[It was democracy, baby]Il pomo della discordia
martedì 3 febbraio 2009 | Scritto da Redazione - 1.358 letture |
di Nicola Carnovale
Pubblichiamo, per gentile concessione dell’autore, un articolo apparso sull’Avanti di mercoledì 28 gennaio 2009, nel quale il nostro labourante ha parlato con garbo e in tono pacato del tabù del finanziamento dei partiti:
La discussione apertasi sulle colonne del “Corriere della sera” e proseguita su “La Repubblica” ad opera di una lettera indirizzata a Sergio Romano, nella quale si chiedeva chi fosse più riprovevole, se colui che commette illecito per finanziare il proprio partito o colui che lo fa per arricchire la propria persona, pone un interrogativo mai risolto, e ritornato prepotentemente agli onori della cronaca dopo le note vicende degli ultimi mesi. Non c’è alcun dubbio che il finanziamento della politica, o meglio, alle sue forme organizzate ed ai suoigiustizia-politicarappresentanti, sia un problema che ha pesato sulle sorti della prima Repubblica e che pesa, in quanto questione irrisolta, anche in questa seconda. Il mio personale giudizio su questo “rebus” è che non si possono equiparare le due circostanze, anteponendo al fatto un giudizio politico ancor prima che morale e giudiziario. Ciò, sia ben inteso, per quanto riguarda esclusivamente le vicende della prima Repubblica. Nessuno pensa, oggi come ieri, che prendere tangenti, in fondo, fosse da considerarsi una pratica giusta e normale. Ma non si può separare quei fatti dal contesto storico-politico in cui si verificavano. Apparati e strutture centrali e periferiche di straordinaria dimensione, e un sottofinanziamento delle organizzazioni partitiche, unite ad una lotta esasperante tra partiti e all’interno di questi (le famose correnti), hanno generato un fabbisogno sempre più crescente di denaro. La sovvenzione ai partiti che proveniva dallo Stato non bastava a coprire neanche una sola campagna elettorale di Democrazia cristiana, Partito comunista italiano o Psi. Era palese che quel meccanismo infernale viveva finanziandosi illecitamente. Ciò non comporta un alibi, ma è un fatto di cui non si può non tenere conto. Quei partiti erano senza alcun dubbio affetti da malattia degenerativa, ma erano strutture politiche reali, che assolvevano sostanzialmente alle funzioni loro ascritte dalla Costituzione. Erano luoghi di aggregazione, di partecipazione, di elaborazione e di decisione politica ancor prima che centri democratici di un potere, oggi trasferitosi fuori dagli istituti democratici conoscibili. Non erano partiti di sua maestà. Né tanto meno erano partiti-famiglia o presidi posti alla tutela di piccole oligarchie. Il nodo della questione era quindi prettamente politico. E il sempre citato e memore discorso di Bettino Craxi nella più alta sede istituzionale del Paese ha rappresentato un tentativo coraggioso e infruttuoso di voler affrontare e risolvere realmente la questione. Ciò non è avvenuto. E anziché scegliere la strada di una riforma radicale del sistema, si è preferito impegnarsi in una certosina opera di distruzione della politica prima ancora che dei partiti, preferendo
tutto ciò che provenisse dal mondo dell’economia a ciò che potesse minimante avere a che fare con quello della politica. Come spesso avviene, poi, nella strana storia di questo Paese, il corso degli eventi si è incaricato di dimostrare che il primo non era certo migliore e immune dal secondo. La questione oggi è più preoccupate – politicamente e moralmente – di quanto non lo fosse prima. Dopo il referendum dell’aprile 1993 sul finanziamento pubblico ai partiti, che vide la partecipazione del 77 per cento dei cittadini che si espressero per il 90 per cento in favore all’abolizione dello stesso, questo è stato prontamente aggirato con l’introduzione dei rimborsi per le spese elettorali. Tanto clamore perché tutto restasse poi invariato. Con l’aggravante che nel frattempo – con l’inizio della seconda fase repubblicana – non esistono più partiti (sfido a dimostrare il contrario!) da finanziare né lecitamente, né illecitamente. Ciò che oggi resiste sono succedanei di scarsa rilevanza, che hanno ereditato solo i vizi senza alcuna virtù, divenendo causa primaria di un sempre più crescente gap di partecipazione, con la conseguente disaffezione verso la politica causa primaria del crescente distacco tra cittadini e istituzioni. Oggi viviamo l’esatto opposto. Esiste un problema di sovrafinanziamento della politica e del personale politico tutto, specie ai livelli più bassi, con rimborsi elettorali esorbitanti impiegati per pagare la corte di turno di sua maestà, erogati senza alcun controllo e destinazione d’uso. Sei i bilanci presentati dai partiti nella prima repubblica erano dei falsi al ribasso (nel senso che di dichiarava meno di quello che effettivamente si spendeva) oggi questi sono tutti al rialzo (si dichiara di spendere più di quanto non lo si è fatto realmente). Quale politica e quali partiti c’è bisogno di finanziare quanto questi sono pressoché inesistenti e oltremodo finanziati dallo Stato? È questo l’arcano da svelare e da risolvere. I casi che si sono verificati, da Napoli a Pescara, da Firenze a Catanzaro, da Genova a Potenza, nulla hanno a che fare con il finanziamento della politica. Anzi, questi rappresentano in pieno il degrado, lo scadimento e la massiccia presenza di “avventurieri” che si sono dati alla politica business. Questi sì che vanno condannati, politicamente prima che giudiziariamente
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