[Er Monnezzaro]I rifiuti delle 3 Italie – Seconda parte
lunedì 26 gennaio 2009 | Scritto da Dario Alberto Caprio - 1.983 letture |

SECONDA PARTE
(La prima parte dell’articolo)
3. Il Nord del riciclo e degli inceneritori. Il Mezzogiorno ancora delle discariche.
Anche per ciò che attiene alla gestione dei rifiuti urbani si appalesano evidenti differenze tra le diverse aree del Paese.
Occorre, innanzitutto, sottolineare come continui la riduzione in generale del ricorso alla discarica, che cresce nel 2006 di 0,7 punti percentuali rispetto al 2005; il ricorso alle altre forme di gestione appare, invece, abbastanza stabile: l’incenerimento registra una diminuzione dello 0,1%, mentre il trattamento meccanico biologico ed il compostaggio da matrici selezionate aumentano rispettivamente dello 0,6% e dello 0,2%.
Lo smaltimento in discarica, pur avendo avuto una leggera flessione nell’ultimo quinquennio (dal 59,5% al 47,9%), si conferma ancora la forma di gestione più diffusa.
Uno degli aspetti più controversi di tutta la vicenda campana è senz’altro quello che attiene all’incenerimento dei rifiuti urbani e del combustibile da rifiuti. Vale perciò la pena soffermarsi in modo particolare su tale aspetto, partendo dalla verifica di dove sono ubicati gli impianti in Italia.
Il quadro impiantistico relativo all’incenerimento di rifiuti urbani e combustibile da rifiuti (Cdr) è sostanzialmente restato invariato nel 2006 rispetto all’anno precedente.
Gli impianti operativi sono 50 e ben 29 di questi sono localizzati al Nord (quasi il 60% degli impianti operativi).
In Lombardia sono operativi 13 impianti e in Emilia-Romagna 8: oltre il 70% dei 29 impianti operativi al Nord sono localizzati in queste 2 regioni.
Al Centro troviamo 13 impianti, di cui ben 8 nella sola Toscana (3 sono ubicati nella regione Lazio).
Gli 8 impianti presenti al Sud sono localizzati in Puglia (2), in Basilicata (2), in Calabria (1), in Sicilia (1) e in Sardegna (2). Ci sono poi alcuni impianti tutt’ora in fase di collaudo (Potenza), oppure fermi per problemi gestionali o, ancora, tecnologicamente superati (Messina e Firenze). Mentre ci sono impianti pianificati o in costruzione (Lazio, Campania, Piemonte, Lombardia e Sicilia).
Di fronte a tale situazione appare effettivamente incongrua la reazione che si è avuta tra le popolazioni della regione Campania (e non di rado anche tra le classi dirigenti) di fronte alle varie ipotesi di ubicazione di tali impianti. Per non parlare di ciò che accade in Europa: nei Paesi Bassi 207 kg per abitante per anno vengono inceneriti, in Belgio 155 kg, 184 kg in Francia e 148 kg per abitante per anno in Germania.
I rifiuti complessivamente inceneriti negli impianti dedicati al trattamento dei rifiuti urbani sono stati nel 2006 in Italia circa 4,5 milioni di tonnellate, di cui 3,3 milioni di tonnellate di rifiuti urbani, 687 mila tonnellate di Cdr, 500 mila tonnellate di altri rifiuti speciali e 52 mila tonnellate di rifiuti sanitari.
In coerenza con la distribuzione degli impianti, la maggior quantità dei rifiuti è ovviamente incenerita al Nord: la Lombardia tratta quasi il 49% del totale dei RU e Cdr avviati a tale forma di gestione. Seguono l’Emilia-Romagna (16,1%), la Toscana (6,2%), il Lazio (5,7%), il Veneto (4%), la Sardegna (3,9%) ed il Friuli-Venezia Giulia (3,4%).
Analizzando le modalità di gestione dei Rifiuti Urbani si può agevolmente verificare, ancora una volta, la diversità tra le regioni italiane, anche se è opportuno sottolineare che non esiste un unico modello di gestione integrata dei rifiuti da applicare a livello nazionale. In relazione alle priorità definite dalla Comunità Europea in materia di gestione dei rifiuti, ovvero prevenzione della produzione dei rifiuti, riciclaggio e recupero di materia e smaltimento in sicurezza dei rifiuti non recuperabili è possibile evidenziare alcune regioni virtuose che complessivamente raggiungono valori prossimi o superiori a 40% di recupero, minimizzando di conseguenza lo smaltimento in discarica: Lombardia, Trentino-Alto Adige, Veneto, Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia e Piemonte, ovvero il “solito” Nord.
