[LABOURACOULTURA] Esoterismi devianti e rockeggianti – Intervista a Luca Leonello Rimbotti
mercoledì 18 giugno 2008 | Scritto da Redazione - 4.118 letture |
a cura di Antonello Cresti
“Persino in parlamento c’è un’aria incandescente, si scannano su tutto e poi non cambia niente!”… Con queste parole il grande Giorgio Gaber irrideva quell’Italietta in cui qualsiasi argomento diviene una accesa rissa ideologica…
Luca Leonello Rimbotti è un sulfureo scrittore e pensatore che, sia pur da uomo libero, è sempre stato vicino alla galassia dell’estrema destra. Naturalmente chi scrive ha una storia all’estremo opposto, ma pur contrastando gran parte delle tesi di questo autore dobbiamo riconoscerne la qualità formale, la lucidità, la capacità intertestuale. Come fare a non essere incuriositi da un libro che si intitola “Rock duro antisistema” (ed. Settimo Sigillo)?
Dal momento che riteniamo la censura la prova della sconfitta delle idee dominanti non possiamo che incrociare la spada con Rimbotti e muovergli cortesemente i nostri dubbi.
Una prova di infantile incoerenza? Non del tutto dal momento che assieme a Rimbotti ritengo che la storia delle produzioni musicali espresse dalla cultura “popular” rappresentino, in un lungo momento di grave decadenza, uno straordinario momento di kultur espresso in Europa e negli Stati Uniti.
L’invito che giunge da questa intervista è dunque univoco: rendiamo la cultura pop e rock degna della più alta attenzione e, soprattutto, al di là di tante discussioni, riascoltiamoci i capolavori che questa musica popolare ed aristocratica al contempo ha saputo esprimere.
A) Quando si svolge una analisi in profondità del rock si deve a mio avviso compiere una distinzione tra tre diverse aree concettuali e semantiche che di fatto costituiscono l’impalcatura dell’edificio musicale affrontato. Estetica, etica e metafisica si rimescolano continuamente, spesso in quantità difformi, nel calderone della cultura pop e rock.
La mia impressione è che nel tuo saggio la dimensione estetica abbia preso il sopravvento finendo per indirizzare le tue ricerche in maniera più precostituita nell’ambito delle restanti due dimensioni.
Tanto per fare un esempio il potere del Suono da sempre si manifesta non solo nella sua componente più tellurica, ma la catarsi può essere raggiunta anche attraverso un incantamento dettato da musiche ben più suadenti di quelle heavy metal. Potresti chiarire se contempli la possibilità che sonorità più rarefatte di quelle hard possano giungere a medesimi risultati da quelli da te espressi e riportati?
Quando l’estetica diventa forma, quando questa forma detta i contorni di una concezione – anche approssimativa – del mondo, cessa evidentemente di essere soltanto un’estetica inerte, un gusto soggettivo, divenendo per l’appunto un modello etico, al centro del quale il veicolo simbolico affronta e risolve le inquietudini in generi propriamente metafisici.
L’Heavy Metal si distingue da molti altri generi musicali proprio perché sollecita pesantemente alla formulazione di un immaginario molto compatto, in cui confluiscono l’estetica del suono, del gesto, del look, l’etica del ribellismo e dell’appartenenza e la metafisica dell’idealtipo simbolico, legato al mito e al rito arcaici. Tutto questo forma un’ideologia rivoluzionario-conservatrice, che protegge i patrimoni atavici, ma con materiali atti a suscitare sonori risvegli. Non propone l’evasione contemplativa, ma l’immersione nella modernità degradata, sfruttando i mezzi della tecnica al fine di operare una voluta disintegrazione del borghesismo e dei suoi modelli, attraverso il meccanismo della ribellione, continuamente evocata. Ora, ognuno sa che la ribellione conosce due vie: quella intimistica individuale, la fuga dal mondo, l’ascesi solitaria, l’ingresso nei mondi di una superiore meditazione esistenziale; oppure quella comunitarista attiva e mobilitante, che accetta di interpretare la contemporaneità come un luogo di lotta e di rifiuto clamoroso (proprio nel senso etimologico: che fa rumore e ridesta i dormienti).
