[Onda Verde] Intervista esclusiva con Alì Reza Soltani. Per capire davvero cosa sta succedendo
venerdì 24 luglio 2009 | Scritto da Tommaso Ciuffoletti - 2.372 letture |
Alì Reza Soltani, per gli amici è semplicemente Alessandro, gestore di uno dei locali più frequentati e piacevoli di Firenze, quel Caffè S.Ambrogio che s’affaccia proprio sulla piazza dedicata al patrono di Milano e che ogni sera si anima come poche altre zone della città.
Oggi Alessandro è un uomo e un imprenditore di successo, ma la prima volta che arrivò in Italia, lui nato nel nord-ovest dell’Iran poco lontano dal confine con quella che oggi è la Repubblica dell’Azerbaigian, era uno dei ragazzi dell’Associazione degli studenti iraniani contro lo Shah. Per questo quando esplose il movimento rivoluzionario contro il regime di Mohammad Reza Pahlavi tornò in Iran per unirsi alle proteste. Era la prima fase della rivoluzione, tra la fine del 1978 e i primi mesi del 1979, quella in cui ancora i tratti della rivolta non si erano esauriti nelle cupe rughe del volto di Ruhollah Khomeini. Quella in cui erano presenti aspirazioni laiche e secolari accanto a vagheggiamenti marxisti e fervori di nuove “eresie” islamiche.
Alessandro torna in Italia all’inizio del 1979. Da quel momento costruirà la sua vita in Italia, senza mai smettere di tenere le fila di rapporti d’amore, d’attenzione, d’apprensione per il suo paese, dove intanto si costruiva quella cosa chiamata Repubblica Islamica.
Oggi Alessandro è in contatto quotidiano con la gente del suo paese, attraverso la stampa, il satellite e soprattutto Internet. Discutere d’Iran con lui è l’occasione per conoscere meglio una realtà di cui tanti parlano e scrivono, ma che pochi conoscono in profondità.
Non più gli yankees, oggi i “colonialisti” sono russi e cinesi
. Il primo punto che Alessandro chiarisce, all’inizio della nostra conversazione iraniana, è il mutato quadro internazionale. Meglio ancora, chiarisce come è mutata la lettura che l’opinione pubblica iraniana dà del quadro internazionale.
“Oggi i “colonialisti” non sono più gli “yankees”, oggi per tanti iraniani i veri colonialisti sono Cina e Russia e questo è un punto molto forte nella critica al regime che viene portata avanti da tanta parte dell’opinione pubblica iraniana. Direi anzi che si tratta di uno dei punti decisivi. Perché da sempre il regime ha cercato di fondare la propria legittimazione interna solleticando il forte nazionalismo iraniano ed agitando lo spauracchio del nemico esterno, la cui massima espressione era il “Grande Satana” a stelle e strisce.
Oggi però all’opinione pubblica non sfugge che sono ben altri gli attori che guidano da fuori la rotta del regime, tanto che, negli slogan degli oppositori, Khamenei e Ahmadinejad sono spesso presentati come fantocci nella mani dei russi e dei cinesi (dando oltretutto l’immagine di un asse degli “autocrati” che tanti ragazzi iraniani vedono come il fumo negli occhi).
I primi, i russi, conducono una battaglia strategica per una gestione pressoché monopolistica delle risorse di gas della zona eurasiatica e per questo loro obiettivo l’Iran è una pedina decisiva. Una pedina debole e manovrabile, perché nel suo progressivo isolamento internazionale il regime si è trovato ad avere un ruolo di subalternità nei confronti della Russia e dei suoi satelliti. Basti pensare che dopo il crollo dell’Urss il mar Caspio, zona chiave per la partita del gas, si è decisamente spostato in orbita filorussa, quando invece un tempo era controllato per circa la metà dall’Iran.
Per altri versi anche la Cina appare come un attore animato da una forte volontà d’ingerenza nelle vicende iraniane. La fame di energia del colosso asiatico ed il suo potere economico hanno avuto gioco facile nell’ottenere contratti vantaggiosi per l’approvvigionamento di gas naturale da un paese, l’Iran, che versa in una situazione economica sempre più difficile.
A questa nuova coscienza si è aggiunta una diversa immagine degli Usa legata in particolare alla figura di Obama. Dopo il periodo di Bush gli iraniani hanno avuto modo di vedere chiaramente cosa significano libere elezioni in un paese democratico: un profondo cambio di politica voluto da cittadini che hanno potuto scegliere davvero la propria guida. Per le strade i manifestanti giocano con il nome di Obama gridando “U ba mas” che in farsi significa “lui è con noi”.
Sono in discussione le fondamenta stesse della Repubblica Islamica
. La portata e la forza del movimento che sta animando le strade di Teheran e di altre città iraniane è tale da mettere in discussione il ruolo dell’Islam sciita e le fondamenta stesse della Repubblica Islamica. Alessandro presenta il quadro di un dibattito che non ha più timore di sfidare i totem e i tabù del Welayat-e fakih, il “governo del giureconsulto”. E s’interroga su Mousavi.
“La novità più rivoluzionaria del movimento sta nel fatto che per la prima volta nella Repubblica Islamica viene messo in seria discussione il ruolo dell’Islam sciita, così come il senso della repubblica islamica, di uno stato guidato da dei religiosi.
In questo senso la debolezza religiosa di Khamenei è emersa come duro argomento di rinnovata polemica (quando venne eletto Guida Suprema, Alì Khamenei non era in possesso dei requisiti religiosi necessari, essendo poco più che un esponente di medio rango del clero sciita … e il suo attuale nemico Rafsanjani lo sa bene, dato che allora fu proprio lui ad appoggiarne la candidatura! NdTommaso), così come ampio è divenuto il dibattito sui caratteri di una repubblica islamica. Ci si chiede da dove provenga l’autorità. Ci si chiede se venga dall’alto, o dal basso. Da Dio? O dal popolo? Non sembri una banalità, perché si tratta di riflessioni dal potenziale rivoluzionario.