Per quanto riguarda le discariche, invece, è il Sud ad essere in testa per numero di impianti (anche se negli ultimi 7 anni vi è stata una fortissima contrazione di tali strutture).
Il numero degli impianti attivo nel 2006 in Italia è di 303 discariche: 107 attive al Nord, 53 al Centro e 143 al Sud. Tali discariche hanno smaltito nel 2006 ben 17,5 milioni di tonnellate di Rifiuti Urbani, facendo registrare rispetto all’anno precedente una crescita dell’1,7%.
Il numero degli impianti è diminuito nel 2006, rispetto al 2005, di 37 unità. E la riduzione è stata maggiore nel Sud: in Sicilia (-23 impianti), in Calabria (-7 impianti) e in Abruzzo (-3 impianti). La situazione della Campania, che aveva sostanzialmente chiuso tutte le discariche attive (fatta eccezione per quelle classificate discariche di prima categoria) è oggi in evoluzione a causa degli ultimi provvedimenti normativi e del perdurare (dopo 14 anni) della fase di commissariamento. In questa regione, però, mentre si chiudevano le discariche “legali” si aprivano a catena sempre di più discariche illegali. Nel 2007 in Campania sono state individuate ben 222 discariche abusive. Di tutte le dimensioni. E si tratta di un dato sottostimato, risultante solo dal monitoraggio delle principali operazioni delle forze dell’ordine. Il 40% delle discariche abusive sono in provincia di Napoli, segue con il 24% la provincia di Salerno e con il 14% quella di Caserta. Si tratta di discariche abusive disseminate ovunque, nascoste tra frutteti, accanto a cimiteri e campi coltivati ad ortaggi.
È il Centro Italia che ha fatto registrare nel 2006 un aumento maggiore dei rifiuti smaltiti in discarica (+6,3%).
Il dato del Lazio è alquanto eloquente: questa regione si conferma per essere quella che smaltisce le quote maggiori di rifiuti, oltre 2 milioni e 800 mila tonnellate, pari all’85% dei rifiuti prodotti. Si tratta di una regione a rischio di crisi. Ed è anche una delle regioni che hanno avuto un lungo commissariamento a partire dal 1999, insieme alla Campania dal 1994; alla Puglia dal 1994; alla Calabria dal 1997 e alla Sicilia, dal 1999. Tutte del Sud che appare poco propenso alla gestione ordinaria dei rifiuti.
Anche in questo caso un raffronto con le modalità di gestione dei rifiuti urbani in Europa può essere utile. Per scoprire: che in Austria si ricicla il 60% dei rifiuti, nei Paesi Bassi il 45% e in Francia il 25%; che si avviano, invece, ad incenerimento il 34% dei rifiuti in Belgio, il 32% in Francia e il 33% nei Paesi Bassi. “L’opzione discarica” in Europa è privilegiata dal Regno Unito con ben l’80% dei rifiuti smaltiti in questo modo, dall’Italia e dalla Francia che smaltisce il 43% dei propri rifiuti in discarica. Anche se i nostri cugini transalpini hanno negli ultimi anni incrementato moltissimo la raccolta differenziata e diminuito, di conseguenza, il conferimento in discarica.
4. L’Italia “unita” dai traffici illeciti dei rifiuti.
Come è ormai ampiamente documentato dall’intensa attività investigativa portata avanti in questi anni in particolar modo dal Comando Tutela Ambiente dell’Arma dei Carabinieri con il suo reparto operativo e i diversi Noe locali (e in altri casi anche dai nuclei investigativi del Corpo Forestale dello Stato e della Guardia di Finanza), i rifiuti sono diventati un vero e proprio affare d’oro.
Grazie all’articolo 53 bis del decreto Ronchi, che ha previsto il nuovo delitto di organizzazione di traffico illecito di rifiuti, sono stati sferrati dei colpi pesanti alla rete dei trafficanti di rifiuti attiva in Italia.
Una rete che appare sempre di più attraversare l’intera penisola, dal Nord al Sud. Basta leggere i numeri: nelle 32 indagini compiute negli ultimi anni sono stati arrestati 200 trafficanti, ne sono stati denunciati 647, con il coinvolgimento diretto di ben 192 aziende attive nella gestione dei rifiuti. Le procure attualmente impegnate in inchieste sul traffico illecito dei rifiuti sono 22, mentre le regioni interessate da queste attività criminali sono ben 18, sostanzialmente l’intero territorio nazionale, fatta eccezione per il Trentino-Alto Adige e la Valle d’Aosta.