L’Heavy Metal è una fase – ovviamente adattata alla società sfaldata di cui è parte – di questa seconda via, ma che non esclude affatto la prima. Nel mio libro, al centro di tutto il discorso, ho non per caso messo la figura del Guerriero e quella del Ribelle, che sono canoni estetici – ma anche e soprattutto etici ed esistenziali – centrali in quel tipo di musica. E ho anche più volte sottolineato la diversità che corre tra la renitenza irenistica della cultura hippie di una volta e invece l’istinto di promozione e di interventismo che anima una musica che ha il suo lato attivo nella rivolta e nella violenta volontà di scuotimento.
È evidente che un libro sull’Hard Rock e sull’Heavy Metal è portato a indagare più questi generi che non altri. Per questo non parlo degli altri generi – il folk, il punk, il prog, il dark… – se non di sfuggita. Come è anche evidente – e credo proprio di averlo scritto – che il tellurismo percussivo, via non esclusiva alla dimensione estatica, raggiunge la mèta dell’uscita catartica dalla “normalità” costituendone l’aspetto galvanizzante. Ma che egualmente esiste l’aspetto tranquillizzante e sognante della catarsi. Ė giusto ciò che tu dici, dunque. Ma come il tamburo dello sciamano risveglia, il dolce suono ottenuto, ad esempio, col pizzicato della cetra porta invece ad acquietare gli spiriti, sèda gli animi, intorpidisce i sensi nei piacevoli languori di immagini legate all’Altrove, li predispone insomma alla catarsi narcotica e non esattamente a quella combattiva e trasfigurante, ottenuta col dominio pieno d’una consapevole volontà d’azione. Del resto, vi è poesia sia nella parola forte, sia in quella soave. Il Metal batte entrambe le vie. Il Metal conosce l’utilizzo di una strumentistica soft (persino il cembalo, la chitarra acustica, l’organo, il cantato femminile armonico e aggraziato…), oppure l’elemento della ballata, presente con almeno una o più tracce in ogni disco che si rispetti di questo genere. Musiche ben più “suadenti”, tu dici? Ma saprai bene che la musica popolare – dal fado al Volkslieder, dalla prosodia greca alla lirica provenzale – essendo Tradizione al massimo grado è musica tipicamente di “destra”, che piace inevitabilmente ad un pubblico di “destra” che più non si potrebbe, se le parole e le idee hanno ancora un senso: come tutti sappiamo, essa esprime infatti la comunità atavica, le tradizioni, la fratellanza di stirpe, di memoria, di destino, di comune lotta per la vita e per l’onore comunitario. Una cultura tipicamente etnica, insomma, tipicamente anti-progressista, quindi estranea al cosmopolitismo. Qui la “sinistra” davvero non c’entra, ma c’entra il suo opposto. E trovo eccentrico che un progressista si riconosca in quanto di meno progressista sia possibile immaginare.
