[Moda StileLibero] Viaggio clandestino nel mercato dell’abbigliamento
martedì 27 maggio 2008 | Scritto da venans - 3.685 letture |
Chi si è mai chiesto da dove provengono gli abiti che vestiamo? Chi cuce le nostre camicie firmate o le nostre scarpe all’ultima moda? Quanto costano i jeans e chi ci guadagna sopra?
L’idea della multinazionale che ha fabbriche in tutto il mondo e l’immagine del bambino che cuce il pallone non rappresenta la vera e propria realtà, ma vi si avvicina, anzi dietro a quello che indossiamo proprio ora o a quello che compreremo domani c’è qualcosa di veramente sporco. Mi sono incuriosito su questo argomento leggendo Gomorra di Roberto Saviano, in cui questi racconta da dove proviene la stra-grande maggioranza della merce vestiaria italiana e straniera. Il giornalista parte dall’espediente tutt’altro che isolato dell’abito portato da Angelina Jolie nella notte degli Oscar 2006, cucito da un sarto napoletano in poche ore, per un compenso totale di appena 10 euro. Vestito costato all’attrice italiana migliaia di dollari. Poi spiega, racconta e descrive meticolosamente come avviene il mercato dell’abbigliamento in Italia, in Europa nel mondo, gli stessi canoni, la stessa merce, la stessa truffa.
A Napoli, nei dintorni della metropoli, esiste una zona fuori dal centro abitato, denominata per la sua solitudine “Las Vegas”. Qui si trovano decine di piccole fabbriche con pochi operai, per lo più napoletani considerati dalle griffe mondiali i migliori sarti. Come funziona il mercato? Il marchio della ditta, esempio Louis Vuitton commissiona un’impresa italiana incaricata della produzione di determinati capi, come borse, pantaloni, portafogli. La prima ditta italiana che riceve l’appalto e il finanziamento non provvede mai da sé a eseguire il lavoro, subappalta e così via. Per non cadere nell’inverosimile cito anche il vero nome del primo commissionario di Vuitton ( Corti s.r.l.). La quarta mano, ultima ditta incaricata di tessere abiti, ribadisco originali, vede il budget ridotto dalle speculazioni dei subappaltatori, ed è costretta ad assumere personale in nero, con stipendi minimi, sicurezza zero. A volte invece accade diversamente. Queste ditte italiane, prime commissionarie delle grandi firme, come D&G (ITIERRE spa) e Vuitton (Corti srl) indicono gare d’appalto nella sopra citata zona di Las Vegas, materiali a carico dei potenti. Chi vince, cioè fornisce il prodotto finito col minor prezzo e nei tempi più corti, riceve il compenso. Chi perde può tenere il prodotto con sé, rivenderlo nei mercati o nei negozi, ovviamente chi perde più di due gare non può più partecipare, altrimenti sarebbe un guadagno avere sempre la materia prima originale.
Ogni giorno al porto di Napoli vengono scaricate tonnellate di prodotti cinesi, col marchio made in Italy, entrano ed escono trasportatori come fossero spettri, nessuno li vede, nessuno li sente, nessuno li conosce. L’omertà vige tranquilla, e il mercato del falso fiorisce come non mai. Quanto detto prima sulla produzione di capi d’abbigliamento vale per tutte le migliori marche, fuorchè Gucci, unica grande impresa a certificare qualità della merce e assenza di sfruttamento minorile e di qualsiasi operaio. Ha messo a norma tutte le fabbriche e non evade le tasse. Ma non basta, Gucci è proprietaria anche di un’altra famosa firma italiana “Bottega Veneta”, le cui borse sono venduta in via Condotti a Roma al modico prezzo di 3500€. Dove vengono prodotte? A Vicenza, al III piano di un normale condominio e gli operai questa volta sono cinesi. Si perché se è vero che i napoletani sono i migliori sulla piazza è vero anche che i cinesi stanno imparando proprio dagli stessi partenopei, si applicano a Las Vegas e importano nella terra del riso i sistemi appresi. Vendono nel loro paese ma lavorano anche nella produzione italiana. Tornando a “Bottega Veneta” del Logo Gucci, in questo famoso edificio, lavorano donne che intrecciano cinte di pelle nera, raffinano i contorni e cuciono i marchi, per un “cospicuo” salario di 30 euro a borsa. Nei vari passaggi che la borsa compie fino ad arrivare nei negozi, viene a costare al massimo 80-100 euro (è quindi rivenduta a 350 volte il prezzo!). La manodopera cinese è sfruttata perché nessun italiano lavorerebbe a tali condizioni, e in più i “nuovi schiavi” sono anche clandestini, e questa è l’unica condizione che li mantiene in vita.
Dove lavorano, o dove si stanno spostando i sarti italiani, visto che i cinesi offrono manodopera a prezzi più bassi? I migliori sarti napoletani oggi si stanno spostando nel mondo del falso, materiali rimediati qua e là, qualcuno originale e “qualcuno fatto in casa”e grande esperienza nel mettere insieme il tutto; tant’è che la Guardia Di Finanza comincia ad avere difficoltà dal riconoscere un capo falso da uno vero*.
Quando compriamo, indossiamo, buttiamo o regaliamo abiti dell’alta moda, non stiamo dando i soldi agli stilisti che vediamo in televisione, si anche a loro. Stiamo però alimentando un mercato gestito dalla mafia, dagli speculatori del settore, alimentiamo lo sfruttamento di italiani e clandestini extracomunitari, paghiamo il razzismo e diamo un prezzo alla sofferenza degli altri. Non c’è moralismo, perché è la realtà in cui viviamo, non è un mistero, non è niente di nascosto, è solo il lato oscuro della nostra civiltà.
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