Si tratta di una vera e propria ragnatela che avvolge l’intero Paese: rifiuti “scomparsi”; rifiuti che cambiano “identità”; rifiuti pericolosi impiegati in ripristini ambientali; rifiuti immessi in cicli produttivi etc., rappresentano le tante specializzazioni di questa rete, anche di carattere territoriale. La Campania e la Puglia per molti anni sono state aree di smaltimento preferenziale e, ovviamente, le regioni del Nord, Lombardia e Veneto in testa, zone di procacciamento di rifiuti. La Toscana ha non di rado assunto, invece, un ruolo nevralgico per quanto riguarda alcune attività logistiche (dall’intermediazione alla falsificazione delle analisi).
L’Italia dei veleni non è un’esclusiva del Sud Italia, né della criminalità organizzata.
E a dimostrarlo sono i numeri: le 10 procure del Mezzogiorno attive contro gli eco criminali sono state “messe in minoranza” dalle 12 del Centro Nord, a testimonianza che la criminalità ambientale permea l’intero territorio del Bel Paese.
Le rotte dei traffici illeciti dei rifiuti lungo l’asse Nord-Sud hanno visto in questi anni viaggiare di tutto: scorie derivanti dalla metallurgia termica dell’alluminio, polveri di abbattimento fumi (soprattutto quelle prodotte dall’industria siderurgica, dalle centrali termoelettriche e dagli inceneritori), morchie di verniciatura, reflui liquidi contaminati da metalli pesanti, amianto, terre inquinate provenienti da attività di bonifica, rifiuti pericolosi di petrolchimici storici, fanghi conciari, fanghi di depuratori etc.
Le inchieste ci raccontano di una “catena montuosa” di rifiuti scomparsi: la differenza di rifiuti speciali prodotti e quelli gestiti consente di quantificare ogni anno in milioni di tonnellate la quantità di quelli scomparsi nel nulla.
Le numerose indagini di questi anni ci permettono di definire la geografia dei traffici, i numeri, le rotte e le metodologie di smaltimento.
Fin dai primi anni ’90 una vera e propria holding composta da clan criminali, imprenditori, soggetti affiliati a logge massoniche e a politici corrotti ha gestito il trasporto dal Centro Nord del Paese verso il Mezzogiorno di rifiuti industriali e urbani.
Da Lombardia, Piemonte ma anche Toscana verso la Campania, con propaggini significative nel Lazio, Calabria, Basilicata e Puglia.
Tir carichi di rifiuti finivano il loro tragitto presso discariche non autorizzate a riceverli e, soprattutto, cave abusive, terreni scavati per l’occasione, riempiti di immondizia e ricoperti.
Sono Gomorra, il magnifico best seller di Roberto Saviano, la sua trasposizione nell’altrettanto riuscito film di Garrone e l’originale e drammatico Biutiful Cauntri a raccontare in maniera esemplare la storia dei Rifiuti Spa.
La direttrice Nord-Sud è stata a lungo quella privilegiata dai trafficanti, che partendo dalle aree di maggior produzione dei rifiuti, hanno trasformato vaste zone del Sud Italia in enormi discariche abusive. Le indagini hanno potuto evidenziare una “rotta adriatica” con terminali in Puglia, ma anche in Abruzzo e Romagna, e una “rotta tirrenica” con terminali in Campania, Lazio e Calabria. Anche se alle rotte storiche e collaudate se ne sono aggiunte via via altre regionali e addirittura provinciali, moltiplicando a dismisura le aree di smaltimento illegali. È di qualche tempo fa il sentito monito del Presidente Napolitano a proposito dei veleni che dal Nord per tanti anni hanno fatto rotta verso il Sud devastando intere aree del Mezzogiorno: “la criminalità organizzata – ha sottolineato il Presidente Napolitano – è responsabile di molti traffici compreso quello dei rifiuti tossici e questi rifiuti in gran parte sono arrivati dal Nord, ne sia consapevole l’opinione pubblica del settentrione”.
Ci sono, addirittura, casi in cui la rotta segue un itinerario invertito. Nell’Operazione Eldorado per la prima volta emerge una sorta di “rovesciamento” dei ruoli. I rifiuti da smaltire (in questo caso si tratta di “residui” di impianti di tritovagliatura di rifiuti urbani) partono dalla Campania, passano per l’Emilia-Romagna, transitano in Lombardia per poi finire in Piemonte.