Il Metal – che contiene robuste dosi di musica celtica, di ballata popolare, di canto tradizionale, di musica classica: tutte cose ricordate nel libro – è il risvolto aggressivo del medesimo concetto di musica popolare. Tu sai che uno dei generi metal che vanno oggi per la maggiore si chiama per l’appunto Neofolk. Espressione pienamente völkisch della rivolta moderna contro la modernità, il Metal è la corazzatura tecnica della musica arcaica. Esattamente come il Futurismo, che amava la velocità, l’elettricità, il dinamismo, ma veicolava valori arcaici, la stirpe, la nazione, l’eroismo, etc. Sono “suadenti”, come tu dici, sia il sussurro dello sciamano, che è presente nei dischi dei Manowar, sia il fruscìo del vento, che troviamo in quelli dei Bathory o dei Rhapsody, sia i dolci canti d’amore resi con strumenti anche acustici, presenti massicciamente nel Metal. Il Metal non è solo e sempre rozzo rumore e incazzamento radicale, come crede chi non lo conosce. Anche il sogno tradizionale – magia, mistero, enigma dell’ignoto, persino il silenzio…- come ho cercato di spiegare nel libro, sono punti focali della Musica Estrema. I recenti sotto-generi Power, Symphonic o Epic, ad esempio, sono tutti giocati sul contrappunto tra tappeti armonici e dolce voce femminile sui toni della ballata da un lato e aggressione sonora di chitarrismo e percussionismo pesanti dall’altro lato. Chi conosce la storia dell’Hard Rock, del resto, sa bene queste cose: per dire, trent’anni fa i Thin Lizzy o i Jethro Tull facevano musica celtica impastandola di sonorità di rock duro. A volte durissimo. L’insieme dei due momenti, il loro intreccio, costituisce il fuoco centrale, l’essenza stessa di questa musica, portata col Metal fino alle estreme conseguenze.
B) L’Heavy Metal a ben vedere è una espressione di una modernità fortemente degradata. Senza soffermarsi sui suoi contenuti (che di fatto sono ben più vasti di quanto si possa immaginare) lo potremmo paragonare al famoso “Urlo” di Edvard Munch; la rivolta sembra qui essere veicolata da una volontà di autostordimento attraverso la potenza, l’alto volume, l’esaltazione paraorgasmica. Si può davvero parlare di “Tradizione” in ambito Heavy Metal quando espressioni a mio avviso più sincere, quali il folk e la psichedelia, sembrano davvero lanciare davvero un ponte tra mondo nuovo ed ancestrale?
E difatti, proprio perché distruttivo, l’Urlo di Munch passa per un capolavoro moderno…Ma, proprio per questo, per me non è affatto un capolavoro: preferisco di gran lunga l’Urlo di Vecchio disegnato a sanguigna da Michelangelo, oppure certi volti trasfigurati e drammatici del Caravaggio (ad es., la Medusa). Ho cercato di spiegare nel libro che il Metal ha tutte le caratteristiche proprio di un moderno nichilismo nietzscheano di rivolta, di uno jungheriano istinto di anarchismo che della modernità utilizza gli strumenti di degradazione, ma per pervenire alla riformulazione e al rilancio di temi che invece, all’opposto, sono arcaici e tradizionali: l’appartenenza, l’onore, la comunità, la lotta, l’identità, l’epica eroica, i legami di stirpe, etc.
E più volte ho definito il Metal un genere tipico della degenerazione metropolitana: ma che, al contrario di tutte le altre numerose degenerazioni, veicola con fragore spezzoni di mondo pre-moderno, idee e stili chiaramente identificabili come anti-moderni e tradizionali. Torno a ripetere che esistono anche altri generi che rifiutano la modernità. Sono d’accordo. Ma di fatto la subiscono senza battere ciglio. Il folk, genere rispettabilissimo, è esistito per secoli nelle tradizioni popolari, specialmente tra le plebi contadine duramente represse da ogni tipo di governo politico. Oggi purtroppo il folk è spesso solo musica folkloristica. Ma quando l’identità cessa di rappresentare soltanto se stessa, ma pretende di farsi vedere anche fuori dal suo circuito, allora la tarantella o il salterello sono armi inutilizzabili. Allora occorre il canto di rivolta. Per dire, i Masaniello non nascono sull’aia nel dì di festa, tra canti e balli a suon di tamburelli e mandolini, ma nei sobborghi degradati della grande città, l’antica come la moderna, là dove per l’appunto a un certo momento rimbombano suoni e voci – alti suoni e altissime voci – di chiamata a raccolta.
