[Labouratorio n.33] Alitalia: Evirati e contenti
martedì 23 settembre 2008 | Scritto da Tommaso Ciuffoletti - 2.702 letture |
“La realtà è che una sinistra prigioniera dei propri slogan genera una colossale rendita di posizione per una destra che ha le idee chiare su come smontare il codice di procedura penale, ma non sul come regolare in modo efficiente il sistema delle relazioni sindacali. Gli sbarramenti eretti da sinistra contro ogni intervento efficace su questa materia consentono alla destra di starsene con le mani in mano senza pagare pegno per questo”.
Pietro Ichino – “A che cosa serve il sindacato?”
Credo che valga la pena andare alla radice del caso Alitalia che sta consumando in questi giorni i suoi ultimi atti.
Atti la cui cifra oscilla tra il drammatico e il grottesco. Conoscevo infatti la battuta sull’irragionevolezza di chi si taglia gli attributi per far dispetto alla moglie. Non immaginavo potesse esserci qualcuno disposto a tagliarseli per far dispetto a se stesso. Il riferimento, se non fosse chiaro, è ai dipendenti Alitalia esultanti a Fiumicino per il ritiro dell’offerta della Cai.
Nel caso specifico, visto che molte dita sono state puntate contro l’atteggiamento della CGIL, io non ritengo Epifani correo del possibile fallimento. Ritengo che Epifani abbia piuttosto dato prova della sua incapacità tattica, riuscendo a beccarsi responsabilità non sue e a far da parafulmine per governo e sindacati autonomi.
Ritengo tuttavia che il dato più serio sul quale i sindacati confederali debbano interrogarsi sia strutturale e non di congiuntura e riguardi la pedagogia che essi hanno contribuito a diffondere tra i lavoratori sul come debbano stare i rapporti tra azienda e lavoratori stessi.
Il caso Alitalia è infatti un esempio estremo e doloroso di come alla lunga la cultura esclusiva della conflittualità, spesso pregiudiziale, arrechi danni a tutti, lavoratori in primis. Lavoratori che, per giunta, hanno fatto di tutto per apparire al peggio delle proprie possibilità di fonte agli occhi dell’opinione pubblica fatta da quei cittadini che hanno pagato per anni il deficit di Alitalia (compresi gli stipendi dei suoi dipendenti) e che nell’accordo tra governo e Cai si sarebbero dovuti sobbarcare tutto il peso della cosiddetta “bad company” (che in italiano si traduce con “debiti, tanti debiti”).
Ad esultare per il fallimento dell’accordo avrebbe potuto essere – come è stato – qualche stupido populista come Di Pietro, che proprio nella festante Fiumicino si è presentato per lanciare slogan beceri e tipici di chi ormai specula su qualunque idiozia il mercato politico italiano gli metta a disposizione.
A noi non resta che ripartire dalle parole di Ichino, nella speranza che il sindacato, a partire da quelli confederali, sappia trarre la dura lezione che il caso Alitalia sta impartendo a chi ancora abbia voglia ed umiltà di apprendere. Un modello maggiormente cooperativo nelle relazioni industriali può costare nell’immediato sacrifici e la rinuncia a piccoli privilegi di nicchia, ma può garantire prospettive migliori. Certo non peggiori di quelle a cui sembra destinata Alitalia.
SOMMARIO DEL NUMERO 33
- [Labouratorio n.33] Alitalia: Evirati e contenti
- [Il fare politica] Intervista a Hugues Le Paige
- [Vestivamo alla zuava] Grazie Roma, che bel XX Settembre …
- [Coppie di fatti] Quanto dura la luna di miele fra Silvio e gli italiani?
- [Welcome to the Jungle] Insicurezze post-moderne
- [Storia e Dossier] I protagonisti dell’anarchismo in Italia – Errico Malatesta
Commenti recenti