Il recente Rapporto Ecomafia 2008 di Legambiente ha sostanzialmente confermato tale triste trend.
Nel 2007 tutti i numeri dell’illegalità ambientale in Italia crescono in maniera preoccupante. E tra questi quelli relativi ai rifiuti in particolar modo. Sparisce nel nulla una montagna di rifiuti speciali alta poco meno di 2000 metri, mentre “Cosa nostra” entra a pieno titolo nella gestione del ciclo dei rifiuti.
Nel 2007 secondo Legambiente le ecomafie hanno fatturato qualcosa come poco meno di 20 miliardi di euro.
Dalle indagini si evince che la criminalità ambientale infesta intere aree geografiche a partire dal Sud, dove la criminalità organizzata riesce ad inquinare ogni aspetto della vita economica e sociale, ad imporre scelte strategiche per il territorio e a decidere della sorte di intere comunità. Ma anche le regioni del Centro e Nord Italia si confermano come nodi nevralgici per i traffici illeciti di rifiuti.
Il Rapporto di Legambiente evidenzia come l’ecomafia ha assunto ormai una dimensione globale: dall’Italia escono rifiuti verso Hong Kong, la Tunisia, il Pakistan, il Senegal e la Cina, mentre entrano rifiuti dalla Croazia, dalla Serbia e dall’Albania.
Ma il Rapporto Ecomafia 2008 riserva anche qualche buona notizia: diminuisce il giro d’affari della Rifiuti spa perché si riduce, ovviamente, la quantità di rifiuti gestita illegalmente.
Nella classifica dell’illegalità ambientale in Italia nel 2007 ai primi posti vi è quasi tutto il Sud: Campania, Calabria, Puglia, Lazio, Sicilia, Sardegna, le prime sei regioni per infrazioni accertate.
Crescono ancora nel 2007, secondo Legambiente, i reati accertati dalle forze dell’ordine nell’intero ciclo dei rifiuti: da 4409 del 2006, a 4833 dello scorso anno. Un aumento del 9,6%. Crescono pure gli arresti, da 116 a 136 e i sequestri da 1739 a 2193.
In testa a questa speciale classifica campeggia stabilmente la Campania, che “conferma essere il peggiore esperimento criminale fondato sulla monnezza che sia mai stato escogitato: un Sistema perverso di gestione illegale di rifiuti urbani industriale che, scrive Legambiente, ha impressionato il mondo intero per le sue conseguenze disastrose”.
Fa però notizia il Veneto, che raggiunge la seconda posizione di questa classifica con ben 462 infrazioni accertate, 630 denunciati, 10 arresti e 201 sequestri. Anche il Lazio va male: con 288 reati sale al sesto posto; subito dopo, la Toscana con 283 reati.
Sugli illeciti e i reati riguardanti il ciclo dei rifiuti le 3 Italie sembrano, finalmente, avvicinarsi.
Note
Le modalità di gestione dei Rifiuti Urbani sono sostanzialmente le seguenti: recupero di materia, compostaggio di matrici selezionate, incenerimento, trattamento meccanico-biologico e smaltimento in discarica.
L’articolo 53 bis del Dlgs. 22/97, c.d. decreto Ronchi, punisce con la reclusione da 1 a 6 anni il delitto di “attività organizzata per il traffico illecito di rifiuti”. Il reato è stato inserito con l’articolo 22 della legge 23 marzo 2001, n.93 dal titolo “disposizioni in campo ambientale”.
Una radiografia completa dei traffici illeciti dei rifiuti è riscontrabile nel Rapporto di Legambiente, messo a punto in collaborazione con il Comando per la tutela dell’ambiente “Rifiuti Spa”, in www.legambiente.eu.
R. Saviano, Gomorra. Viaggio nell’impero economico e nel sogno di dominio della camorra, Mondadori, Milano 2006.
Il Rapporto Ecomafia 2008 di Legambiente è edito da Edizioni Ambiente.
crucio dovresti inserire i numeri alle note.
Grazie
ehm…mi rimandi l’articolo in formato doc? 😉
great dario
grande natalini!
beh Dario ora dovremmo continuare questo filone con un’inchiesta dettagliata sulla situazione laziale. Studiamo il bubbone prima che scoppi…
http://www.mac125.com/forums/post752703.html?sid=24be1f411b586875b24689d93840dadb#p752703
e siamo stati citati, nel 2009, anche da un forum di giovani tunisini 😉