Perché poi definisci bizzarramente “più sincere” di quella metal la musica folk o quella psichedelica? Personalmente giudico quest’ultima un genere prog fine a se stesso: alle volte ottima arte, adattissima al composto recital per un’avanguardia estetica molto intellettuale, ma a questa arte d’élite non si può davvero chiedere un’ideologia di sommossa. In base a cosa giudichi “non sincera” la passione che da molti decenni anima l’immaginario e la vita quotidiana di tanti milioni di giovani che hanno trovato nell’Hard Rock o nell’Heavy Metal un loro scudo contro l’avvilente vita nella democrazia occidentale? Ma veramente credi che i Pink Floyd fossero sinceri contestatori del Sistema (loro che sono una multinazionale con giganteschi interessi finanziari) e invece i Black Sabbath dei volponi che vendono merce artefatta? Io sono convinto esattamente del contrario, e il fatto che i Pink Floyd, e non i Black Sabbath, siano al centro della macchina mondiale legata al profitto musicale, che omologa i gusti e li incanala verso l’integrazione nel modello liberale, mi fa pensare di essere nel giusto…
C) La grande rivoluzione del rock, dagli anni ’50 in poi, è avvenuta in maniera assolutamente massiccia nell’ambito delle sinistre. Si è trattato certo di una osmosi difficoltosa ed a volte non pienamente coerente, ma il dato di fatto è che tutti i movimenti del dopoguerra (tutti rigorosamente di sinistra) sono stati associati a musiche precise. In Italia, ancora nei primi anni ’80, Marcello Veneziani, che “di destra” si definisce, gridava il suo sconcerto per il fatto che una rivista come “La Voce della Fogna” si occupasse timidamente di quelle musiche che erano inno e passione dell’ altra parte. Pensi che un discorso come il tuo possa essere seguito a destra? Da militante libertario della sinistra ti chiedo: non sarebbe più fruttuoso un dialogo a tutto campo con esperti e sociologi progressisti, in modo da evidenziare nella maniera più corretta quei filoni che tu ritieni essere di “rivoluzione conservatrice” all’interno del rock?
Non credo per nulla che, come tu dici, la “rivoluzione del rock” sia nata necessariamente ed esclusivamente come fenomeno di “sinistra”. Il vecchio rock ‘n roll inglese esprimeva, al contrario, un disagio metropolitano giovanile che sfociava nella morale del branco e dell’identità di gruppo che di pacifista o di libertario non aveva proprio nulla. E negli anni sessanta, i Kinks o gli Who veicolavano forse qualcosa anche lontanamente di “sinistra”? Che poi l’assoluta egemonia ideologica delle “sinistre” abbia cavalcato la protesta giovanile, verniciando con tale musica gli ideali marxisti che ormai non facevano più collante, questo è un fatto. Che ci sia stata poi una contestazione di “sinistra” legata al rock è evidente: ma le icone di questi ambienti – come ad esempio i Jefferson Airplane o un John Lennon o se vuoi un Bruce Springsteen – veramente sono rappresentabili a “sinistra” come modelli di contestazione ideologica anti-liberale e anti-occidentale? Con simili gestori del business personale, veramente la “sinistra alternativa” crede di aver affidato in buone mani i suoi afflati rivoltosi e contestatôri?
Mostri sacri del peggior mercantilismo come questi non rappresentano a mio parere che se stessi. Non è a miliardari ultra-inseriti nel sistema liberale che si può chiedere di formulare un’ideologia della contrapposizione o dell’alternativa. Il Flower Power sessantottino non ha forse prodotto i più straordinari fenomeni di entrismo nel Sistema mondialista e di sfruttamento delle sue logiche legate al profitto privato? Non sono forse ormai largamente dimostrati i legami tra psichedelìa e rilancio capitalistico attraverso la tecnoscienza e l’informatica? Non troviamo forse alcuni dei giovani “contestatori” degli anni sessanta tra gli attuali magnati del capitale monopolistico planetario? Dov’è la “sinistra” contestatrice, in tutto questo?