Alla base c’è infatti la diffusa la volontà di vivere in una società finalmente secolarizzata. Anche se per adesso questa forte volontà di secolarizzazione non è quella che caratterizza il movimento. La figura di Mousavi, che ha caratterizzato con un forte afflato religioso la sua battaglia, e le urgenze del momento fanno sì che queste aspirazioni non vengano esplicitate fino in fondo, ma ci sono e non potranno essere accantonate.
Lo stesso Mousavi, se uscirà vittorioso da questa fase, dovrà farci i conti. Anche perché la gente lo sta trascinando e lui, a sua volta, ha saputo farsi leader. Lancia slogan ultimativi: “La gente non ha più paura”, “Non si può più governare così”. E se prima lo paragonavano ad un Che Guevara islamico, adesso lo presentano come un Nelson Mandela. Mentre lui ha di recente fatto riferimento, in alcuni suoi discorsi, a Mossadeq (celebre primo ministro iraniano dal 1951 al 1953, rimosso da un colpo di Stato con concorso dei chierici sciiti e, in secondo piano, dei servizi segreti inglesi e statunitensi. NdTommaso) violando l’ennesimo tabù e facendo innervosire non poco i turbanti.
Tuttavia tra la comunità iraniana che vive all’estero, e che segue con trepidazione le vicende di questi giorni, c’è una certa diffidenza verso Mousavi. Qualcuno dice esplicitamente che non si possono tacere i limiti di Mousavi e vanno anzi sottolineati.
Quello che però nessuno mette in discussione e che Mousavi ha creato uno spazio d’opportunità. L’opportunità e la legittimità di parlare contro il regime e di farlo in maniera aperta, diretta, senza compromessi o giri di parole. E adesso anche il movimento si organizza, si struttura, si muove in maniera sempre più ordinata e consapevole.
Non si può tornare indietro. Ma gli scenari possibili sono diversi e nient’affatto scontati. L’unica speranza è la riforma
. Che il momento sia uno di quelli potenzialmente “epocali” lo abbiamo chiarito, ma adesso chiediamo ad Alessandro di chiarirci quali possono essere gli esiti possibili. Qual è il ruolo di Rafsanjani? E la corsa al nucleare?
Con la presa di posizione netta da parte di Rafsanjani (per un’analisi della figura de “lo Squalo” vi rimando ad un mio vecchio articolo di ben 4 anni fa, in cui analizzavo lo stato dell’Iran e facevo un’ampia parentesi sulla figura di Alì Akbar Hashemi Rafsanjani ndTommaso) quello che si viene a configurare è di fatto uno scenario di scontro interno al regime, che si svolge su una scena sociale e politica convulsa, scossa dal forte movimento dell’opinione pubblica iraniana.
E’ un quadro in cui agli attori protagonisti non sono concesse marce indietro. Il primo ad esserne consapevole è proprio Rafsanjani. Stavolta “lo Squalo” ha fatto una scelta di campo, a fianco del movimento, che non lascia spazio a ripensamenti. Se Rafsanjani cercasse di riconciliarsi con Khamenei e Ahmadinejad firmerebbe la propria condanna a morte. E quando dico “condanna a morte” non uso alcuna metafora.
Questo braccio di ferro rischia però di aprire scenari cupi. Il peggiore è quello di una situazione di logoramento tale da creare lo spazio per l’emergere di una figura forte dell’esercito o della milizia, che giocando un ruolo di pacificatore violento e populista s’imponga come la chiave per sbloccare lo stallo. Insomma la via del colpo di stato militare potrebbe non essere un’opzione da escludere se lo stallo politico dovesse continuare a lungo.
Oltretutto non va dimenticato che, in questo clima, la corsa al nucleare da parte del regime è stata accelerata. Khamenei preme infatti con forza perché il programma nucleare conduca velocemente ai primi test. La sua speranza è quella di blindare definitivamente il paese da ogni spinta esterna, per poi procedere ad un repulisti interno senza sconti per nessuno. La cosa che non deve sfuggire è che questo clima di tensione accentua i tratti aggressivi e repressivi del regime.
L’unica speranza è che alla fine prevalga una linea riformatrice. La via da percorrere è quella di una riforma istituzionale, che si fondi sul superamento della Repubblica Islamica e del Welayat-e fakih. E’ difficile, ma è l’obiettivo a cui puntare. L’Occidente e Obama per primo devono esserne consapevoli. Bastone e carota devono essere usati adesso, con l’obiettivo di dare forza al sogno di riforma di un assetto istituzionale che non può e non deve sopravvivere, ma che non deve nemmeno trasformarsi nell’incubo di una sua degenerazione ancor più autoritaria e totalitaria.
ho trovato molto interessante la notazione che i moderni imperialisti sono identificati in russi e cinesi. Credo che sarà un leit motiv che sentiremo sempre più spesso in sempre più paesi che diventeranno soggetti alla loro orbita, in particolare dei cinesi.
Le implicazioni dei mutati rapporti di forza sul palcoscenico globale sono ancora lungi dal poter essere comprese nella loro interezza.
Ma è chiaro che in occidente occorre ripensare il proprio ruolo nel mondo anche in funzione dei piani altrui, vieppiù se invisi ai terzi della situazione.
Grazie per l’ interessante intervista, Tom!
Grazie a voi Andre e Pasquale!
per chi vuole avere una visione dall’altra parte della barricata, segnalo questo :
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