[Nostalgie Labouranti]Come sarà la terza repubblica: un anno dopo
venerdì 26 dicembre 2008 | Scritto da Plex - 2.206 letture |
Non è senza un pizzico di nostalgia che riprendo in mano il primo, ingenuo, articolo scritto per labouratorio. E’ passato un anno, molte cose sono cambiate, molte poche sono quelle su cui c’ho preso, ma della terza repubblica, tramontata la seconda, non c’è ancora traccia…
L’eterna transizione italiana non conosce mai fine. E’ mutato l’assetto geopolitico mondiale, il modello di sviluppo globale, siamo passati dalla guerra fredda al mondo unipolare alla globalizzazione all’elezione di Obama. Sono tramontati uomini, partiti ed ideologie. Ma dalla democrazia bloccata dell’alternanza impossibile tra democristiani e comunisti della Prima Repubblica al bipolarismo bastardo della Seconda, in Italia il sistema politico è sempre anomalo e in attesa di transire versa una meta sempre lontana.
Gli sconvolgimenti politici dell’autunno scorso, che hanno portato alla caduta del governo Prodi e alle elezioni anticipate che hanno consegnato l’Italia a Berlusconi, avevano dato avvio ad una babele di ipotesi sul futuro assetto della politica italiana. Tutto si può dire meno che questa benedetta e chimerica Terza Repubblica, sia finalmente arrivata.
Ad onor del vero invece, il sistema appare tuttora estremamente instabile. Instabili sono i partiti, e i loro equilibri interni, dalla Destra di Storace che perde la Santanchè a Rifondazione in preda al rischio scissione, passando per il PD in pieno travaglio e l’UDC che perde pezzi verso destra. Instabili sono le strategie e le linee politiche, sconfessate immediatamente dopo essere state pomposamente sbandierate ai quattro venti (vi ricordate il dialogo di veltroniana memoria e i tentativi infantili di fare sponda col Berlusca?). Instabili in teoria sono anche le regole del gioco, con la legge elettorale perennemente da riformare, quale che sia l’elezioni di cui si discute, e le riforme istituzionali sempre lì da fare, ma si sa che di fronte alla soluzione dei problemi in Italia l’instabilità diventa eternamente stabile.
E in tutta questa precarietà l’interrogativo che ci eravamo posti un anno fa sugli sbocchi della crisi, bipartitismo versus multipolarismo, rimane tuttora irrisolto. PD e PDL hanno si incassato la stragrande maggioranza dei consensi alle elezioni di aprile ma diversi elementi spingono a ritenere che la partita sia tutt’alto che chiusa.
In primis la debolezza del PD, della sua leadership, e dello stesso appeal del suo progetto iniziale. L’ambiguità di fondo sulla scelta del gruppo di appartenenza in Europa combinata con l’esplodere fragoroso della mai sepolta questione morale rischiano di far esplodere tutte le contraddizioni che lo attraversano lasciando solo un cumulo di macerie.
In secondo luogo la forza di partiti antisistema come la Lega e l’IDV che sono i principali competitors di PD e PDL (si pensi alla guerra senza esclusione di colpi per l’egemonia nel nord) e che tra l’altro testimoniano uno scollamento sempre maggiore tra classe politica e cittadinanza.
Un terzo ostacolo alla deriva bipartitica sono gli inossidabili democristiani di Pieferdi che, piazzati là in mezzo e recuperato il figliol prodigo Mastella potranno ancora inesorabilmente dire la loro.
Se poi la sinistra resuscitasse alle europee, il rebus si complicherebbe ulteriormente. Ma la crisi della sinistra in Italia merita ben altro approfondimento.
In tutto questo bailamme appare ancora una volta sempre più evidente la totale inadeguatezza dell’attuale classe dirigente nella gestione delle crisi di cui il paese è complessivamente preda, prima fra tutte la crisi politica che non riesce a trovare sbocchi.
Limiti culturali ed età avanzata impediscono di escogitare soluzioni che vadano al di là del tirare a campare, della difesa delle posizioni di potere a tutti i livelli. Ed è una concorrenza al ribasso, in cui la debolezza e la pochezza degli uni tira fuori il peggio degli altri.
Forse che per la terza repubblica occorrerà trovarne prima un’altra di classe dirigente?
Ma il dominus di tutta la situazione è ovviamente sempre lui, l’immarcescibile caimano, il presidentissimo Silvio Berlusconi. Nel suo duplice ruolo di Presidente del Consiglio e proprietario del maggiore partito italiano, nonché di massimo conoscitore delle debolezze dei suoi avversari, il Cavaliere non è mai parso propendere in modo definitivo per nessuno dei due corni del dilemma. E’ stato proporzionalista, bipolarista, solo contro tutti, fautore del bipartitismo, a seconda delle convenienze politiche del momento. Lontano dal cercare di proporre un assetto stabile per il sistema politico italiano continuerà a perseguire il suo interesse anche nell’azione di governo, come dimostra l’aver deciso di abbandonare i suoi propositi di riforma elettorale europea (lo sbarramento al 5% e l’eliminazione delle preferenze avrebbero dato una bella spallata bipartitica al sistema) pur di massimizzare i danni per il PD in emorragia di consensi.
Tuttavia anche le sette vite dell’uomo di Arcore potrebbero finire. La portata della crisi economica globale rischia di travolgere come un fuscello la già debolissima economia italiana, da tempo priva di un apparato produttivo degno di questo nome. E quando il prezzo della crisi inizierà ad essere pagato, in modo salato, dai cittadini, il governo ne pagherà giocoforza in termini di consenso.
Forse, come si dice da tempo, solo la scomparsa politica di mister B potrà aprire la strada ad una vera transizione.
Forse. Ci chiediamo però se quando ciò avverrà non sarà decisamente troppo tardi per un paese il cui futuro appare molto più nero di quanto non appaia nebuloso.
È evidente, l’esigenza di un rinnovamento nella leadership del Pd. Parte della sinistra, per mesi, ha ignorato il problema, forse per l’imbarazzo di riconoscere la necessità di un rinnovamento di un partito a così poco tempo dalla sua nascita… Ma l’esigenza si è fatta innegabile da quando l’elettorato ha cominciato a percepire come figure di spicco del centro sinistra un politico come Di Pietro (!), forse perché agli occhi della gente, memore dei tempi di tangentopoli, è apparso in grado di dimostrare che “fare opposizione politica” non consiste solo nel denigrare l’attuale Presidente del Consiglio (e indirettamente anche l’elettorato) ma – tanto per cominciare – nel degnarsi di formulare uno straccio di controproposta a quelle governative. Chiarita la mia modesta opinione che Di Pietro non può essere il successore di Veltroni, e volendo formulare una proposta, come lo vedreste Zingaretti? Ha attirato la mia attenzione per il suo progetto sulla diffusione del wifi ed ho osservato il suo lavoro (per esempio qui) e penso, che nonostante le attribuzioni della Provincia non siano molte, stia facendo un ottimo lavoro sfruttando ogni possibilità del suo mandato per il bene della comunità che è chiamato a rappresentare.
zingaretti, anche solo per i parenti, mi aggrada. Ma il problema è di metodo. Non è che possono sperare di cavarsela con una sostituzione per acclamazione. Stavolta servono primarie vere o un vero congresso. E se vogliono fare il secondo, un vero tesseramento.
Insomma basta ciurlare nel manico, come si dice dalle mie parti…