A destra, è vero, è mancata una cultura musicale legata al rock. Discorso vecchio…Si è lasciato – qui come ovunque – campo libero agli altri. La proverbiale inettitudine politica e la rara insipienza culturale delle “destre” di potere sono realtà ormai mitiche, e acquisite da gran tempo. Ma di quali “destre” parliamo? Veneziani, come tu dici? E allora perché no Evola, che si scandalizzava per i primi capelloni, oppure perché no Cardini, o forse Dell’Utri…mi dicono che la “destra” ufficiale sia questa, tutta roba di potere e più spesso di sottopotere…Ma quando si parla di “destra”, si dovrebbe intendere ben altra cosa. Quando si parla di “destra”, anzi di “destra radicale”, anche su temi di questo genere, bisogna uscire dalla grande visibilità ed entrare nell’underground…Ad esempio – come tu giustamente ricordi – ci sono stati e ci sono ambienti di “destra” che avevano ed hanno sensibilità per il rock. Ambienti piccoli, molto piccoli, circuiti sottotraccia…tutto vero. Ė precisamente quello che io stesso lamento. Credo però – purtroppo – che il mio discorso trovi accoglienza più in questi luoghi che non a “sinistra”, dove i blocchi psicologici e le autocensure sono ancora fortissimi…Il mio libro, per dire, mai nessuna casa editrice di “sinistra” lo avrebbe accettato, tu lo sai. A “destra”, in una certa “destra” aperta e anticonvenzionale, al contrario si dà largo spazio a chiunque abbia cose da dire, anche se apertamente di “sinistra radicale”…Ma il discorso sull’assenza di una vera cultura di “destra” (o come altrimenti la vuoi chiamare) è legato alla nota condizione di intimidazione cui l’intero universo ideologico uscito sconfitto dalla guerra di sessant’anni fa viene da decenni mantenuto. Con i modi, le leggi, le mistificazioni, le minacciose censure che ognuno conosce…ma il seguire questo discorso ci porterebbe troppo lontano dal nostro argomento.
(ndCresti)Poiché Rimbotti mi sollecita direttamente su questo tema non voglio sfuggire: i miei lettori di sono perfettamente a conoscenza del fatto che ho più volte condannato il settarismo e la “sindrome da vincitore” che di fatto imperversa in certi ambienti della sinistra. Credo che a sinistra si potrebbe solo crescere se si avesse una concezione meno “pelosa” della parola purezza. Detto questo credo che su un tema come quello affrontato dal libro di Rimbotti ci si potrebbe confrontare senza troppi patemi ed anatemi, d’altronde intellettuali aperti ed eretici a sinistra non sono più pure mosche bianche…
Detto questo gli intellettuali della destra radicale quando meritano devono avere spazio di tribuna come tutti gli altri purchè non usino una tale concessione per istigare all’odio razziale o a castronerie simili. Il guaio è che io di “intellettuali” in quell’area non ne vedo proprio e per quanto le sinistre mi possano tediare esse sono ancora gli unici spazi dove qualcosa continua a muoversi.
D) A differenza della sinistra, che dal 1968 in poi, di fatto ha assunto contorni molto più de-ideologizzati, pur eccettuando i relitti partitici della morente ideologia marxista, la destra italiana ha sempre fatto vanto della sua vocazione antiamericana ed antibritannica. Nel tuo libro manifesti una vicinanza notevolissima con decine e decine di artisti che di quei due mondi sono perfetti figli ed interpreti. Persino un Marylin Manson (si pensi al suo nome…) sarebbe non immaginabile se non esistessero le contraddizioni degli USA (proprio quelle e NON altre). Avendo da sempre manifestato la mia più profonda adesione al mondo anglosassone non posso che condividere questa tua ammirazione, ma tu non ti senti un po’ a disagio in compagnia di siffatti personaggi?
