La lezione Liberal-Laburista e il socialismo europeo
lunedì 17 dicembre 2007 | Scritto da Elio Capriati - 1.608 letture |
I socialdemocratici europei hanno costruito tra gli anni ’50 e gli ’80 del secolo scorso una strategia riformista “potente” – un mix equilibrato di piena occupazione e benessere sociale – sulle idee di due grandi liberali inglesi, John M. Keynes e William H. Beveridge, dimostrando, soprattutto nei Paesi del Nord-Europa, come potessero pragmaticamente integrarsi principi liberali e pratica laburista. In Italia è stato l’originale pensiero di Carlo Rosselli a conciliare le regole della dottrina liberale con le esigenze della dottrina socialista democratica.
Rievocare questa contaminazione tra il pensiero liberale e l’azione socialdemocratica è importante perché dimostra che oggi è possibile creare un programma altrettanto “potente”. Keynes e Beveridge avevano colto il problema centrale della loro fase storica, l’aspirazione espressa da numerosi cittadini: lavoro per tutti e sicurezza sociale. Ma quali sono oggi le aspirazioni di grandi masse di cittadini?
A queste aspirazioni ha dato una risposta il congresso del Pse ad Oporto del 2006. I documenti congressuali indicano una direzione ben precisa. Responsabilità, coesione, diritti, solidarietà sono le parole chiave del manifesto per la nuova Europa sociale presentato al congresso. La linea è quella di una moderna democrazia sociale, o meglio di una compiuta socialdemocrazia, che si confronta con le nuove sfide ma che non rinuncia alle conquiste in termini di valori e di diritti raggiunte in oltre un secolo di storia. Non fu un caso, in questo senso, che gli interventi accolti con maggiore calore dai delegati furono quelli con una più forte caratterizzazione ideale, in una parola, di sinistra. Il primo, quello della leader dei socialisti francesi Ségolène Royal, che entusiasmò per i suoi continui riferimenti alla giustizia sociale, ai diritti, alla necessità di regolare gli abusi del capitalismo moderno. Il secondo fu svolto dal presidente del gruppo socialista al Parlamento Europeo, Martin Schulz, che impostò il proprio intervento proprio sul tema della solidarietà, della responsabilità sociale dell’Europa, sia nella sua dimensione interna che esterna. Schulz e Royal, rappresentanti di due partiti di tendenze non del tutto affini all’interno del PSE, SPD e Parti Socialiste Français, ma che dimostrano come la discussione all’interno della famiglia socialista europea ruoti attorno a contenuti ed orizzonti programmatici ben definiti. Per inciso: anche il laburismo inglese punta a conciliare solidarietà e mercato nell’ottica di un “welfare to work”, a cui si affiancano le politiche socialdemocratiche di “flexicurity”, adottate dai socialisti italiani.
A questi orizzonti, dunque, è legato indissolubilmente il nascente Partito socialista.
Può sembrare una domanda retorica ma va posta per fissare senza ombra di dubbio i confini ideali del nuovo partito: i valori e i programmi del nascente Ps sono ispirati direttamente a quelli del Partito socialista europeo, il cui programma per le elezioni del 2009 già è riportato nel web del Pse? La risposta è sì. Se il Ps assume, come ha fatto, la piattaforma programmatica del Pse come propria, non può stare che a sinistra del Pd ma anche ben distinto dalla confusa galassia federativa della Sinistra Arcobaleno. Il suo statuto ontologico è quello di un partito riformista, progressista e laico di alternativa al centrodestra, come tutti i partiti socialisti/socialdemocratici/laburisti d’ Europa. Quindi collocazione internazionale e collocazione interna diventano coerenti.
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