Mi rendo conto di citare continuamente me stesso ma ti invito a leggere questo:
http://www.islamistica.com/lorenzo_declich/relativismo_e_fondamentalismo.html
La “realtà” dietro allo schema è estremamente variegata e deve essere studiata caso per caso.
Ad esempio le guerre dell’ex-Jugoslavia hanno radici storiche ben individuabili e non c’era bisogno dello schema di Huntigton per immaginare quello che sarebbe successo una volta mancato il “collante” di Tito.
Anzi, studiando quelle radici storiche riusciamo a capire molto di più di quanto capiremmo “fermandoci” allo scontro di civiltà.
Arriviamo al punto che lo scontro di civiltà ci sembra una griglia muta, o comunque un qualcosa da cui non esce nulla: un buco nero.
Quando ci si rifà a uno schema si tende a non vedere ciò che quello schema non prevede o dove lo schema sbaglia.
Tu ti sei fermato ad esempi che lo schema in qualche modo, secondo me semplicisticamente, definisce.
Pensa invece alla questione cinese: c’è in atto uno scontro di civiltà o un “patto” fra grandi multinazionali e funzionari del partito cinese per fare soldi a palate? Se in futuro vi sarà uno scontro non sarà per questioni identitarie ma perché il monolite cinese è stato fatto entrare nel magico mondo dell’economia mondiale con l’unico obiettivo di garantire, per un po’, alti profitti ai padroni del vapore. Senza riguardo per milioni e milioni di persone. Senza farsi lo scrupolo di pensare ad eventuali malevole intenzioni dei referenti dell’economia cinese.
Che poi a un certo punto, fatta la frittata, qualcuno inizi a dire che i cinesi sono cattivi e che l’occidente è in pericolo, è un fatto secondario, una cosa che definirei “propaganda” o “vulgata populista”.
Una cosa di destra.
Lo scontro di civiltà è una cosa di destra anche perché il discorso che vi si oppone è “l’incontro di civiltà” o “dialogo delle civiltà”, un’altra bufala.
E’ una bufala perché l’incontro di civiltà è un altro schema che si ordina “in opposizione” al primo e quindi non fa che confermarne implicitamente la validità.
Un’ultima cosa che riguarda il concetto di civiltà.
Io penso che le differenze esistenti ALL’INTERNO dei grandi raggruppamenti linguistici, culturali e/o religiosi siano di gran lunga maggiori e più importanti di quanto non siano le differenze FRA tali raggruppamenti.
Mi rifaccio a una metafora presa dal mondo della biologia: le differenze genetiche ALL’INTERNO di quelle che indichiamo come “razze” sono di gran lunga maggiori di quanto non siano le differenze FRA le razze stesse.
In altre parole: fra due “bianchi” può esservi – ed è facile che vi sia – una lontananza genetica maggiore di quanto vi sia fra un “bianco” e un “nero”.
Allo stesso modo, sul piano linguistico, culturale e religioso, vi sono differenze interne ai diversi raggruppamenti e similitudini fra raggruppamenti così ampie da non giustificare l’idea che “la linea di scontro” debba essere per forza quella delle “civiltà”.
Ad esempio: io ritengo Bin Laden e George W. Bush due oscuri retrogradi dalle idee religiose perniciose e deliranti che hanno potere solo perché legati al mondo inquinato dell’economia petrolifera. Non faccio differenze “di civiltà”, perchè dovrei farle? Penso che questi 2 individui siamo molto più lontani da me rispetto a un mio omologo egiziano, o indiano, o cinese, o ungherese. Se proprio dovessi fare una guerra, cosa che aborro, di certo mi metterei a combattere contro BinLaden/Bush e non contro di loro.
Certo, se poi per decenni “accendiamo” lo scontro di civiltà, lo consideriamo “valido” e lo sponsorizziamo, sempre più persone ragioneranno in quella maniera e i fondamentalismi si acuiranno, così come gli scontri.
leggiti il primo capitolo del saggio di Huntington, parla appunto dell’utilità degli schemi nell’interpretare la realtà. Lo schema dello scontro di civiltà è più utile di quello dei blocchi ideologici, di quello dello scontro tra 200 stati sovrani etc etc. Poi certo, si vive benissimo, pure meglio, senza schemi ma sapendo tutta la storia, le differenze le sfumature etc etc.