Tu parli di una “sinistra” italiana filo-anglosassone? La cosa deve essermi sfuggita…quando, come? Forse alludi alla “frontiera” kennnediana che piace tanto a Veltroni? Cioè proprio quella che scatenò la guerra del Vietnam? Altrimenti, ricordo solo una “sinistra” italiana compattamente – a parole, solo a parole – anti-americana. Con qualche eccezione, tipo quella del neo-liberale di “sinistra” D’Alema, che ha fatto di nascosto la sua piccola e sporca guerra per conto degli americani bombardando la popolazione civile di Belgrado…ma la “sinistra”, lo sappiamo, è famosa per essere l’unico schieramento che è capace di stare al governo e contemporaneamente di promuovere cortei contro quello stesso governo…altissima alchimia politica, non c’è dubbio.
Una posizione di normale “destra” non ha nulla contro Regno Unito e Stati Uniti di per sé. Perché dovrebbe? Si tratta di Stati nazionali di cultura europea, guidati da oligarchie bianche, collaudati imperialismi che bene o male (più spesso male) hanno portato l’Occidente e la sua cultura in tutto il mondo. Poe, Pound, London, Kipling, Byron, Blake, Keats, il “Beowulf”, il celtismo, il superomismo romantico, la letteratura “gotica”…sono luoghi di grande “destra” ideologica, decisamente inassimilabili a qualsivoglia “progressismo”…un patrimonio nazional-popolare nel quale non vedo come una qualunque “sinistra” potrebbe ritrovarsi. Poi sappiamo che, politicamente, quelle antiche e gloriose nazioni sono sempre state guidate da capitalismi aggressivi, sostanzialmente anti-europei, filo-sionisti, etc. Questo a una “destra” radicale e popolare ovviamente non può piacere. Il Regno Unito, in particolare, sotto la scorza mercantilista esprime ancora oggi qua e là il valore di un popolo fiero, di antica e nobile ascendenza anglo-sassone, tradizionalista e conservatore per indole e per prassi: tutte cose di “destra”, se la logica e le parole hanno ancora un significato. Il rock estremo nato a Birmingham, città operaia, è un bel prodotto della vecchia Inghilterra anti-progressista che non si riconosce nei suoi governi mondializzati, e non vedo cosa abbia di non accettabile per una mentalità nazional-popolare…
Perché dovrei sentirmi a disagio nell’apprezzare larghe parti della storia o della cultura anglosassone, e ivi compreso alla fine anche il Rock Duro, onestamente non comprendo. Se non sei a disagio tu, che ti definisci progressista di “sinistra libertaria”, a identificarti nei concetti britannici di nazione – una delle più antiche d’Europa -, di monarchia, di orgoglio etnico conservatore, di fierezza di stirpe, di tradizione arcaica, di società gerarchica e classista, talora francamente razzista, mettiamoci anche di imperialismo colonialista e dominatore nel nome dei diritti del più forte (India, Irlanda, etc.), così ben rappresentati dalla storia e dalla cultura inglesi, perché mai dovrei sentirmi a disagio io?
Tu citi Manson: si tratta di un ottimo esempio di sintesi anglo-sassone di quanto di più tipico e di più gradito da un punto di vista di “destra radicale” vi sia in quel mondo: occultismo, spiritismo, libero sessismo, volontarismo sovrumanista, neopaganesimo, oltraggio al pudore vittoriano, etc., tutti bei materiali anti-progressisti, ancestrali, anzi primordiali. Mi risulta che nei dischi e nelle autobiografie dell’Antichrist metallaro vi siano ampie citazioni da Nietzsche. È un caso che non vi compaiano invece citazioni da Marx o da Chomsky?
