[Leftism] Perché l’elettorato social-riformista del Partito Democratico è sottorappresentato a livello parlamentare?
mercoledì 7 maggio 2008 | Scritto da Elio Capriati - 7.025 letture |
L’esame delle aree “politico-valoriali” a cui aderiscono gli eletti del PD al Parlamento mostra che il “popolo” della sinistra – caratterizzato, in termini di platea socio-elettorale, da posizioni politiche non confessionali – non trova riscontro nella sua corrispondente espressione parlamentare, tenuto conto che il PD è l’unico partito di centro-sinistra in Parlamento. (*)
In sintesi, i politologi cifrano in max 110-115 deputati su 217 (Camera) quelli sicuramente ascrivibili ad un’area laica, non confessionale, genericamente liberal-labursocialista. In percentuale: il 17-18% del totale dei voti espressi nelle elezioni del 13 aprile. L’area popolar-cattolica del PD può contare almeno su 102-105 deputati.
Mi sembra, pertanto, ampiamente sotto rappresentato l’elettorato socialprogressista laico e riformista che non ha mai votato Democrazia Cristiana in passato nè i popolar-cattolici della Margherita più di recente.
La sottodimensione parlamentare (anche al Senato si rintraccia il medesimo problema)nel PD del corpo elettorale di sinistra ha, a mio parere, la causa nel sistema elettorale basato sulle liste bloccate. La preponderanza dei parlamentari di area popolar-cattolica è da attribuire alla loro buona posizione nelle liste (in genere i candidati pop-cat erano collocati nei primi posti delle liste elettorali del PD). Perchè erano presenti tanti esponenti “moderati” nelle “teste” di lista del PD?
Le ragioni, forse, erano due, una politica: attirare il consenso moderato (cattolico) verso il PD. L’altra partitica: lo scotto che gli exDS hanno dovuto pagare alla componente popolar-cattolica (e prodiana) per “fare fuori” l’impopolarissimo governo Prodi, operazione agevolata dal suicidio politico-governativo di Mastella, oggettivamente promosso dall’azione incriminatrice dei giudici (direi quasi pilotata).
Tornando al problema della sottorappresentazione parlamentare della sinistra nel PD, ritengo che, se fosse introdotto – per la Camera dei deputati – il sistema delle preferenze da una nuova normativa elettorale, allora è probabile che alle prossime elezioni il “popolo” della sinistra laica e riformista, che si riconosce nel PD, selezionerà i candidati scegliendo i “suoi” consentendo una maggiore rappresentatività dell’area laica liberal-labur socialista nel gruppo parlamentare piddino della Camera dei Deputati. Il problema rimarrà, però, al Senato dove il collegio uninominale non consente preferenze.
Un banco di prova sarà costituito, per altro verso, dalle prossime elezioni europee: se il PD non avrà sciolto il nodo della collocazione politica internazionale, potrebbe accadere che nel voto europarlamentare l’elettorato “socialista” – soprattutto ex diessino – si orienti su liste schiettamente legate al PSE. E qui rientra in campo l’obiettivo di creare, prima del 2009, un soggetto socialista, allargato, dal PS a SD e oltre.
La prima riprova di questo (possibile) futuro comportamento politico dell’elettorato socialriformista del PD è rinvenibile proprio nelle elezioni comunali di Roma. A pensarci bene i 55.000 voti in meno a Rutelli probabilmente sono di area ex-diessina (e non comunista, che a votare non ci è andata proprio). Cioè elettori “socialisti” del PD che hanno scelto Zingaretti alla Provincia ma preferito platealmente Alemanno sindaco a Rutelli, antisocialista e filopapalino oltre che simbolo del “vecchio che ritorna”.
Se poi la maggiore caratterizzazione “socialista” del PD potrà attirare i voti dei moderati (tiepidi progressisti) sarà tutta da verificare. Certo è che questo PD, pur avendo presentato, nelle recenti elezioni, come capilista personalità moderate tipo Calearo, Colaninno, Madia, teodem e altre simili, non ha sfondato al centro fallendo la strategia di voler crescere con i voti degli elettori moderati centristi, i quali con ogni evidenza non sono arrivati.
P.s. A puro titolo di memoria storica, rammento che nella prima repubblica la somma di PCI+PSI+PDUP/PSIUP si cifrava nel ventennio 1968-1987 tra il 40 (circa) ed il 45%. Ovviamente ho escluso dal novero della sinistra i partiti centristi PLI, PRI e PSDI anche se questi ultimi due si auto definivano “partiti di sinistra democratica”. Il picco elettorale della sinistra fu conseguito nel 1976 con il 45,5% dei voti.
(*) Assodato, altresì, che l’IDV di Di Pietro è una compagine centrista recante al suo interno, in aggiunta, anche una componente popolar-cattolica.
Commenti recenti