Ma il libro di Huntington parla di schemi utili per l’appunto, è lo scontro di civiltà non è nè più nè meno che questo.
E’ banale che ci sono tante verità e che ognuno coglie gli aspetti che più gli aggradano. D’altronde appunto sarebbe difficile argomentare che il conflitto jugoslavo sia di natura ideologica. E l’ignorare la natura dello scontro, come fecero in molti all’epoca tra cui gli americani, può portare a prolungarlo inutilmente.
Qui non sto discutendo cosa sia più diverso da cosa e dove, nelle scienze naturali due elementi di diverse “popolazioni” hanno buone probabilità di differire meno che due della stessa. Ma, ancora, manchi il punto. Che è il fatto che l’organizzazione su vasta scala del potere tende a rispecchiare i confini di civiltà. Gli stati si organizzano, si coalizzano e si contrappongono seguendo paradigmi ben descritti nel saggio di Huntington che rispecchiano fedelmente la mappa delle civiltà descritta in questo articolo.
La cosa poi che parlare di scontro di civiltà acuisce i fondamentalismi è, perdonami, una stronzata priva di fondamento.
A livello di analisi lo scontro di civiltà è un concetto chiaro e ben definito, almeno nella misura in cui lo definisce l’autore. A livello politico sono i fanatismi che producono crociati e mujaheddin e non il contrario. Il punto nodale, è che si sta definendo l’identità culturale del mondo globale, e questo è un processo storico di portata secolare che vede in naturale competizione, politica e quindi culturale, blocchi di paesi affini accomunati dalla comune civiltà di appartenenza. Ci sono, in questo incontro/scontro tra entità diverse, conflitti sanabili e conflitti insanabili.
Negare questo processo è avere il prosciutto davanti agli occhi. Poi si può discutere delle mille sfaccettature della realtà e di che cosa fare e proporre sul piano pratico.
a meno che tu non contesti “l’uso politico” dello scontro di civiltà. Qui siamo d’accordo, che lo faccia Al Qaeda o Bush poco cambia, nulla giustifica la volontà di dominio sul prossimo. Ma mi sembra che tu ce l’hai proprio con la rappresentazione del mondo attuale come uno scontro tra civiltà. Ma allora cosa proponi in alternativa che schematizzi quello che avviene in modo sufficientemente preciso? o teorizzi che qualunque schema è inefficace?
La seconda che hai detto
>Lo schema dello scontro di civiltà è più utile di >quello dei blocchi ideologici, di quello dello >scontro tra 200 stati sovrani etc etc.
ma è meno utile dell’assenza di schemi.
ogni caso va studiato
è perfettamente inutile, anzi dannoso, generalizzare
lo schema del conflitto di civiltà non fa che autoconfermarsi senza dire nulla di davvero utile
va bene Lorenzo, messa cosi ci sto pure io, nulla è meglio che sapere essere informati analizzare caso per caso punto per punto.
Ma è un problema di ottimizzazione di risorse pure. Anche di linea politica se vuoi. La politica e la società non sempre si possono permettere il lusso di essere sempre iperspecifiche. Se non altro perchè anche qualora lo fossero, le decisioni della politica vanno fatte passare davanti al controllo dei vari contropoteri (parlamenti, giornali, opinione pubblica et similia). Una soluzione ottimale a tutti contesti non la vendi bene.
Questo almeno il mio parere. Probabilmente dovuto al fatto che la mia laurea in fisica mi porta a preferire schemi generali a una collezione di casi particolari.
Al contrario di te che hai un curriculum della madonna in scienze (più) umane.
Ma ripeto, per la politica, che è la scienza del governo delle cose, gli schemi sono più utili, a patto di essere le migliori generalizzazioni possibili.
Alla fine della fiera, non credo che siamo lontanissimi. Sopratutto su proposte e scelte nel dettaglio.
Un saluto comunque.
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