Quindi anch’io, come i Manowar, griderò “Hail England” (titolo di un loro famoso disco). Ma anche, secondo logica, “Heil Deutschland”, oppure “Viva l’Italia”. Poiché io – diversamente da una concezione di “sinistra”, che come sappiamo propugna ideali internazionalisti e cosmopoliti, negando la Nazione in favore della patria-mondo – credo oggi più di ieri nel minacciato (e minacciato da “sinistra”) valore-nazione, in quello dell’identità di popolo, in quello di comunitarismo di stirpe, di tradizione e di destino che sono parte sostanziale della storia inglese, scozzese, tedesca, italiana, cioè a dire europea. E l’Hard Rock inglese da cui è nato l’Heavy Metal europeo – come ho cercato di spiegare – è per l’appunto un veicolo dei concetti di appartenenza, di difesa delle radici, di rilancio dei valori tradizionali europei, non di rado neopagani (a cominciare dai Led Zeppelin per finire al Viking Metal attuale), wotanisti, alle volte anche razzialisti e comunque favorevoli ad un etnicismo di schietto carattere “tribale”, patriottico e anti-moderno. Le cose, su questo terreno, a chiunque non sia in confusione, appaiono di una chiarezza solare.
(ndCresti) Volentieri rispondo alle domande poste da Rimbotti: non mi sembra di vivere uno stato allucinatorio se dico che le frange dell’estrema sinistra antiamericana, pur numerose nella loro demagogia, non rappresentino più nessuno ad un livello profondo. Tu citi Veltroni, ma io all’interno della sinistra di governo non avrei problemi a farti i nomi di Morando, Pasquino,dell’ intera galassia radicalsocialista , nonché del quotidiano “Il Riformista”, che sull’elogio della “cool britannia” ha posto le proprie basi ideologiche.
Nella sinistra radicale la situazione non è molto dissimile: certo Diliberto e Casarini sono televisivamente i più spendibilii, ma ti assicuro che l’intero partito dei Verdi ha una vocazione molto anglosassone. E che dire di tutta l’editoria alternativa ? Non mi risulta che Malatempora, Stampa Alternativa, Jubal, Nautilus o Castelvecchi abbiano mai fatto mistero della loro fascinazione nei confronti di Regno Unito ed USA, culturale prima che politica. Il mito di Cuba si infiacchisce ogni giorno e la sinistra sta finalmente riscoprendo di essere europea.
Ecco dunque il discorso sul termine di “nazione”: io, forse ortodossamente, non mi riconosco in questo concetto, però sostengo e coltivo il concetto di “popolo”, che ritengo un motore dell’umanità intera. Credo che le differenze siano una ricchezza (se accolte come arricchenti dati di fatto e non come strumento di discriminazione) e non ho mai smesso di polemizzare col fatto che la sinistra abbia lasciato il terreno delle identità, in maniera schizofrenica ed antistorica, a certa destra.
Io però, piuttosto che lasciarmi affascinare da Umberto Eco, preferisco ricordare che, in Gran Bretagna, i miei stessi discorsi li facevano MacColl e LLoyd, fondatori del british folk revival ed entrambi accesi militanti marxisti-leninisti.
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Riporto la segnalazione della rubrica ad opera del Centro Studi per il Progressive Italiano…Ricambio la stima (e la segnalazione)
CULTURA: Rock, ideologia…e linguaggi(o)? Labouratori in aria…
Ogni volta che ci imbattiamo nel poliedrico Antonello Cresti, ci scontriamo con certe ritualità degli anni Settanta. Attenzione: non vi è nulla di polemico in simile affermazione…no, non c’è odore di nostalgia. Anzi…Antonello, oltre a suonare e comporre, scrive e scrive per fare circolare le idee. Meno male che c’è! In fondo, nel mondo del Web 2.0, oggi, il villaggio globale ha talvolta i tratti, nella nicchia, della “comune”, no? Antonello lo avremmo volentieri letto – che so – su “Gong”…Ad ogni modo, andate a leggervi una sua intervista allo scrittore Rimbotti…ovvero quando la “provocazione” intelligente può innescare il dialogo…Buona lettura…libert’aria…:-)…comunque la pensiate…
Interessante eh…però c’ho messo 1 ora e un vocabolario x leggerlo tutto!!!:)
perbacco ci sarebbe da discutere per ore. Fermo restando che Rimbotti è un soggetto vero!ma avercene di soggetti così!
Sante parole… una persona distantissima da me, ma al contempo molto più vicina di tanti presunti “simili”… Ciao a presto!